IL DECLINO DELLA VIOLENZA di S. PINKER (Ed. Mondadori, 2013)
Basterebbe un po’ di senso comune per capire che le condizioni di vita sono nettamente migliorate. Come scrive in un post su FB un’amica: “Mai la vita umana ha acquisito valore e tutele come oggi. Idem dicasi della povertá globale.”. E’ questione di senso comune. Ora comunque, oltre al senso comune, abbiamo qualcosa di più, uno studio serio e approfondito dotato di cifre e statistiche che mostra il declino della violenza. Occorre premettere che non si possono confrontare animali e uomini perché questi sono dotati di coscienza e libero arbitrio, un arbitrio limitato e condizionato, ma libero (la libertà esiste proprio perché ci sono dei limiti). Occorre dunque guardare dentro le caratteristiche umane che si sono modificate nel corso di Ere e Millennii, sia geneticamente sia culturalmente. Si può essere o no d’accordo con la tesi che “la Natura dell’uomo è la Cultura”, ma non si possono negare i fatti, anche statistici, della storia evolutiva degli esseri umani. Pinker è uno studioso che ha fatto importanti ricerche accademiche, ma si è avvalso anche del gigantesco lavoro di altri studiosi e ha raccolto i risultati di tutti questi studi nel libro di cui sto parlando. Il libro è importante perché, oltre ad essere documentato, è ragionevole, nel senso che ogni riflessione è fortemente legata sia ai dati sia alle altre riflessioni. Ne emerge un insieme con cui dobbiamo fare i conti.
“La violenza è onnipresente nella storia e preistoria della nostra specie” e dunque non serve demonizzarla: si tratta di studiarla e vedere come è evoluta fino ai giorni nostri. Gli studi mostrano che essa è andata diminuendo.
E’ calato il numero delle guerre, sono calati i morti in ogni guerra, è diminuita la violenza razziale, è diminuita la violenza di genere, è diminuita la violenza familiare. Diminuire non significa scomparire né che situazioni anche gravi e pesanti non possano esistere e ripetersi. Si tratta prima di tutto di verificare l’affermazione e poi cercare di capire perché. Sul “declino della violenza” non possono esserci dubbi, sul perché esso si verifichi possiamo fornire diverse spiegazioni. Vedremo quelle che ci offre Steven Pinker.
- Sul numero delle guerre non è facile stabilire la metodologia: durata, territori, Stati coinvolti, morti, rivoluzioni, guerre interstatali…Il numero dei conflitti per anno in Europa dal 1400 al 2000 è sceso da 2,2 a quasi 0.
- Se si escludono le due guerre mondiali una diminuzione consistente riguarda il numero dei morti. In particolare però va rilevato che dal 1950 (quindi ormai finita la 2° Guerra Mondiale) ad oggi il tasso dei morti in battaglia in conflitti armati a base statale è sceso da 20 su 100.000 persone a quasi 0. Un’altra cifra è importante, a dispetto dello sviluppo tecnologico: nel 1950 il conflitto armato medio (di qualsiasi tipo) uccideva 33.000 persone; nel 2007 meno di un migliaio.
(3) Per quanto riguarda la violenza razziale, dopo i genocidi armeno, ebraico e tutsi, nonostante i conflitti razziali sembrino sempre pronti ad esplodere essi risultano abbastanza isolati e isolabili. Andiamo negli USA, nazione spesso additata come la patria della violenza, e riportiamo due cifre. Il numero dei linciaggi per anno è sceso da 150 nel 1882 a 0 nel 1960. Il numero di afroamericani assassinati a causa della loro razza per anno è sceso da 5 nel 1996 a 1 nel 2008.
(4) Sempre negli USA, dal 1973 al 2008 gli omicidi sono scesi al 57% (fatto 100 il valore del 1973), mentre gli stupri si sono attestati al 20%.
(5) Ancora negli USA gli omicidi all’interno di rapporti di coppia hanno visto scendere le vittime donne da 1,5 a 0,7 ogni 100.000 donne, e le vittime uomini da 1, 3 a 0,3 ogni 100.000 maschi. Cifre dal 1975 al 2005. Cifre simili valgono anche per Canada, Finlandia, Germania, Regno Unito, Irlanda, Israele e Polonia. Significativa poi la forbice tra paesi che hanno messo la violenza domestica fuori legge in Europa Occidentale e negli Stati arabi (84% contro 25%) e che considerano lo stupro coniugale un reato: 72% contro 0%. Il resto del pianeta si colloca nel mezzo.
