Nel mio saggio sulla letteratura vista da una prospettiva complessa c’è un capitolo su Octavio Paz (https://letteraturacomplex.blogspot.com/2021/01/octavio-paz-lultimo-dei-moderni-il.html?) che propone, grazie alle ultime due opere del poeta messicano, un’idea nuova di poesia, adatta ai cambiamenti epocali avvenuti in questi decenni. Qui però si parlerà del contenuto del primo libro, La doppia fiamma del 1993, cioè dell’amore; non si parlerà di poesia.
Nei due capitoli precedenti ho proposto un excursus sulla letteratura per vedere come la cultura ha parlato d’amore dal mondo classico ai nostri giorni, e l’ho fatto per mostrare come l’idea di amore che oggi ci caratterizza sia un frutto storico-evolutivo e non qualcosa di innato. L’esigenza di parlare del libro di Paz nasce dal fatto che i miei due capitoli non sono esaustivi e hanno una prospettiva limitata nel tempo, ma soprattutto nello spazio. Esiste poi il fatto che il libro di Paz è completo e in questo senso rappresenta il punto di partenza per chi volesse affrontare l’argomento con le basi più solide possibili.
I miei due capitoli sono l’approccio personale che tiene conto di Paz ma poi si muove secondo direttrici proprie; questo capitolo vuole offrire al lettore quel materiale e quegli snodi che gli permettano di sviluppare poi un percorso personale.
PRIMO SNODO: SESSUALITA’, EROTISMO, AMORE
Secondo il Diccionario de Autoridades la fiamma è “la parte più sottile del fuoco, che si eleva e si innalza in forma piramidale”. Il fuoco originale e primordiale, la sessualità, innalza la fiamma rossa dell’erotismo e questa, a sua volta, sostiene e innalza un’altra fiamma, azzurra e tremula: quella dell’amore. Erotismo e amore: la fiamma doppia della vita” (La llama doble, Ed. Seix Barral 1993, pag.7, trad. mia).
Nel linguaggio comune i primi due termini, sessualità ed erotismo, risultano intercambiabili, spesso coinvolgendo anche il terzo, l’amore. Non è una confusione di poco conto perché turba e disturba le relazioni tra le persone.
La sessualità, il sesso, è Natura nel semplice e primitivo significato di ciò che appartiene a tutti gli esseri viventi; il termine deriva dal latino sex-us e sec-us che richiama il greco tek-os (nato, procreato) da cui texere-tessere, cioè fabbricare. Quindi per quanto si voglia estendere il significato ad altri aspetti ha ragione Paz quando ci riporta sul suo alveo, quello della riproduzione, che si trova in natura ovunque. Anche il termine natura richiama il nascere e dunque il generare.
Nell’ambito della Natura e del Naturale l’uomo occupa uno spazio molto particolare, perché per noi non esiste Natura senza Cultura ed è ciò che ci differenzia da tutti gli altri esseri viventi.
“Nel seno della natura l’uomo si è creato un mondo a parte, composto di quell’insieme di pratiche, istituti, riti, idee e cose che chiamiamo cultura. Alla sua radice, l’erotismo è sesso, natura; per essere una creazione e per le sue funzioni nella società, è cultura” (idem, pag. 16).
Il libro è un intreccio continuo di relazioni che lasciano socchiuse tutte le porte che apre, in un movimento a spirale che coinvolge tutti gli aspetti della vita umana, da quelli più evidenti della quotidianità a quelli che rimangono sottesi seppur importanti e decisivi, le concezioni scientifiche e in genere culturali, le abitudini, le tradizioni e tutto ciò che abbiamo ereditato dal passato.
In tutto questo universo, cosciente ma molto spesso inconscio, noi nutriamo la nostra attività erotica che esiste non solo nel campo della scelta del partner o dei partner, ma anche nelle manifestazioni, semplici o complicate, con cui pensiamo e procediamo nel raggiungimento del piacere. Tutta questa attività è un insieme di pieni e di vuoti, di affermazioni e di negazioni, che formano e conformano la nostra persona, lasciando un segno profondo. Non c’è una regola né un modello comuni, ma i tempi e le forme con cui si costruisce la nostra attitudine erotica variano da persona a persona pur in un quadro sociale e storico che può esprimere colori generali di repressione o di liberazione.
“L’erotismo è invenzione, variazione incessante; il sesso è sempre lo stesso. Il protagonista dell’atto erotico è il sesso o, più esattamente, i sessi. Il plurale è di rigore perché, perfino nei piaceri cosiddetti solitari, il desiderio sessuale inventa sempre una coppia immaginaria…o molte. In ogni incontro erotico c’è un personaggio invisibile e sempre attivo: l’immaginazione, il desiderio. All’atto erotico partecipano sempre due o più, mai uno. Qui si rivela la prima differenza tra la sessualità animale e l’erotismo umano: nel secondo, uno o più tra i partecipanti può essere un ente immaginario. Solo gli uomini e le donne si accoppiano con incubi e succubi” (idem, pag. 15).
L’erotismo in quanto invenzione umana presenta la complessità dell’essere umano.
Esso è vita e allo stesso tempo morte: vita e flusso vitale perché ci fa sentire vivi, ma allo stesso tempo morte perché il suo fine non è la riproduzione.
Esso è astinenza e licenza allo stesso tempo, aspetti portati all’estremo nei conventi e nel libertinaggio, anche se in entrambi i casi l’elemento non si presenta in termini assoluti: l’astinenza non può espellere l’universo umano dalla persona e le polluzioni notturne sono lì a ricordarlo; allo stesso modo il libertino non può fare a meno di momenti di sazietà, mentre l’impotenza è sempre in agguato.
