PERCHÉ PARLARE D’AMORE

Può darsi che le orme che lasciamo nel corso della nostra esistenza portino verso il nulla eterno, ma ciò non riduce il valore e il carattere del libro che stiamo scrivendo, non toglie spessore alla ricerca che l’autore-narratore-personaggio realizza per completare in modo degno ed adeguato la sua storia. Non è una condanna, al contrario è un premio che gli dei, o qualche loro messaggero, hanno voluto lasciarci: perché non essere contenti, quel giorno in cui i nostri occhi chiuderanno le loro fatiche, del romanzo che abbiamo alla fine scritto?

La letteratura ci ha offerto numerosi modelli e il suo catalogo non finisce di stupirci. Vogliamo un romanzo sentimentale, uno sociale, uno psicologico? O che altro? Le possibilità sono numerose e per tutti i gusti. Ma, mi chiedo, perché fermarsi al catalogo? Perché copiare a piene mani o illudersi che la novità stia solo in un sincretismo formale? Eppure siamo tutti lettori appassionati e conoscitori esperti, grande merito della cosiddetta società di massa da cui veniamo. Dovremmo saper riconoscere immediatamente, nei pezzi di intreccio del nostro lavoro, l’impronta dell’originale; ma, forse, è proprio questo che vogliamo, essere cullati dalle garanzie e dalle sicurezze che l’Altro possa fornirci.

E come la letteratura si sta interrogando sui cammini da percorrere in questo nuovo spazio che nuovi tempi hanno creato, senza –a dire il vero- grande successo, così anche gli uomini credono di interrogarsi sull’amore, sapendo produrre poco più che tecnicismi innovativi che nulla cambiano e spesso sono semplici rivisitazioni.

Questo articolo vuol chiarire il senso di questo progetto sull’amore, soprattutto perché per molti è argomento talmente inflazionato, da non sentire l’esigenza di ascoltare altri discorsi, soprattutto se fatti da un illustre sconosciuto.

Credo che l’amore sia il tema in cui si è detto tutto e il contrario di tutto, continuando senza cercare di individuare almeno un orizzonte verso il quale muoversi. Gran parte della mia vita è ruotata intorno all’amore sia come riflessione e interrogativo sia come ricerca esistenziale: è dunque un argomento che ha funzionato come un hub nel sistema reticolare rappresentato dalla mia storia. Intorno ad esso e a partire da questo si sono sviluppati molti altri aspetti importanti che, proprio come in una rete, hanno finito con l’agire ricorsivamente su quello che era il punto di irradiamento.

Molte delle mie opere parlano di amore ed è stato attraverso queste che ho approfondito la mia riflessione, anche quando le pensavo in termini di poesia o di narrativa.

Il motivo per cui ho deciso di procedere a una ricostruzione e a una sintesi del mio pensiero sull’amore esula però dall’esperienza personale, che tale rimane, e coinvolge il fatto che, a differenza di altri argomenti, politici economici o di costume, l’amore è un tema in cui regna la confusione totale. Negli altri argomenti esistono teorie diverse con cui concordare o da cui prendere le distanze, mentre nell’amore esistono solo chiacchiere, affermazioni provvisorie, tutt’al più opinioni che come tali sono particolarmente instabili.

Da un lato tutti sanno cosa è l’amore, lo riconoscono, lo percepiscono, ne sono travolti, ma dall’altro lato rimane un mistero, qualcosa di indicibile che, non appena proviamo a fissarlo, ad esempio con le parole, esso sfugge e svanisce. E il bello è proprio qui, perché per tutti la sua verità sta proprio in questa sua assenza di verità, in questo alone di mistero e di indefinito che non solo lo circonda, ma propriamente lo avvolge e lo caratterizza. In modo consustanziale.

