LA VOLONTÀ DI POTENZA SPIRITUALE: un possibile orizzonte

 

“La mente europea reca in sé, come promessa e pericolo massimi, il proprio tramonto. La forma più alta di contesa che essa ha immaginato è la lotta contro sé: la lotta dell’anima in sé…E’ questo forse il nesso più profondo tra eredità classica e cristianesimo. Odiare se stessi – e cioè la propria volontà di conservazione, di sopravvivenza, la propria inospitale resistenza al richiamo dell’altro, dell’assolutamente distinto, della singolarità.

Se potessimo far guerra a noi stessi così spietatamente da non risparmiarci nulla, da costringerci a tutti gli ostacoli e a tutte le interrogazioni, da non evitare alcuna responsabilità (che significa: corrispondere ad ogni problema che ci assalga), se potessimo restare così vigili e insonni in noi, contro di noi, e non versus l’altro … allora, certamente, non troveremmo mai l’energia per aggredire fuori di noi. (Cacciari Massimo, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994).

 

Prima di entrare nell’ultimo territorio è utile riprendere le tappe principali di questo percorso che ci ha portato ai confini fluttuanti di questa terra non del tutto incognita.

Si tratta di collegamenti interconnessi che possiamo affrontare in modo non necessariamente lineare.

Viviamo un’epoca in cui la diversità, così osteggiata fino a poco tempo fa, è diventata un momento importante di riflessione e di attenzione; il suo approfondimento ci ha permesso di evitare la contrapposizione diversità-identità e portato a individuare le radici su cui si innerva. Pur essendo chiaro anche da una veloce osservazione, ora il ruolo dell’individuo emerge come unica fonte legittima del concetto di diversità; esso è garantito dalle leggi ma rimane aperto, in maniera molto ampia, alla com-prensione e alla con-struzione. E’ così che anche l’amore, già visibile nella presenza costante e crescente delle relazioni sociali, diventa un elemento extra-ordinario, qualcosa che va oltre il normale consueto vivere di ognuno di noi: esso richiede rispetto, attenzione, studio, scavo.

Non è però possibile evitare i luoghi comuni che riguardano l’amore se non facciamo un salto e ci collochiamo lateralmente, cambiando punto di vista per poter procedere ad esperimenti che facciano luce sul fenomeno. E’ ciò che ci ha permesso di individuare la volontà di potenza come caratteristica essenziale dell’individuo e dunque come componente essenziale delle relazioni amorose. Non semplicemente volontà di potenza come volontà di dominio, ma come volontà di potere (verbo) cioè di creare possibilità e tra queste forme la volontà di dominio è solo una, neppur grande, componente (Nietzsche: Der Wille zur Macht. In tedesco potenza è macht che deriva da machen (fare) e questo da mogen, la cui base è nell’antico germanico “makojanan” che vale “to give being to, give form or character to, bring into existence; construct, do, be the author of, produce; prepare, arrange, cause; behave, transform”).

 

Per poter parlare di volontà di potenza spirituale occorre ripartire dalla volontà di potenza materiale, che ho approfondito in due precedenti capitoli: ne ripercorrerò alcuni passaggi per non perdere il collegamento.

 

Volontà di potenza è semplicemente volontà di potere. Potere è prima di tutto possibilità, creare delle possibilità, rendere possibile. Potrei aggiungere rendere possibile qualcosa, ma il termine ‘qualcosa’ non è necessario, perché fa pensare a elementi dotati di concretezza.

Rendere possibile un’idea, un pensiero, un sentimento, un oggetto, un amore, una relazione, una vita…tutto. Rendere possibile un insieme di tutto questo.

Io penso che la vita non sia altro che questo continuo rendere possibile. La vita è dunque semplicemente volontà di rendere possibile. Volontà di potenza.

Per rendere possibile ‘qualcosa’ (nella vastissima accezione richiamata sopra) noi dobbiamo occupare degli spazi. Spazi che in genere sono occupati da altri. Questo avviene in tutti i campi, dalle classiche scoperte geografiche a tutti gli aspetti della vita sociale o semplicemente di relazione.

Lo stesso avviene nell’amore.