Esso è individuale e sociale, perché valorizza l’agire e il subire della persona, mentre le forme in cui si manifesta tradiscono il tempo e lo spazio.
Esso è soggetto e oggetto, perché la persona per affermarsi deve negarsi, imporsi sull’altro e allo stesso tempo subire le scelte dell’altro.
Pensare all’atto erotico come a qualcosa di tecnico, istruzioni per l’uso, è quanto di più astratto possa esistere, perché anche quando l’intesa si presenta forte c’è sempre lo spazio, in un gradiente da minimo a massimo, per qualcosa di non previsto.
Dell’amore parlerò d’ora in avanti.
SECONDO SNODO: ORIENTE E OCCIDENTE
Paz distingue “tra il sentimento amoroso e l’idea dell’amore adottata da una società” (idem, pag.34). Il primo si ritrova ovunque e anche in epoche lontane, il secondo è invece patrimonio dell’Occidente e ha assunto un valore più ampio dal momento che si è diffuso e continua a diffondersi in tutte le aree del globo.
L’amore cortese è, come ho scritto nel precedente capitolo, il punto di svolta dall’erotismo all’amore, ma una forma simile si ritrova anche in Oriente, con la differenza che, per i motivi che vedremo, là non si è sviluppato e non ha prodotto frutti.
“L’amor cortese (di corte) si impara: è un sapere dei sensi illuminati dalla luce dell’anima, un’attrazione sensuale raffinata dalla cortesia. Forme analoghe a quelle dell’Occidente fiorirono nel mondo islamico, in India e nell’Estremo Oriente. Anche là ci fu una cultura dell’amore, privilegio di un gruppo ridotto di uomini e donne. Le letterature araba e persiana, entrambe strettamente associate alla vita di corte, sono molto ricche di poesie, storie e trattati sull’amore. Infine, due grandi romanzi, uno cinese e l’altro giapponese, sono essenzialmente storie d’amore e tutt’e due si svolgono in un ambiente chiuso e aristocratico”. Idem, (pag. 35-36)
Nel romanzo di Cao Xuequin del XVIII sec., Il sogno della camera rossa (Hung lou meng), la storia si svolge in una dimora cortigiana e l’eroe e le due eroine appartengono all’aristocrazia (… il titolo del romanzo è inesatto. In realtà Hung lou meng vuol dire: Sogno di dimore rosse. Si chiamavano così le case dei ricchi per il colore rossiccio dei muri; le case della gente comune erano grigie).
Il libro è ornato di poesie e di riflessioni sull’amore. Queste ultime sono una mescolanza della metafisica del buddismo e di quella del taoismo, tutto colorito di credenze e superstizioni popolari come nella Tragicommedia di Callisto e Melibea, il nostro grande e terribile libro dell’amore. La severa filosofia di Confucio appena compare ne Il sogno dell’alloggio rosso, salvo come una fastidiosa rete di proibizioni e precetti che gli adulti pongono contro la passione giovanile. Regole ipocrite che coprono la sfrenata cupidigia e lussuria degli stessi adulti. Contrapposizione tra il mondo profano e quello sacro: la morale degli adulti è mondana mentre l’amore tra Bao-yu e Dai-yu è il compimento di un destino deciso migliaia di anni fa.
Qualcosa di simile va detto di Genji Monogatari (Storia del Genji) dell’XI sec., il romanzo di Murasaki Shikubu, dama di corte giapponese: i personaggi sono membri della più alta nobiltà e i suoi amori sono visti attraverso una malinconica filosofia impregnata di buddismo e del sentimento di fugacità delle cose in questo mondo” (idem, pag. 36).
“Accettata l’esistenza in altre civiltà di varie ideologie dell’amore, aggiungo che ci sono differenze fondamentali tra esse e quella dell’Occidente. La centrale mi pare la seguente: in Oriente l’amore fu pensato all’interno di una tradizione religiosa; non si trattò di un pensiero autonomo ma di una derivazione da questa o quella dottrina. Invece, in Occidente, fin dal principio, la filosofia dell’amore fu concepita e pensata fuori dalla religione ufficiale e, talvolta, contro di lei.
…
Il caso più eloquente è quello dell’amor cortese. che fu visto dalla Chiesa non solo con inquietudine ma con riprovazione. Nulla di tutto ciò si trova nella tradizione orientale. La storia di Cao Xuequin è composta come un contrappunto tra due mondi che, seppur separati, vivono in comunicazione: l’altro mondo del buddismo e del taoismo, popolato da monaci, asceti e divinità, contrapposto alle passioni, agli incontri e alle separazioni di una famiglia aristocratica e poligama nella Cina del secolo XVIII. Metafisica religiosa e realismo psicologico. Lo stesso dualismo regge la storia di Murasaki. Nessuna di queste opere nè gli altri romanzi, opere di teatro e poesie di tema amoroso furono accusate di eterodossia. Alcune furono criticate e perfino, talvolta, proibite per audacia e oscenità, ma non per le idee.
La concezione occidentale del destino e del suo rovescio e complemento: la libertà, è sostanzialmente differente dalla concezione orientale. Questa differenza ne comprende altre due, intimamente associate: la responsabilità di ognuno per i nostri atti e l’esistenza dell’anima.