Io non sono qui per svelare quel mistero e fare opera di convinzione, ma sono qui perché ci sono troppe persone che hanno difficoltà a fare i conti con questo universo sia sul piano generale sia a livello di propria esperienza personale. Il mistero si nutre di una visione semplice e di una paura a mettere in discussione paradigmi talmente diffusi nello spazio e nel tempo che sembra di doversi avventurare in un terreno troppo pericoloso e per questo si preferisce ripetere le solite cose, crederci e continuare come sempre indipendentemente da ciò che succede a noi e a tutto ciò che ci circonda.

Come vedremo non metto in discussione in modo assoluto la comune credenza sull’amore, ma ne metto in evidenza solo i limiti, che oggi possiamo vedere senza nasconderci e senza paura. E’ un po’ ciò che è successo negli ultimi decenni alla geometria euclidea e alla scienza cartesiana: si è sempre semplificato operando in modo riduzionistico perché ciò ci permetteva una certa approssimazione che funzionava. Si consideravano le montagne triangoli o piramidi perché conoscevamo solo queste figure geometriche e solo con queste riuscivamo a operare, ma oggi abbiamo nuovi strumenti che ci permettono di andare oltre: anche prima sapevamo che le montagne non erano triangoli, ma quello era l’unico modo che conoscevamo per agire. Nel campo della scienza moderna invece è crollata la fede nella possibilità di dar vita a leggi universali che ci permettano di fare previsioni.

In entrambi i casi una visione semplice è stata sostituita da una serie di acquisizioni più complesse, cioè articolate, interconnesse, in continua espansione.

Così è per tante teorie e affermazioni in cui abbiamo creduto fermamente per secoli e più passava il tempo e più ci siamo convinti che quelle, teorie e affermazioni, erano la verità.

C’è un aspetto che fa parte delle comuni acquisizioni sull’amore e che viene riproposto, prima o poi, in chiave colta o a livello popolare, ed è il fatto che tutto ruoti intorno all’espressione “io ti amo”, che viene articolata, senza cambiarne la centralità secondo varie angolature.

Questo punto di partenza si presenta naturalmente costitutivo dell’esperienza che ognuno fa dell’amore, e di essa è un aspetto fenomenologico. Rilevante non è però tanto l’espressione in sé, quanto il valore attribuito a quelle tre parole con cui stabiliamo l’acquisizione del nuovo territorio: io ti amo. Questa espressione ne sottintende, con maggiore o minor chiarezza, un’altra: per sempre. In queste parole, ti amo e per sempre, esiste un’ambiguità o, meglio, una duplicità che segnala l’estrema difficoltà di un’impresa alla quale vogliamo attribuire un valore ben più ampio di quello che in realtà sappiamo evidenziare.

Il per sempre evoca un’eternità che non ci appartiene e il ti amo implica la stabilità di una condizione che non è la nostra. Da qui nasce l’immagine-realtà della morte che accompagna l’idea di amore.

L’uomo, essere mortale, proponendosi nell’eternità, apre un conflitto difficilmente sanabile e che solo la morte (l’unico attributo definitivo dell’uomo) può risolvere.

D’altra parte il ti amo, pretendendo di dare il valore di essere, cioè di sostanza immutabile e superiore, a ciò che invece è solo divenire, qualcosa di mutevole e ancora mutevole, può evitare quel conflitto mortale solo a costo di far morire il carattere ideale, la sostanza, e trasformandosi in divenire di cose: il matrimonio, la casa, la famiglia, i figli, il lavoro.

Ti amo e per sempre, aprono la strada verso la morte, perché si pretendono definitivi.

Riprenderò e approfondirò questo discorso negli ultimi articoli.

 

Una relazione amorosa comincia con quelle tre parole e finisce con “io non ti amo più” oppure in forme che non ne alterano il senso come “è successo”, “al cuor non si comanda”, “non posso farci nulla”.