Occupiamo lo spazio dell’altro e l’altro occupa il nostro spazio. Dobbiamo decidere dove abitare, il lavoro, i figli, come organizzare la nostra vita insieme e con gli altri, quando e dove andare in ferie, quando e come fare sesso. Come tutti sanno non è facile. L’amore è però anche qualcosa di più, perché presuppone qualcosa di meno concreto e di meno facilmente identificabile; si può chiamare sentimento, anima, intesa spirituale o altro. Anche in questo caso occupiamo uno spazio.

Chiediamo all’altro di entrare nel percorso della nostra anima, nell’idea che abbiamo di amore, nella filosofia che permea la nostra vita e che sottintende anche le scelte pratiche. L’altro fa lo stesso. Da qui nasce probabilmente l’idea dell’amore come cedere, come sacrificio, come rinuncia: tutti elementi che riconoscono il cedere spazio, sacrificare spazio, rinunciare a spazio, che lasciamo occupare dall’altro.

Questa concessione, questo sacrificio, questa rinuncia sono una perdita di spazio che ci appartiene, cioè una perdita del nostro IO. Regolarmente però l’IO rinuncia difficilmente a una parte di sé, a un suo spazio. Non è un caso che l’amore è divenuto luogo privilegiato della conflittualità in quest’era in cui l’individuo assurge al ruolo di protagonista ed è anche per questo che l’amore diventa uno dei momenti privilegiati in cui parla l’individuo.

I rapporti d’amore sono rapporti di Potere, perché la volontà di potenza, che è volontà di potere, cioè di possibilità, ha bisogno –necessariamente – di occupare spazio.

La questione nasce dal fatto che, essendo entità finite, abbiamo saputo concepire lo spazio solo in termini finiti; ci siamo solo mossi cioè in termini di de-finizione, stabilendo fines, confini, limiti, riportando in tutti i campi dell’esistenza l’esperienza del recintare un campo. La nostra volontà di potenza ha saputo dar vita a possibilità solo de-limitando lo spazio e lo spazio che veniva occupato era già concepito come qualcosa di cui si potesse solo stabilire limiti e confini. In realtà ci siamo mossi finora concependo lo spazio come territorio, come rappresentazione del territorio fisico.

Insistere sull’identificazione tra spazio e territorio però non serve più. Si tratta di recuperare il valore non fisico del termine di spazio, superando l’insita necessità di de-finizione che il territorio porta con sé: anche etimologicamente esiste una differenza tra il territorio (possesso di terra, contenuto di dominio) e lo spazio (allargamento, crescita, espansione).

Possiamo evitare di occupare territori, ma non di occupare spazi.

Quando tutti (o quasi) gli spazi fisici sono stati di fatto occupati cosa rimane? Occupare spazi non fisici: ma occupare spazi non fisici è possibile solo creandoli. Ecco che la volontà di potenza, cioè la volontà di dar vita a possibilità, rompe le catene a cui sembrava irrimediabilmente soggiogata. Creare possibilità al di fuori della de-finizione, oltre la de-limitazione, oltre i recinti. È una nuova avventura, dal colore e dal sapore tutti spirituali.

Non si tratta dunque di continuare ad affliggere, confliggere, infliggere occupando territori che altri occupano, ma di creare spazi che insieme potremo occupare.

Nell’amore questo è vitale ed è l’unico percorso che abbiamo davanti. Un percorso che rimane aperto in tutte le direzioni verso tutte le possibilità: la creazione non può fare a meno di ciò che siamo, ma deve prescinderne, cioè deve sapersi scindere, separare da quello che siamo, o meglio crediamo di essere. Ecco ancora una volta come e perché la creazione dell’amore è tutt’uno con la creazione dell’IO. Ecco perché il ti amo-per sempre ha valore solo come modesto punto di partenza verso la creazione dell’amore. Solo un IO che riconosce la sua provvisorietà, parzialità, fragilità, multicomposizione coloristica può, iniziando a far gemere la piaga, attivare le emergenze che sono alla base della creazione: certamente un IO provvisorio, parziale, fragile, multichiazzato.

Al margine del caos.