Il buddismo, il taoismo e l’induismo condividono la credenza nella metempsicosi ed è per ciò che la nozione di un’anima individuale non risulta così netta in queste credenze. Per induisti e taoisti ciò che chiamiamo anima non è altro che un momento di una realtà che non cessa di cambiare dal passato e che, fatalmente, continuerà a trasformarsi nelle vite a venire fino a raggiungere la liberazione finale.
In quanto al buddismo: nega risolutamente l’esistenza di un’anima individuale. Nei due romanzi-per tornare alle opere di Cao Xuequin e di Murasaki- l’amore è un destino imposto dal passato. Più esattamente: è il karma di ogni personaggio. Il karma, come si sa, non è altro che il risultato delle nostre vite precedenti. Così, l’improvviso amore di Yugao verso il Genji e le gelosie che suscita nella “signora di Rokujo” sono il frutto non solo del suo presente ma, soprattutto, delle sue vite passate. Shuichi Kato osserva la frequenza con la quale Murasaki usa la parola sukuse (karma) per spiegare la condotta e il destino dei suoi personaggi.
Invece, in Occidente l’amore è un destino liberamente scelto; voglio dire, per quanto potente sia l’influenza della predestinazione -l’esempio più conosciuto è la pozione magica che bevono Tristano e Isotta- affinchè il destino si compia è necessaria la complicità degli amanti. L’amore è un nodo nel quale si legano, indissolubilmente, destino e libertà.
…
Nelle due opere l’analisi della passione amorosa e del suo carattere contemporaneamente reale e irreale è penetrante e finissima; è per questo che sono state paragonate a vari romanzi europei e in particolar modo a quello di Proust. Anche A la recherche du temps perdu è il racconto di una sinuosa peregrinazione che porta il Narratore, di disinganno in disinganno e guidato da quel Virgilio che è la memoria involontaria, alla contemplazione della realtà delle realtà: il tempo stesso.
Nelle due storie orientali il cammino del disinganno non porta alla salvezza dell’io ma alla rivelazione di un vuoto ineffabile e indicibile; non assistiamo ad una apparizione ma ad una scomparsa: quella di noi stessi in un vuoto radioso. Alla fine dell’opera di Proust il Narratore contempla la cristallizzazione del tempo vissuto, un tempo suo e non trasferibile ma che non è più suo: la realtà così com’è, appena una vibrazione, è la nostra porzione di immortalità. La peregrinazione di Proust è una ricerca personale, ispirata da una filosofia indipendente dalla religione ufficiale; quella degli eroi di Cao Xuequin e Murasaki è la conferma delle verità e degli insegnamenti del buddismo e del taoismo. Per quanto violente siano state le sue trasgressioni, in Oriente l’amore fu vissuto e pensato all’interno della religione; potè essere un peccato, non un’eresia. In Occidente l’amore si realizzò di fronte alla religione, fuori di essa e anche contro. L’amore occidentale è il figlio della filosofia e del sentimento poetico che trasforma in immagine tutto ciò che tocca. Per questo, da noi, l’amore è stato un culto.” (idem, pag. da 37 a 40).
Ho detto che l’amore cortese è il punto di svolta, un amore che si caratterizza per un’ampia diffusione soprattutto in Francia e in Italia, espressione di un gruppo ristretto di persone che afferma la propria superiorità grazie a questo nuovo modo di sentire. Esso si ritrova anche in Oriente dove si forma attraverso espressioni simili ma autonome: abbiamo visto come però esso rimanga in quelle regioni subordinato o meglio inquadrato all’interno delle rispettive religioni. In Occidente invece avviene per l’amore quello che avviene anche in campo economico e giuridico: la separazione dalla religione, per quanto in intima connessione proprio per le caratteristiche diverse del Cristianesimo, ha fatto sì che l’idea di libero arbitrio e di persona abbiano permesso la nascita dell’amore moderno così come di un’economia mercantile e di istituzioni democratiche.
Amore, Mercato, Stato di Diritto.
TERZO SNODO: L’APPARENTE INESPLICABILE
La complessità dell’amore si manifesta fin da subito. Lo abbiamo visto con Abelardo ed Eloisa che guardano in due direzioni diverse, lo abbiamo visto nell’intreccio tra umano e religioso, tra finito e infinito sia in Petrarca sia negli autori secenteschi, lo abbiamo visto nelle molteplici manifestazioni ostaggio ora del cuore ora della ragione, lo abbiamo visto nel peso che le caratteristiche sociali impongono, soprattutto nella narrativa dell’Ottocento. A partire da questo momento l’attenzione è sempre più rivolta alle dinamiche individuali che impediscono di tracciare una linea comune e degli esempi che possano servire da modelli. Lo scavo nell’IO viene portato avanti soprattutto dalla poesia, ma trova importanti contributi nella prosa, come in Joyce, Proust, Pirandello e qualche altro.
Qui ci troviamo veramente nel centro della questione perché è qui che da un lato si va in profondità, ma dall’altro non si riesce a dipanare la matassa: succede nell’amore quello che succede nello scavo dentro l’IO, cioè si portano alla luce molti aspetti e molte dinamiche dell’individuo, ma non si riesce a individuare quell’orizzonte verso il quale muoversi.
Pirandello ha parlato delle difficoltà che l’individuo incontra nelle relazioni con gli altri. Ha cominciato analizzando il continuo conflitto che esiste tra lo slancio vitale e la forma che gli è necessaria per realizzarsi, anche se spesso quella forma ne riduce la potenza e può anche annullarla. Ha mostrato come ogni nostra manifestazione non corrisponda a una realtà, ma sia espressione incerta e provvisoria e lo ha fatto usando il termine “maschera”. Ha usato il filtro del sentimento del contrario per cogliere le sfumature e i diversi elementi che entrano in gioco, facendoci sorridere anche in situazioni tutt’altro che piacevoli.