I motivi della nascita di un amore rimangono misteriosi e, in un certo modo, ciò è comprensibile, ma ciò che mi pare molto più interessante riguarda la fine di un amore. In questo caso spesso si tace o ci si serve delle espressioni appena ricordate, ma se si cerca di procedere a una definizione, qualcosa di meno aleatorio, allora ci accorgiamo che il tradimento (mio o tuo) è solo una scusa non certo una spiegazione, come pure la mancanza di felicità, gli eventi della vita, l’impegno lavorativo. Per cercare di com-prendere dovremmo almeno chiederci quando e perché, in quali forme tutto ciò ha incrinato quella relazione che abbiamo una volta considerato perfetta, ma questo non si fa; e se è comprensibile la difficoltà di farlo ai primi segnali, risulta difficile accettare che nulla venga fatto (in termini di riflessione) quando ormai non si può tornare indietro.

Eppure ci si prepara per mesi a sostenere un esame o un concorso, si programma in modo accurato un viaggio, si abitua con costanza e regolarità il nostro corpo all’impegno della palestra o a una nuova dieta, si fa di tutto per ottenere una promozione, mentre non dedichiamo eguale attenzione a quello che di fatto è l’aspetto centrale dei nostri pensieri, della musica e dei film che seguiamo, dei romanzi e delle poesie che leggiamo come pure dei pettegolezzi che ci piace diffondere e ascoltare.

 

Ancora: perché parlare d’amore?

 

Perché esalta il ruolo della persona-individuo. Viviamo in una società sempre più complessa e ogni aspetto della vita sociale è ormai caratterizzato dalla presenza di un numero di soggetti sempre maggiore che stabiliscono legami e interconnessioni sempre più alti.

Se prendiamo la Scuola vediamo che in essa sono coinvolti decine di professori, centinaia di studenti e genitori, apparati amministrativi, realtà solo apparentemente esterne come la Regione e il Comune, Enti culturali, sindacati e così via.

Se prendiamo un Ospedale vi troviamo una quantità enorme di soggetti che non sto qui a ricordare, e così un’Azienda, una emittente radiotelevisiva e persino una Chiesa. L’unica relazione che di fatto rimane fortemente ristretta se non per qualche debole collegamento esterno è la relazione d’amore, che coinvolge solo due persone. E’ vero che si sono proposte e realizzate attività molteplici, dall’amore libero allo scambismo, ma l’amore così come lo conosciamo e lo riconosciamo si fonda su due persone che stabiliscono un rapporto esclusivo. Detta così sembrerebbe il retaggio di un passato primitivo, ma sarebbe un errore, perché anche l’amore, pur rimanendo esclusivo, mette in campo una sempre maggiore complessità.

E’ con questa maggiore complessità che si scontra quanto sedimentato finora e che mette in difficoltà i soggetti oggi coinvolti, evidenziando la crisi dei rapporti. Dove sta la complessità e la difficoltà in un rapporto ridotto a due soli soggetti? E’ vero che i soggetti sono solo due; in realtà però ognuno di essi è oggi caratterizzato da una rete complessa fatta di relazioni microcosmiche ma intense, per cui, quando parliamo di amore, dobbiamo parlare di un sistema reticolare ampio e complesso in cui si interconnettono due reti di per sé estremamente complesse. Con un elemento in più: mentre in una scuola le relazioni mettono in gioco soprattutto aspetti finiti e definiti, materiali, in una relazione d’amore sono coinvolti elementi difficilmente definiti, come i pensieri le attese le speranze i sogni le fantasie e tanti elementi non riconducibili alla dimensione materiale. Come ci hanno spiegato Rimbaud, Nietzsche, Pirandello e ora anche le neuroscienze, non esiste un IO omogeneo, compatto, unico, perché “l’IO è un altro”. E dunque alla difficoltà nel cercare di identificare qualcosa che non è materiale si aggiunge la difficoltà di non saper riconoscere la molteplicità di IO presenti nel nostro essere individuo.

 

Ancora: perché parlare d’amore?