La creazione dell’amore è tutt’uno con la creazione dell’IO, anzi degli IO: non c’entra il sesso né l’orientamento sessuale né qualsiasi altra forma-modello-autodichiarazione-riconoscimento che ogni individuo pretenda per se stesso. Rispetto a qualche decennio fa si è diffusa la convinzione che sia decisiva la componente narrativa, soprattutto per ciò che concerne la propria identità: noi siamo quello che crediamo di essere e ciò appare da come ci presentiamo, cioè dalla narrazione che facciamo di noi stessi. Un tempo questo aspetto era nascosto, o tenuto nascosto, e noi eravamo ciò che gli altri avevano stabilito, secondo una serie di categorie e attributi universalmente riconosciuti. Oggi ci teniamo talmente a noi stessi da sfidare il pubblico giudizio e procedere secondo l’identità narrativa che abbiamo creato. Non è importante quanto questa sia reale, importante è che ad essa noi teniamo in modo decisivo. La creazione di un’identità narrativa corrisponde alla crisi dei valori, assoluti e universali, ed essendo il frutto di questa incerta stabilità ne porta la debolezza: l’identità narrativa che abbiamo creato è molto fragile, tentennante, pronta a piegarsi e addirittura spezzarsi.

L’amore come volontà di potenza spirituale è dunque l’incontro tra due identità narrative. Quello che appare un mistero o un miracolo è invece la difficoltà di intrecciare due romanzi cercando di farne uno solo.

Si tratta dunque di chiedersi se ci troviamo dentro lo stesso film, se e come le dinamiche sviluppate da una persona riescono a intrecciarsi con le dinamiche dell’altra. Non all’inizio e una volta per tutte, ma quotidianamente nel senso della costruzione dell’IO. È per questo che l’amore come volontà di potenza spirituale è immediatamente costruzione dell’Io e questa è immediatamente costruzione dell’amore come volontà di potenza spirituale. Gli scarti, le differenze, le diverse biforcazioni che la costruzione di ciascun IO apre non sono ostacoli alla costruzione dell’amore come volontà di potenza spirituale, ma sono il necessario, inevitabile, perfino ovvio, punto di partenza con cui fare quotidianamente i conti. Non sono macchie in un percorso che doveva rimanere incontaminato, ma al contrario varia umanità-trampolini di lancio che permettono di rendere incontaminato ciò che era pieno di macchie. Macchie indelebili risulteranno insignificanti e invisibili punti in un qualcosa che cresce, si costruisce, si arricchisce.

Complessità.

Per l’uomo è difficile scegliere-costruire-creare il proprio IO.

L’amore come volontà di potenza spirituale gli impone di farlo e ne facilita il compito, portando alla luce i rugosi anfratti della propria anima (sia che producano fiori sia che marciscano pus).

L’amore come volontà di potenza spirituale risulta indifferente alla concretezza de-finita dell’amante e di ciò che gli sta intorno, rinviando, alla complessità spirituale degli individui coinvolti, la responsabilità di una scelta che è allo stesso tempo scelta di costruire il proprio personaggio e di costruire insieme lo stesso film.

L’amore finora ha ripetuto la separazione che ha caratterizzato la nostra cultura, tra IO e mondo, tra concreto e astratto, tra materiale e spirituale, tra reale e ideale. L’amore come volontà di potenza spirituale supera lo scontro tra idealizzazione dell’amore e problemi ‘concreti’ del vivere quotidiano. Non si tratta di compromessi o massimi comuni divisori, ma di moltiplicatori continui.

Ologrammaticamente l’amore come volontà di potenza spirituale vive nell’Io e l’IO vive nell’amore.

Ricorsivamente l’IO genera l’amore come volontà di potenza spirituale che genera l’IO.

Ecco dunque che l’orizzonte (lo stesso film) che si apre all’amore come volontà di potenza spirituale ha bisogno di due strumenti, di due chiavi per aprire le porte che ci separano (da noi, dall’altro, dall’amore): la tensione e il mescolamento.

La tensione, che volgarmente potremmo chiamare sforzo, è tendere, sottrarre allo stato di quiete (apparente) ciò che il nostro IO mostra di essere. Sforzo di con-prensione, dell’altro, dell’IO, del prossimo capitolo o della prossima scena. Sforzo di trans-formazione, cioè di mutamento di forme dell’altro, dell’IO, dell’amore.

Il mescolamento è il riconoscimento del carattere non sostanziale dell’IO e lo strumento-orizzonte che valorizza il processo di costruzione, dell’IO e dell’amore. Oltre il relativismo e il pragmatismo che aprono la strada alla de-responsabilizzazione esso afferma, di fronte a sé e all’altro, la responsabilità della scelta, della decisione.

Non si tratta dunque di scegliere un noi (come recitano spesso canzoni e film di successo), un noi generico, idealizzato, che nasconde il potere di un IO-sostanza, assoluto e superiore; al contrario si tratta di scegliere un IO, sempre parziale e relativo, e sceglierlo come garanzia di realizzazione dello stesso film.