“Mi riferisco alle ultime pagine dell’Ulisse di Joyce. Dopo aver vagabondato per la città, i due personaggi, Bloom e Stephen, ritornano alla casa di Ulisse-Bloom. Ossia: a Itaca, dove l’aspetta Penelope-Molly. La moglie di Bloom è tutte le mogli o, meglio, è la moglie: la fonte perenne, la grande vagina, la montagna madre, il nostro inizio e la nostra fine. Vedendo Stephen, giovane poeta, Molly decide che presto sarebbe divenuto il suo amante. Molly non solo è Penelope ma anche Venere se non che, senza la poesia e i suoi poteri di consacrazione, non è né moglie né dea. Sebbene Molly sia un’ignorante, ella sa di non essere nulla senza il linguaggio, senza le metafore sublimi o idiote del desiderio. Per questo si adorna con complimenti, canzoni e arie alla moda come se fossero collane, orecchini e braccialetti. La poesia, la più alta e la più bassa, è il suo specchio: vedendo la sua immagine, vi si addentra, si inabissa nel suo essere e si trasforma in una sorgente.
Gli specchi e il proprio doppio: le fonti, appaiono nella storia della poesia erotica come emblemi di caduta e resurrezione. Come la donna che in esse si contempla, le fonti sono acqua di perdizione e acqua di vita; specchiarsi in quelle acque, cadervi dentro e uscirne nuotando, è tornare a nascere. Molly è una sorgente e parla ininterrottamente in un lungo soliloquio che è come l’inesauribile mormorio che sgorga da una fonte. E che dice? Tutto questo torrente di parole è un gran Sì alla vita, un Sì indifferente al bene o al male, un Sì egoista, provvido, avido, generoso, opulento, stupido, cosmico, un Sì di accettazione che fonde e confonde nel suo monotono fluire il passato, il presente e il futuro, ciò che fummo, siamo e saremo, tutto insieme e tutti insieme in una grande esclamazione come onde che sollevano, sprofondano e sconvolgono tutti in un tutto senza inizio nè fine.
Il gran Sì di Molly contiene tutte le negazioni e le trasforma in un inno alla vita indifferenziata.” (idem, pag. da 31 a 33,).
L’apparente inesplicabile, “l’amaro mistero dell’amore”, “L’amore che avrebbe potuto essere forse era questo, il che a volte donava ai dolci tratti del suo viso un’aria, una tensione di significati inespressi, conferendo una vaga vena nostalgica ai suoi begli occhi, un fascino a cui pochi sapevano resistere” (Joyce, Ulisse).
L’apparente inesplicabile, “l’amaro mistero dell’amore”, “E chissà che non fosse questo, l’amore che avrebbe potuto essere, a donare talora al suo volto dai lineamenti così dolci, quella intensità dai mille taciti significati, e a impartire uno strano senso di vaga nostalgia ai begli occhi, quel fascino a cui pochi sapevano resistere” (Joyce, Ulisse, pag. 339, Ed. Oscar Mondadori 1991).
Quando Swann e Odette parlavano di “faire catleya” non si riferivano semplicemente all’accoppiamento; inoltre, la parola talismano, “catleya“, aveva un senso per Odette e un altro per Swann: per lei designava un certo piacere erotico con una certa persona e per lui era il nome di un sentimento terribile e doloroso: l’amore che provava per Odette.
“In tutti questi esempi, senza escludere il più commovente: Otello, il codice sociale è determinante. Non in Proust, il grande poeta moderno, non dell’amore ma della sua secrezione velenosa, la sua goccia fatale: la gelosia. Swann si sa vittima di un delirio. Non lo lega ad Odette né la tirannia dell’attrazione sessuale né quella dello spirito. Anni dopo, ricordando la sua passione, si confessa: “e pensare che ho perduto i migliori anni della mia vita a causa di una donna che non era il mio tipo“. La sua attrazione verso Odette è un sentimento inesplicabile, se non in termini negativi: Odette lo affascina perché è inaccessibile. Non il suo corpo: la sua coscienza. Come l’amata ideale dei poeti provenzali, è irraggiungibile. Lo è, nonostante la facilità con cui si abbandona, per il semplice fatto di esistere… Odette è infedele e mente in continuazione ma, se fosse sincera e fedele, sarebbe sempre inaccessibile. Swann la può toccare e possedere, la può tener isolata e rinchiusa, può convertirla in sua schiava: una parte di lei gli scapperà. Odette sarà sempre altra. Odette esiste realmente o è una finzione del suo amante? La sofferenza di Swann è reale: ma è reale anche la donna che la causa? Sì, è una presenza, un volto, un corpo, un odore e un passato che non saranno mai suoi. La presenza è reale ed è impenetrabile: cosa c’è dietro quegli occhi, quella bocca, quei seni? Swann non lo saprà mai. Forse neanche la stessa Odette lo sa; non solo mente al suo amante: mente a se stessa.
Il mistero di Odette è quello di Albertina e quello di Gilberta: l’altro ci scappa sempre. … Lei non lo ama: lo usa. Nemmeno lui l’ama: la disprezza. Eppure, non può separarsi da lei: la gelosia lo lega. E’ innamorato della sua sofferenza e la sua sofferenza è cosa vana. Viviamo con fantasmi e noi stessi siamo fantasmi. Per uscire da questo carcere immaginario non ci sono che due strade.