 

Sappiamo ormai, e lo sa anche la maggior parte delle persone, sebbene fatichi a ricordarlo, che non esiste un vero IO e, come non esiste un vero IO, non esiste neanche l’amore vero: non esiste la vera Scienza, quella che è capace di ridurre la molteplicità del reale a leggi uniche e universali, non esiste dunque una vera verità, ma delle verità parziali in continuo divenire e in un continuo processo di ridefinizione. Altrove ho spiegato che questa mancanza di verità assolute non significa relativismo culturale, per cui non starò qui a ripeterlo.

E’ importante invece soffermarsi, e lo farò nei prossimi capitoli, su una duplicità di attitudini che sempre più accomuna la maggior parte delle persone: da un lato si comincia a mettere in discussione il concetto di Scienza che ci ha accompagnati dal 1600 a oggi e, pur di affermare le proprie opinioni, non si esita a relativizzare tutto, ma dall’altro si continua ad affrontare l’amore che è un impegno quotidiano come se la scoperta della complessità non riguardasse anche l’amore. che torna ad essere come la geometria euclidea: montagne- solo triangoli o montagne- solo piramidi.

Amore-Mistero-Io ti amo-Per sempre-Cuore-Non ragione.

Questo aspetto è sottovalutato perché l’idea che esista l’anima gemella, che esista il vero amore non riguarda soltanto le favole e i cartoni animati, ma i comuni rapporti che ognuno stabilisce. La cosa viene evidenziata soprattutto alla fine di una relazione, quando il fallimento di quella che oggi va di moda chiamare “storia”, è attribuito al fatto che non si trattava di vero amore, magari era solo infatuazione oppure se errore c’è stato esso riguardava il non aver compreso chi in realtà fosse il partner.

Insomma avviene in questo campo quello che non succede né è mai successo in altri campi: se le premesse non trovano conferma nella realtà, questo non avviene per colpa delle premesse, evidentemente sbagliate, ma per colpa della realtà. Già Galileo nel 1600 (Dialogo sopra i massimi sistemi) mostrava la stupidità di un ottuso seguace di Aristotele che continuava a sostenere l’origine dei nervi dal cuore (e non dal cervello come dimostrato sperimentalmente) solo perché era la tesi del filosofo greco: non era sbagliata la tesi, ma la realtà. Trovo curioso come anche illustri professori, conoscitori di Aristotele e Galileo, sostengano quest’ultimo nelle loro lezioni, mentre la stessa cosa non avvenga quando parlano dell’amore, anche e soprattutto il loro.

 

 

 

 

Ancora: perché parlare d’amore?

 

Importanza della parola.

Ho messo in evidenza come l’amore valorizzi l’individuo e ne impegni la responsabilità.

Ho messo in evidenza che non esiste un vero IO e non esiste il vero amore.

Ho messo in evidenza come il rapporto d’amore, pur riguardando solo due persone è estremamente complesso, perché ognuno dei due è caratterizzato da una rete molto articolata e di grandi interconnessioni.

Le difficoltà che l’amore oggi riscontra si riferiscono proprio al non voler vedere questa rete che lascia trasparire in superficie solo piccoli filamenti, per cui la prima cosa da fare, quando ci innamoriamo, è (oltre a essere gentili, fedeli, affettuosi e tutto il resto) cercare di portare alla luce un numero sempre maggiore di quei filamenti, riconoscendone le caratteristiche, cercando di comprendere come siano connessi tra di loro. E per fare questo non c’è strumento diverso dalla parola. Come ho scritto nell’ultimo articolo del mio Corso di letteratura non deterministica, la poesia di oggi consiste in quelle parole che ci permettono di guardare in profondità, come fa un microscopio elettronico con le cellule. E’ anche per questo che l’amore, oltre la Corea del Nord e il riscaldamento globale, diventa il nodo centrale della vita umana, non per far trionfare il Bene sul Male, ma perché è il luogo privilegiato che permette a ognuno di noi (ogni individuo) di fornire un contributo e un arricchimento nella liberazione delle macerie e dei muri che ostacolano la crescita personale e collettiva. Nonostante da più di un secolo la letteratura abbia fornito esempi della ricchezza e profondità della parola, ancora sono tanti, troppi, coloro che si limitano a usare la parola come forma delle cose trasferendo anche a realtà meno materiali lo stesso metodo.