Ho estrapolato dalle 900 pagine alcuni dati che mi sembravano significativi, ma soprattutto utili: chi leggerà il libro si renderà conto che le informazioni fornite sono frutto di attente analisi, confronti, discussioni e non sono mai improvvisati o date per scontato.
Pinker ritiene che esistano quattro categorie di violenza: 1) pratica, strumentale, come mezzo per un fine; 2) dominanza, la spinta al predominio sui propri rivali; 3) vendetta; 4) sadismo; 5) ideologia. Come si vede si tratta di una classificazione discutibile, su cui molti studiosi concordano e che ci riporta a ritrovare tutti quegli elementi che ancora oggi sono presenti. Io userei il termine “volontà di potenza materiale”, ma il libro non l’ho scritto io né mi sembra importante concordare sulle distinzioni teoriche. Quale che sia l’elemento causale è bene ricordare che esso appartiene sia agli individui sia ai gruppi: i riferimenti storici nel libro sono numerosi.
E veniamo ai motivi che Pinker individua come decisivi nel declino della violenza, un declino storicamente e geograficamente determinato, frutto di grandi trasformazioni nelle relazioni sociali globali.
Un capitolo è dedicato appositamente a “I migliori angeli”, gli elementi cioè che ci permettono di guardare al futuro in maniera positiva.
A me interessa evidenziare più dell’aspetto psicologico quanto Pinker rileva in termini storico-sociali e dunque anche culturali.
Esiste una linea che, nonostante numerosi arresti e deviazioni, è possibile identificare come evolutiva.
Si parte con la creazione dello Stato che unifica e comprende le esigenze collettive, spostando ad esempio la dinamica vendicativa dal piano della famiglia e della tribù a quello individuale o interstatale. Il diritto e lo Stato di diritto permettono in linea teorica, ma anche sempre più nella pratica, che gli individui che compongono la società si sentano maggiormente garantiti, depotenziando molte forme di violenza. L’economia di mercato e il commercio che sostituiscono all’unico arricchimento precedente, basato sulla conquista, il libero scambio, lo scambio tra eguali: nel primo caso la quantità di beni, sempre la stessa, poteva solo passare di mano arricchendo qualcuno e impoverendo qualche altro, mentre nel secondo caso l’aumento della ricchezza, dato dalla concorrenza, permette la crescita collettiva. Infine la globalizzazione ha permesso a Stati storicamente poveri di migliorare le proprie condizioni di vita: come dimostrano i progressi dell’Asia, dell’America Latina e anche dell’Africa, seppure in minore dimensione.
Questo processo non è stato lineare, ha trovato ostacoli e ancora ne trova, ma è stato comunque accompagnato da una costante riflessione culturale che, seppur talvolta contraddittoria, è servita e continua a servire da basamento solido che sempre più rende difficile cancellare i progressi realizzati.
Gli Stati Democratici sono cresciuti in misura esponenziale; tutti riconoscono la legittimazione popolare; il potere assoluto, religioso o meno, è sempre più messo in discussione; i diritti degli individui sono considerati fondamentali dappertutto e come caratteristica della ragione umana. Non sono solo la tortura e la schiavitù ad essere condannati, ma vengono sempre più affermati i diritti degli individui, non solo delle minoranze, ma anche delle donne e di tutti coloro che solo pochi decenni fa erano considerati non normali.
E’ vero che spesso e in molti luoghi si continua “alla vecchia maniera”, ma sempre più si alzano voci contro, grazie a una nuova acquisita coscienza e alla possibilità di comunicazione che la globalizzazione informatica permette.
Il libro in questione fornisce un quadro di riferimento ampiamente documentato che permette di guardare al futuro con maggiore ottimismo, senza dimenticare che per l’essere umano nulla è mai definitivo. Non è l’unico libro che parla in questi termini e questo dimostra che esiste una riflessione scientifica abbastanza consolidata in questa direzione. L’ottimismo non nasce né da principi morali o religiosi né da considerazioni sulla natura umana né da considerazioni psicologiche e volontaristiche, bensì dal concreto e storico evolvere del genere umano.
Il libro è anche un antidoto al pressappochismo che regna nel campo dell’informazione e che ha portato a legittimare ciò che passa per la testa di ognuno, demonizzando studio e competenze. Un libro non di evasione, ma di invasione. Nelle nostre coscienze.