La prima è quella dell’erotismo e abbiamo già visto che finisce contro un muro. La domanda dell’amante geloso: a che pensi, che senti?, ha la sola risposta del sadomasochismo: tormentare l’altro o tormentare noi stessi. In tutt’e due i casi l’altro è inaccessibile e invulnerabile. Non siamo trasparenti né per gli altri né per noi stessi. In questo consiste il peccato originale dell’uomo, il segno che ci condanna fin dalla nascita.
L’altra uscita è quella dell’amore: abbandonarvisi, accettando la libertà della persona amata. Una pazzia, una chimera? Forse, però è l’unica porta dal carcere della gelosia. Molti anni fa scrissi: l’amore è un sacrificio senza virtù; oggi direi: l’amore è una scommessa, insensata, per la libertà. Non la mia, quella degli altri.” (idem, pag. da 58 a 60).
Mi sono soffermato sulle parti che Paz dedica a Joyce e Proust, perché il romanzo permette di uscire dal particolare e fa sì che si individuino non solo eventi, ma anche percorsi. La parte che trovo più interessante è quella relativa a Proust, perché mette in risalto un aspetto fondamentale dell’amore, il carattere inaccessibile e invulnerabile dell’altro, il fatto che l’amore si basa su una non conoscenza di quell’IO che noi siamo. Ho detto non conoscenza evitando la parola usata da Paz, menzogna, perché questa fa trasparire una volontà che non esiste: l’amore è incontro tra due IO, tra due persone che credono di conoscersi, che credono di sapere chi e cosa sono, per cui non hanno bisogno di scavare dentro se stessi e dunque non sentono la necessità di fare i conti con se stessi.
In questo senso la seconda via d’uscita proposta da Paz non è in realtà una via d’uscita, se non dall’amore; la crisi dell’amore che stiamo vivendo non può rinunciare a uno dei suoi aspetti costitutivi, il legame con un’unica persona: la libertà degli altri deve fondarsi su radici che appartengono all’amore, in particolare la costruzione della propria persona.
Ma di questo parlerò nei prossimi capitoli.
QUARTO SNODO: CINQUE NOTE IN CONTINUITA’
Nello sforzo di mettere ordine alle sue idee, Paz individua le modalità che hanno resistito alla erosione dei secoli e alle mutazioni storiche: “Possono ridursi a cinque e compongono ciò che ho osato chiamare gli elementi costitutivi della nostra immagine dell’amore” (idem, pag.117).
Vediamole.
LA PRIMA è la esclusività.
“La prima nota caratteristica dell’amore é l’esclusività…Essa é la linea che traccia la frontiera tra l’amore e il territorio più vasto dell’erotismo. Quest’ultimo è sociale ed è presente in tutti i luoghi e in tutte le epoche. Non c’è società senza riti e pratiche erotiche, dai più innocui ai più sanguinosi. L’erotismo è la dimensione umana della sessualità, ciò che l’immaginazione aggiunge alla natura…L’amore è individuale o, più esattamente, interpersonale: amiamo solamente una persona e le chiediamo di amarci con un sentimento esclusivo identico. L’esclusività esige la reciprocità, il consenso dell’altro, la sua volontà…
Nel caso dell’amore esclusivo si tratta di una condizione assoluta: senza di essa non c’è amore. Ma non solamente con essa: é necessario che concorrano, in maggiore o minor misura, gli altri elementi. Il desiderio di esclusività può essere semplice ansia di possesso. … Per questo chiede reciprocità e così sconvolge radicalmente il vecchio rapporto tra dominio e servitù. L’amore esclusivo è il fondamento degli altri componenti: tutti riposano in esso; è anche l’asse intorno al quale tutti girano. L’esigenza di esclusività è un gran mistero: perché amiamo questa persona e non un’altra? Nessuno ha potuto risolvere questo enigma…
Tra l’amore esclusivo e la promiscuità c’è una serie di gradazioni e sfumature. Tuttavia, l’esclusività è l’esigenza ideale e senza di essa non c’è amore…E se amiamo due persone allo stesso tempo? Si tratta sempre di un conflitto passeggero; frequentemente esso si presenta al momento del passaggio da un amore a un altro. La scelta, che è la prova dell’amore, risolve invariabilmente, talvolta in modo crudele, il conflitto.” (idem, pag. da 117 a 119).
LA SECONDA è DI NATURA POLEMICA: l’ostacolo e la trasgressione.
“Il secondo elemento è di natura polemica: l’ostacolo e la trasgressione. Non invano si è paragonato l’amore alla guerra: tra gli amori famosi della mitologia greca, ricca di tumulti erotici, ci sono gli amori di Venere e di Marte. Il dialogo tra l’ostacolo e il desiderio si presenta in tutti gli amori e assume sempre la forma di una battaglia. Dalla dama dei trovatori, incarnazione della lontananza -geografica, sociale o spirituale- l’amore è stato sempre sia interdizione sia infrazione, impedimento e rottura. Tutte le coppie, quelle dei poemi e dei romanzi così come quelle del teatro e del cinema, si scontrano con questa o con quella proibizione e tutte, con sorte diversa, spesso tragica, la violano.