E così l’amore è dato per scontato, è quella cosa che ti prende e ti travolge, un colpo di fulmine, uno scoppio a prima vista, talvolta richiede tempo e si nutre di proverbi popolari (chi disprezza compra o chi si somiglia si piglia, ma anche mogli e buoi dei paesi tuoi, ad esempio), ma sì, anche se non sappiamo definirlo, in fondo sappiamo tutti cosa è. Invece no, non lo sappiamo, e, senza parole che si sforzino a parlarne obbligandoci a una responsabilità che preferiamo evitare, resteremo sempre più impantanati. Come succede in tutti i fenomeni complessi, questi continuano a sviluppare la loro complessità e noi rischiamo di essere ancor più in ritardo.

 

 

 

 

Ancora: perché parlare d’amore?

 

Per negarne il carattere naturale. Spesso si attribuisce all’amore un carattere naturale che ci impedisce di interrogarci sul senso stesso, lasciandoci girovagare nei meandri degli eventi e degli individui, colti nella loro singolarità. Ci adattiamo alle condizioni esterne e ne subiamo i contraccolpi, senza mai mettere in discussione il nodo centrale, non dico per negarlo ma almeno per avviare una riflessione. Chissà per quanto continueremo a pensarlo cosa naturale? Eppure l’amore così come lo conosciamo e lo viviamo è tutt’altro che naturale.

Non solo il passato storico dimostra che ciò non è vero, ma anche la dislocazione spaziale conferma che c’è ben poco di naturale in tutto questo: come vedremo nei prossimi due capitoli. L’amore che noi viviamo ‘naturalmente’ non ci è con-naturato, nel senso di appartenere, così come si presenta, all’essere umano, ma è comunque vero che spontaneamente, istintivamente tendiamo a viverlo in quel modo. Oggi. In Occidente e nei Paesi influenzati dalla cultura occidentale.

Non è naturale, anche facendo salva la distinzione antropologica tra Natura e Cultura, ma appartiene alle nostre strutture culturali, che, per quanto forti e radicate, rinviano alla nostra cultura, che è senz’altro un vincolo importante e signi-ficativo, ma che non impedisce né impedirà il formarsi di possibilità.

Lo sgretolarsi di convinzioni assolute che ci hanno accompagnato per secoli e millenni ha riguardato aspetti anche decisivi della nostra esistenza: dalla visione geocentrica, al carattere divino del potere reale, al concetto di Scienza (con la Esse maiuscola) che, pur avendo ottenuto risultati eccelsi, dopo quattro secoli ha dovuto riconoscere il proprio carattere provvisorio e limitato.

Prima o poi dovrà avvenire nei confronti dell’amore ciò che è successo per la Scienza, con la differenza che nel campo del sapere la vera scienza si formalizza solo nel 1600, mentre per l’Amore si continua spesso a non vedere le differenze storiche e geografiche. A questo proposito, e poiché sto scrivendo nel periodo di San Valentino, mi pare significativa una notizia apparsa poco fa: “Taranto, per San Valentino il MarTA (Museo Archeologico Taranto) racconta in un video l’amore tra Perseo e Andromeda. Racconta una grande storia d’amore (Gazzetta del Mezzogiorno, 13.2.21)”. Nessuna differenza tra l’amore di Perseo per Andromeda, l’amore di Eloisa per Bernardo e di me per te.

Ricapitolando. Continuiamo a parlare d’amore come se fosse un concetto naturale e consolidato, mentre non comprendiamo che questa impostazione fa parte di vincoli che abbiamo formato e conformato in circa mille anni, ma, come mostrato dalle moderne epistemologie, è da questi vincoli che emergeranno delle possibilità. Queste possibilità devono fare i conti con quel vincolo e da esso dipendono: è il margine del caos che propone il formarsi e l’affermarsi di emergenze. Fare i conti con quel vincolo vuol dire fare i conti con la nostra esperienza e con la nostra coscienza: quanti strati dovremo scavare, non per raggiungere, ripulito, il vero significato dell’amore, ma per trovare quegli elementi che possono aiutarci a delineare nuove possibilità?

Andare alle fondamenta vuol dire dunque fare i conti con il carattere costitutivo di quell’organismo, un organismo che non ci è esterno, ma che –ologrammaticamente- ci è dentro, un organismo che siamo noi. Punti di vista, inquadrature differenti di un qualcosa che siamo sempre noi, anche se lo chiamiamo amore o società o cultura. L’amore parla di noi e noi parliamo dell’amore.

 

Ho scritto, sempre nelle conclusioni del Corso di letteratura, che il futuro della poesia richiede che si parli sempre di più del soggetto autore-lettore, in modo naturalmente non cronachistico, ma lavorando per estrarre dalle nostre radici quella che Rimbaud chiama “quintessenza”. E dunque anche questi capitoli parleranno di me: dietro ogni affermazione significativa c’è un’esperienza personale che è servita a spostare i miei passi e a conformare la mia persona.

Quando parlo di esperienza personale intendo riferirmi a un panorama estremamente ampio: non fotografie usate per esprimere sentenze, ma sequenze che mi hanno permesso di trovare un filo conduttore, riconoscerne le origini e i vincoli e allo stesso tempo individuarne il senso, cioè il significato e la direzione.

Parlando d’amore qualcuno ha detto e dirà che questo mio modo di fare è troppo razionale e dunque inadeguato, perché l’amore viene dal cuore ed è sentimento, qualcosa che non può essere ridotto al ragionamento, anche se con questo termine si intende “la ragione”. Gli esempi che posso fare sono numerosi e quotidiani e corrispondono al riconoscimento, ormai accettato dalle neuroscienze, che cuore e mente, ragione e sentimento sono legati da un continuo dialogo e che quindi non esiste comportamento umano che non abbia la sua origine dall’interazione tra ciò che sentiamo e ciò che pensiamo.

Fatta questa premessa, voglio dichiarare che non ho tutto sotto controllo e che ciò non è mai successo e che ciò è impossibile indipendentemente dalla cultura che ci caratterizza. Ci sono cose che si imparano subito, grazie a una coincidenza con luoghi comuni intesi in modo realistico e non negativo: “mogli e buoi dei paesi tuoi” ad esempio è un luogo comune che però in molti casi coglie in pieno il segno della verità, come si vede spesso nell’incontro tra persone di fedi diverse o provenienti da luoghi non omogenei. Ma ciò non vuol dire che chi si incontra dello stesso paese è destinato al successo o viceversa che chi si incontra provenendo da paesi diversi non possa trarne vantaggio. Non esiste una legge universale, ma quella frase è la verità che fotografa secoli e secoli che sono alle nostre spalle. Con essa dobbiamo fare i conti, perché, in qualche modo, ci appartiene. Quella frase, come altre che ho citato o che potremmo citare, è come il “io ti amo”: un luogo comune che trasforma secoli di amore in una fotografia e in una verità che però non è assoluta. Tutte queste frasi, in una realtà che si è fatta sempre più complessa, hanno bisogno di essere sottoposte a una verifica e a un rinnovamento, cercando di scoprire come quella fotografia resista al passaggio di sequenze, sempre più numerose e sempre più in movimento.