Nel passato l’ostacolo fu soprattutto di ordine sociale. L’amore nacque, in Occidente, nelle corti feudali, in una società fortemente gerarchica…Con il passare del tempo i divieti derivati dal rango e dalle rivalità di clan si sono attenuati, anche senza sparire del tutto. E’ impensabile, per esempio, che l’inimicizia tra due famiglie, come quella dei Capuleti e dei Montecchi, possa impedire in una città moderna gli amori di due giovani. Ma oggi ci sono altre proibizioni non meno rigide e crudeli; inoltre, molte di quelle antiche si sono rafforzate. L’interdizione fondata sulla razza continua ad essere in vigore, non tanto nella legislazione quanto nei costumi e nella mentalità popolare…
Un’altra proibizione che non è ancora scomparsa completamente è quella relativa agli amori omosessuali, sia maschili sia femminili. Questo tipo di rapporti fu condannato dalle Chiese e per molto tempo fu chiamato il “peccato nefando”. Oggi le nostre società -parlo delle grandi città- sono abbastanza più tolleranti di qualche anno fa; tuttavia, l’anatema persiste ancora in molti ambienti. Non si deve dimenticare che appena un secolo fa causò la disgrazia di Oscar Wilde. La nostra letteratura si è generalmente sottratta a questo tema: era troppo pericoloso. O lo ha mascherato: tutti sappiamo, per esempio, che Albertina, Gilberta e le altre “jeunes filles en fleur” erano in realtà ragazzi. Gide dimostrò molta forza* pubblicando Corydon; il romanzo di E.M.Foster, Maurice, apparve per volontà dell’autore solo dopo la sua morte. Alcuni poeti moderni furono più audaci e tra loro risalta uno spagnolo: Luis Cernuda. Per apprezzare il suo coraggio* bisogna pensare agli anni, al mondo e alla lingua di quando Cernuda pubblicò le sue opere.
In passato i divieti più rigorosi e temuti erano quelli delle Chiese. Ancora continuano ad esserlo, sebbene nelle società moderne, prevalentemente secolari, siano meno ascoltate… il secolo XX ha perfezionato gli odi religiosi trasformandoli in passioni ideologiche. Gli Stati totalitari non hanno solo sostituito le inquisizioni ecclesiastiche ma i loro tribunali furono anche più spietati ed ottusi.
Una tra le conquiste della modernità democratica è stata quella di sottrarre al controllo dello Stato la vita privata, vista come un sacro dominio delle persone; i totalitari fecero un passo più in là e osarono legiferare sull’amore.
I nazisti proibirono ai tedeschi rapporti sessuali con gente che non fosse ariana. Inoltre, concepirono programmi di eugenetica destinati a perfezionare e purificare la “razza tedesca”, come se si trattasse di cavalli o di cani. Per fortuna non ebbero tempo per portarli a compimento.
I comunisti non furono meno intolleranti; la loro ossessione non fu la purezza razziale ma quella ideologica. Ancora vive nella memoria pubblica il ricordo delle umiliazioni e delle bassezze che dovevano sopportare i cittadini di quelle nazioni per sposarsi con persone del “mondo libero”. Uno dei grandi romanzi d’amore della nostra epoca -Il dottor Zivago, il romanzo di Boris Pasternak- racconta la storia di due amanti separati dagli odi delle fazioni ideologiche durante la guerra civile scoppiata alla presa del potere da parte dei bolscevichi…Pasternak descrive il delirio degli amanti, perduti in una capanna della steppa, mentre gli uomini si sgozzano per delle astrazioni. Il poeta russo paragona quelle carezze e quelle frasi interrotte con i dialoghi sull’amore degli antichi filosofi. Non esagerò: per gli amanti il corpo pensa e l’anima si tocca, è palpabile” (idem, pag. da 119 a 123).
LA TERZA: il dominio e la sottomissione.
L’amore è stato ed è la grande sovversione dell’Occidente. Come nell’erotismo, l’agente della trasformazione è l’immaginazione. Solo che, nel caso dell’amore, il cambiamento si dispiega in relazione contraria: non nega l’altro né lo riduce ad ombra ma è negazione della propria sovranità. Questa autonegazione ha una contropartita: l’accettazione dell’altro. Diversamente da ciò che capita nel campo del libertinaggio, le immagini si fanno carne: l’altro, l’altra, non è un’ombra ma una realtà fatta di carne e spirito. Posso toccarla e anche parlarle. E posso udirla – e ancor più: bermi le sue parole. E’ ancora la transustanziazione: il corpo diventa voce, senso; l’anima è corpo. Ogni amore è eucarestia.
L’ansia costante di tutti gli innamorati e il tema dei nostri grandi poeti e romanzieri sono sempre stati la stessa cosa: la ricerca del riconoscimento della persona amata. Riconoscimento nel senso di confessare, come dice il vocabolario, la dipendenza, subordinazione o vassallaggio in cui ci si trova rispetto ad un altro. Il paradosso consiste nel fatto che quel riconoscimento è volontario: è un atto libero. Riconoscimento anche nel senso di confessare che ci troviamo di fronte ad un mistero palpabile e carnale: una persona. Il riconoscimento aspira alla reciprocità ma è indipendente da essa. E’ una scommessa che nessuno è sicuro di vincere perché è una scommessa che dipende dalla libertà dell’altro…ricerca di una reciprocità liberamente concessa. Il paradosso dell’amore esclusivo sta nel mistero della persona che, senza saperne mai esattamente la ragione, si sente attratta in modo invincibile da un’altra persona, con l’esclusione degli altri. Il paradosso della servitù riposa su un altro mistero: la trasformazione dell’oggetto erotico in persona lo converte immediatamente in soggetto dotato di arbitrio. L’oggetto che desidero diventa soggetto che mi desidera o mi rifiuta. La cessione della sovranità personale e l’accettazione volontaria della servitù nascondono un vero cambiamento di natura: attraverso il ponte del desiderio reciproco l’oggetto si trasforma in soggetto desiderante e il soggetto in oggetto desiderato. Si rappresenta l’amore sotto forma di nodo; bisogna aggiungere che quel nodo è fatto di due libertà congiunte (idem, pag. 124-125).