 

Se noi scorriamo i forum aperti e le pagine di FaceBook (private di hater e provocatori), ci accorgiamo che il metodo comune con cui si affrontano i pur diversi argomenti è quello della fotografia, del frammento, della frase tolta dal contesto: si prende un punto debole della tesi sostenuta da una persona e si impallina, contenti di aver affondato l’altro. Si è fatta bella figura, ma non è cambiato nulla. Sono pochi i casi di persone che preferiscono esporsi, dialogare, confrontarsi: il metodo sintetizzato in “uno vale uno”, che ha avuto un certo successo in politica, è ciò che anima la maggior parte delle menti. Se questo fenomeno è così diffuso su temi di carattere più generale, esso si manifesta ancor di più se l’oggetto della riflessione è l’amore. E questo avviene perché sparlare di Renzi o Salvini, degli USA o della Cina, del Sindaco o dell’Alitalia in fondo ci coinvolge in modo relativo, mentre l’amore ci trascina nella pubblica piazza in prima persona. E dunque parlare d’amore comporta il dire tutto e il contrario di tutto, sentenze storiche e aforismi filosofici, riferimenti religiosi o appunti cinematografici, ma tutto risulta completamente sganciato dall’esperienza personale.

In questa sede procederò in un modo diverso, che da un lato fa riferimento alla mia esperienza personale, alle mie scelte, alle mie trasformazioni, ma dall’altro considera come esperienza personale anche tutte le riflessioni di carattere generale o teorico, perché queste hanno lasciato il segno nella concretezza della quotidianità. Come ho detto sopra, quando ho accennato che ragione e sentimento (per usare termini comuni) si interconnettono, le mie scelte non sono mai state il frutto dell’applicazione di un protocollo, tanto meno nel senso di istruzioni per l’uso. Perché questa avvenga è però necessario fare proprio un metodo che abbia alcuni riferimenti non istintivi né provvisori. Mi riferisco all’importanza della strategia e dell’orizzonte.

Nell’amore, ancor più che in altri campi, si verificano due posizioni contrapposte che sembrano essere le uniche possibili.

La prima è il frutto di secoli di universalismo e generalizzazione, prima in ambito religioso poi in quello scientifico, e ha abituato anche le menti comuni a vedere la realtà in un modo simile perché più semplice da con-tenere e com-prendere, anche se poi enorme era lo scontro con quanto succedeva e veniva vissuto da ognuno. Così si continua a usare belle frasi sull’amore, identificato con il Bene, e il fatto che non corrispondano con l’esperienza non ne inficia minimamente il valore: “Sentimento di viva affezione verso una persona, che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia. (Definizione della Treccani)”. Internet è stracolmo di frasi sull’amore, naturalmente belle; tra i tanti suggerisco il sito “www.pensieriparole.it/aforismi/amore/” ed è tutto un bestiario di luoghi comuni che

vanno nell’unica direzione di esaltarne il carattere positivo, per cui se qualcosa va storto evidentemente non è “vero amore”: sono più di 3000 pagine e scusate se è poco.

L’altra posizione esalta il pragmatismo che appare la scelta obbligata in un mondo che ha visto i suoi lanternoni spengersi uno dopo l’altro; la stessa religione ha perso tutto il suo valore e rimane come afflato individuale così che l’uomo è costretto ad adattarsi e cercare di fornire risposte più alla sua portata. I Sacramenti e l’attesa dell’Al di là sostenevano un’esistenza breve e piena di difficoltà; una volta che si può vivere bene senza aspettare il mondo post-mortem allora il presente, il concreto, il materiale diventano il punto di riferimento che si impone in misura crescente. Anche coloro che aspettano con serenità il ritorno nella “casa del Padre” non rinunciano a vivere al meglio la vita terrena. Per i più l’attenzione viene rivolta al “mondo” in modo sempre più ampio e intenso, ma, senza orizzonti; è solo esigenza pragmatica che svela, come vedremo in uno dei capitoli centrali, il dominio della volontà di potenza. E ogni scelta trova il suo supporto teorico che in realtà è solo una giustificazione a posteriori: il lanternone illuminava tutto e tracce di oscurità erano marchiate a fuoco, ora i lanternini illuminano porzioni di spazio sempre più piccole e, quando compare il buio, allora si girano da un’altra parte. E così, poiché ci portiamo dietro e dentro segni costitutivi del passato, soffriamo di emicrania perché siamo abituati, ed educati, a concepire in un certo modo l’amore, mentre la realtà in cui siamo immersi è completamente e radicalmente nuova. Ci adeguiamo e ci adattiamo, come ogni bravo essere evolutivo, ma continuiamo a proporre qualcosa che ci viene dal passato, un passato recente che ci ha formato e conformato. Ha formato e conformato anche me.

 

Questo libro segue un itinerario che ha una sua struttura, non organica, ma a cui ho cercato di dare una certa omogeneità per un motivo essenziale che riguarda il fatto che si tratta della sintesi di un percorso che ho fatto in alcuni decenni, un percorso quello non certo omogeneo ma reticolare e complesso, ricostruibile attraverso i miei altri lavori.

In questo capitolo ho voluto introdurre l’argomento mostrandone le radici generali e personali, teoriche e pratiche, sperando di suscitare nell’eventuale lettore un certo interesse a continuare.

Il passo successivo consiste in un percorso nella letteratura per mostrare i cambiamenti da una visione sostanzialmente erotica a una proposta che ha permesso di avviare e poi consolidare una trasformazione talmente importante e profonda che ne portiamo i segni e gli stimoli nel pensiero e nel corpo.

 

In particolare dedicherò un capitolo al riassunto de “La doppia fiamma” di Octavio Paz che ritengo l’opera sull’amore su cui costruire le nostre fondamenta, perché ci fornisce le basi storiche e teoriche, logiche e cronologiche, generali e personali di quella realtà che chiamiamo “amore”, oltre i soliti stereotipi. Di questo libro ho parlato in modo abbastanza diffuso, seppur sintetico, nel capitolo dedicato al poeta messicano del mio Corso di letteratura non deterministica.

A questo punto entrerò dentro l’argomento sviluppando un elemento che ritengo decisivo se vogliamo affrontare in modo positivo una relazione d’amore: la volontà di potenza. Questo elemento naturalmente non è nuovo in sé, ma è nuovo il legame che rilevo tra esso e l’amore, non solo andando controcorrente (cosa del tutto secondaria) ma soprattutto mostrando come avvicinandoci a questo elemento molte cose si chiariscono e ci permettono di fare un passo avanti.

Il passo successivo può sembrare una parentesi, ma è in realtà un elemento costitutivo degli sviluppi contemporanei della relazione amorosa, anche se troppo spesso l’uso dell’espressione “rivoluzione sessuale” ne limita la prospettiva; parlerò del tema della “diversità” intesa come caratteristica centrale della contemporanea affermazione dell’individuo e che, proprio per questo motivo, coinvolge direttamente il più ampio discorso sull’amore.

La parte conclusiva non riassume quanto fino ad allora presentato, ma sviluppa un aspetto che nasce nel terreno dei capitoli precedenti come una pianta da un seme. Il discorso sulla volontà di potenza spirituale è il tema di queste conclusioni: non è una previsione tanto meno deterministica, ma una delle infinite possibilità che possono nascere dal sistema di vincoli in cui ci troviamo a vivere. Può benissimo non essere il futuro di quel passato rappresentato dall’oggi, ma non è una fantasia, priva di radici e di riferimenti, per di più messa alla prova dall’esperienza personale. Può non rappresentare la prospettiva verso la quale guardare, ma sicuramente rappresenta quell’orizzonte che, indipendentemente dalla sua realizzazione, può aiutare ognuno di noi a fare i conti con se stessi e la propria storia.

In questo senso il suo valore non sta nel porsi come il Sol dell’Avvenire, ma nel metodo di cui è parte integrante.

 

Penso di pubblicare un capitolo ogni quindici giorni.