LA QUARTA: fatalità e libertà.
“Dominio e servitù, così come ostacolo e trasgressione, più che elementi a sé stanti, sono varianti di una contraddizione più vasta che li ingloba: destino e libertà. L’amore è attrazione involontaria verso una persona e volontaria accettazione di questa attrazione. Si è discusso molto circa la natura dell’impulso che ci porta ad innamorarci di questa o quella persona.
Per Platone l’attrazione era un composto di due desideri, confusi in uno solo: il desiderio della bellezza e quello dell’immortalità.
La bellezza, oltre ad essere una nozione soggettiva, svolge solo un ruolo minore nell’attrazione amorosa, che è più profonda e che non è stata ancora del tutto spiegata.
E’ un mistero nel quale interviene una chimica segreta e che va dalla temperatura della pelle allo splendore dello sguardo, dalla durezza di certi seni al sapore di certe labbra. Sui gusti non c’è nulla di scritto, dice il proverbio; lo stesso va detto dell’amore. Non ci sono regole. L’attrazione è un composto di natura delicata e, in ogni caso, diversa. E’ fatta di umori animali e di archetipi spirituali, di esperienze infantili e dei fantasmi che popolano i nostri sogni. L’amore non è desiderio di bellezza: è ansia di “completezza”: la credenza nelle pozioni magiche e negli incantesimi ha rappresentato, tradizionalmente, una maniera di spiegare il carattere, misterioso e involontario, dell’attrazione amorosa. Tutti i popoli hanno leggende che hanno come tema questa credenza. In Occidente, l’esempio più conosciuto è la storia di Tristano e Isotta, un archetipo che verrà ripetuto instancabilmente dall’arte e dalla poesia. I poteri di persuasione della Celestina, nel teatro spagnolo, non risiedono unicamente nella sua lingua eloquente e nelle sue perfide smancerie ma nei suoi filtri e nelle sue pozioni. Sebbene l’idea che l’amore sia una trappola magica che cattura la volontà e l’arbitrio degli innamorati sia molto antica, è un’idea ancora viva: l’amore è un filtro e l’attrazione che unisce gli amanti è un incantesimo. Ciò che è straordinario è che questa credenza coesista con quella opposta: l’amore nasce da una libera decisione, è la volontaria accettazione di una fatalità.
Il Rinascimento e l’Età Barocca, senza rinunciare al filtro magico di Tristano e Isotta, concepirono una teoria dei sentimenti e delle simpatie. Il simbolo prediletto dai poeti di quelle epoche fu la calamita, padrone di un misterioso e irresistibile potere di attrazione.
I romantici e i moderni hanno sostituito il neoplatonismo rinascimentale con spiegazioni … Tutte, per quanto diverse, concepiscono l’amore come attrazione fatale. Solo che questo destino, sia che le vittime siano Callisto e Melibea o Hans Castorp e Claudia, è stato in tutti i casi liberamente accettato. Aggiungo: e ardentemente invocato e desiderato. Il destino si manifesta solo con e attraverso la complicità della nostra libertà. Il nodo tra libertà e destino -il grande mistero della tragedia greca e degli atti sacramentali ispanici- è l’asse intorno al quale girano tutti gli innamorati della storia. Innamorandoci, scegliamo il nostro destino. … l’amore è un mistero nel quale libertà e predestinazione si congiungono. Ma il paradosso della libertà si dispiega anche nel sottosuolo della psiche: le vegetazioni velenose dell’infedeltà, del tradimento, dell’abbandono, dell’oblio, della gelosia. Il mistero della libertà amorosa e la sua flora ora splendente ora funebre è stato il tema centrale dei nostri poeti e dei nostri artisti. Anche delle nostre vite, quella reale e quella immaginaria, quella vissuta e quella sognata” (idem, pag. da 125 a 128).
LA QUINTA: corpo e anima.
“Il quinto elemento distintivo della nostra idea dell’amore consiste, come nel caso degli altri, nell’unione indissolubile di due contrari, il corpo e l’anima. La nostra tradizione, da Platone, ha esaltato l’anima e ha svalutato il corpo. In contrapposizione, e fin dalle origini, l’amore ha nobilitato il corpo: senza attrazione fisica, carnale, non c’é amore. Oggi assistiamo ad una versione radicalmente opposta al platonismo: la nostra epoca nega l’anima e riduce lo spirito umano a un riflesso delle funzioni del corpo. Così ha minato alla sua base la nozione di persona, doppia eredità del cristianesimo e della filosofia greca. Il concetto di anima costituisce la persona e, senza persona, l’amore ritorna ad essere mero erotismo… C’é un nesso intimo e causale, necessario, tra i concetti di anima, persona, diritti umani e amore. Senza la fede in un’anima immortale inseparabile da un corpo mortale, non sarebbe potuto nascere l’amore esclusivo né la sua conseguenza: la trasformazione dell’oggetto desiderato in soggetto desiderante. Insomma l’amore esige come condizione preliminare la nozione di persona e questa quella di un’anima che si incarna in un corpo.
La parola persona é di origine etrusca e indicava a Roma la maschera dell’attore di teatro. Cosa c’é dietro la maschera, cosa é ciò che anima il personaggio? Lo spirito umano, l’anima o anima. La persona é un essere composto di un’anima e di un corpo. Qui compare un altro grande paradosso dell’amore, forse centrale, il suo nodo tragico: amiamo contemporaneamente un corpo mortale, soggetto al tempo e ai suoi accidenti, e un’anima immortale. L’amante ama egualmente il corpo e l’anima. Si può perfino dire che, se non fosse per l’attrazione verso il corpo, l’innamorato non potrebbe amare l’anima che lo anima. Per l’amante il corpo desiderato é anima; per questo le parla con un linguaggio che é oltre il linguaggio ma che é perfettamente comprensibile, non con la ragione, ma col corpo, con la pelle. Dal canto suo l’anima é palpabile: la possiamo toccare e il suo soffio rinfresca le nostre palpebre o riscalda la nostra nuca. Tutti gli innamorati hanno sentito questa trasposizione dal corporale allo spirituale e viceversa. Tutti lo sanno con un sapere ribelle alla ragione e al linguaggio…L’amore é pazzo perché rinchiude gli amanti in una contraddizione insolubile.
… L’amante ama il corpo come se fosse anima e l’anima come se fosse corpo. L’amore mescola la terra con il cielo: é la grande sovversione. Ogni volta che l’amante dice: ti amo per sempre, conferisce a una creatura effimera e mutevole due attributi divini: l’immortalità e l’immutabilità. La contraddizione é davvero tragica: la carne si corrompe, i nostri giorni sono contati. Ciò nonostante, amiamo. E amiamo con il corpo e con l’anima, nel corpo e nell’anima” (idem, pag. da 128 a 130).
Mi sono dilungato su ciò che scrive Octavio Paz perché rappresenta quanto di più significativo abbiamo nella riflessione sull’amore e non solo non possiamo fare a meno di tutto ciò, ma soprattutto è ciò da cui dobbiamo partire.
L’amore appare a Paz come costituito da una natura contraddittoria, paradossale o misteriosa: l’amore parla di me e dell’altro, ha bisogno di combattere, esprime dominio e sottomissione, è destino e allo stesso tempo libertà, ma soprattutto è scontro e incontro tra l’anima e il corpo, i miei e quelli dell’altro.
Questi contrari non sono separabili, ma vivono insieme e senza questa convivenza non esisterebbe l’amore: siamo esseri mortali, ma l’amore ci fa sentire immortali, allentando il peso del macigno che il tempo rappresenta per la vita di ognuno di noi.
Paz parla di natura contraddittoria, ma in realtà la descrizione che fa lungo tutto il libro oggi andrebbe chiamata “complessità”. Non sembri una banale differenza, perché dietro questi termini c’è un vero e proprio riferimento epistemologico: il termine “contraddittorio” rappresenta la condizione conoscitiva che va oltre il comune quadro fornito dalla dialettica, nel senso che non solo non c’è un aut-aut, ma neppure la creazione di una nuova coppia di opposti. In questo senso attribuire all’amore il carattere della complessità ci permette di ricostruirne caratteristiche e dinamiche che non si risolvono, ma che ci permettono comunque di affrontarle, entrarci dentro, fare i conti con loro, inserendole sia nella costruzione di una rete, sia nel rapporto vincolo-possibilità sia utilizzando tutti gli strumenti che la scienza della complessità ha elaborato negli ultimi 30 anni.
Per la scienza classica un fenomeno non può essere contraddittorio: si tratta di uno dei tre principi fondamentali della logica aristotelica, quello di non contraddizione, per cui è impossibile che uno stesso attributo, nello stesso tempo, sia e non sia dello stesso oggetto e nella stessa relazione.
Lo stesso vale per quanto riguarda il carattere misterioso e paradossale di un fenomeno, perché il mistero significa che il fenomeno non può essere conosciuto oppure presenta delle variabili nascoste che dovremmo trovare per renderlo conoscibile. Simile condizione vive il paradosso che è tale perché premesse e ragionamento corretti portano a una conclusione non corretta: in questo senso nel paradosso ritroviamo i limiti del mistero e della contraddizione.
Contraddizione, mistero e paradosso si collocano in quanto tali fuori dalla conoscenza, ma non è così per la scienza della complessità, la quale recupera il valore etimologico del termine pro-blema, come cioè qualcosa che dobbiamo affrontare e non più come qualcosa che ammetta una soluzione. L’amore non è un problema in senso classico perché caratterizzato da troppi elementi aleatori, ma lo è oggi perché non siamo alla ricerca di una verità assoluta e universale.
L’amore, come fenomeno contraddittorio, misterioso e paradossale, può finalmente essere studiato e affrontato, purché non si pretenda di definirlo, cioè di rinchiuderlo in una spiegazione e in un valore unico e definitivo.
Nei prossimi capitoli, pur basandomi sui nodi fondamentali espressi con estrema chiarezza da Octavio Paz, cercherò di andare oltre, nel senso che ritengo possibile individuare dei percorsi che ci portino fuori dall’impasse in cui versa sempre più l’amore, che continua ai più ad apparire come qualcosa di inestricabile oltre che di indecifrabile.
In quanto fenomeno complesso non esiste prospettiva finché rimaniamo nei dati in cui esso può essere scomposto; dobbiamo trovare qualcosa che a prima vista non abbia evidenza, ma rappresenti il punto di svolta, la maglia rotta nella rete, il margine del caos.
Ritengo che questo elemento sia la volontà di potenza: di esso e dei suoi annessi e connessi parlerò nei prossimi capitoli.