Oltre il potere che distrugge, nella volontà di potenza che costruisce. Costruisce l’IO e lo riconosce come importante.

Tensione e mescolamento svelano il carattere violento delle relazioni d’amore ridotte a tre pratiche consuete: il disinteresse, il dominio di uno, il dominio dell’altro. Tensione e mescolamento mantengono sempre aperto il circuito, attraverso la parola, recuperata oltre la funzione comunicativa, nella sua dimensione di voce dell’anima. La parola, l’anima/IO, l’amore.

Se assumiamo che la volontà di potenza è un elemento fondamentale di ognuno di noi e che a nulla serve demonizzarla o sottoporla ad esorcismi vari; se assumiamo che, alla riprova dei fatti, i valori superiori non sono capaci di inversioni: se insomma guardiamo in faccia la realtà, allora occorre solo saper dialogare, saper convivere con questo elemento. Ma poiché la volontà di potenza in quanto volontà di potere (verbo), come ho già scritto, è un fatto materiale che, per definizione, occupa territori, cioè spazi in genere già occupati, occorre, in questo convivere con questo nostro modo di essere, spostare l’attenzione su ciò che non ha bisogno di spazi per esprimersi, e cioè il carattere spirituale della volontà di potenza.

Non si tratta di farsi monaci di clausura o eremiti. Tanto per cominciare, e questo è alla portata di tutti, si tratta di smettere di ergere grandi valori morali a cui la realtà si contrappone: vizi privati e pubbliche virtù. Nei secoli passati quei valori erano riconosciuti come un generale punto di riferimento, un lanternone (per dirla con Pirandello), e tutti (chi più chi meno) cercavano di adeguarvisi. Oggi che l’individuo assume un ruolo centrale e che la conoscenza ha varcato i confini dell’osservabile, oggi il mondo appare più confuso, ma allo stesso tempo più ricco di grandi opportunità, quelle offerte dalla parola, dal pensiero, dagli affetti, dalla riflessione.

 

La parola non serve solo a dar voce alle cose, ma ci aiuta a comprendere ciò che siamo e ciò che ci aspetta; il pensiero permette alla parola di prendere forma e la tiene sotto controllo, non perdonandogli nulla e invitandola sempre a riformularsi; gli affetti aiutano la parola a scendere in anfratti troppo spesso lasciati a se stessi e cercando nuovi colori e nuovi incroci; la riflessione si muove da sempre libera sugli affetti e fornisce al pensiero strumenti che si trasformano in parole.

Ecco dunque che mentre la volontà di potenza materiale rimane bloccata alla frontiera per la determinazione degli oggetti da cui dipende, la Volontà dipotenza spirituale si muove liberamente perché non trova frontiere e di volta in volta stabilisce lo spazio di cui ha bisogno.

 

Conclusioni provvisorie

 

In questi capitoli ho parlato di molti elementi che non ho considerato né valori definitivi (nuovi o vecchi) né modesti fenomeni; li ho trattati come credo debba essere trattata la vita che ci riguarda e ci coinvolge, cioè secondo un metodo complesso. Ho parlato di individuo, di IO, di amore, di volontà di potenza, di parole, e per ognuno di questi aspetti ho cercato di andare oltre il comune modo di affrontarli e spiegarli, in rapporto alla loro evoluzione e agli orizzonti che essi possono aprire e individuare. Ho cercato di vederli in modo non isolato ma in relazione tra di loro, trovando anche il grado che li lega, pur sapendo che non esiste un rapporto gerarchico né di tipo logico né di tipo cronologico, o meglio che quando riscontriamo questa gerarchia essa è solo provvisoria, limitata, contingente e reversibile.

Le librerie, la TV e Internet sono pieni di indicazioni e di opere che affrontano il tema dell’amore, a dimostrazione della sua crescente centralità, e la loro moltiplicazione e progressione quasi geometrica sta a dimostrare quanto complesso sia l’argomento e come sia oggi difficile riportare ad unità qualsiasi aspetto della vita quotidiana. Se è vero che vanno di moda gli aforismi sul tema (talvolta inventati) di autori celebri è anche vero che il sapere sull’argomento si sta costruendo più sugli interventi di esperti a casi specifici che su trattati veri e propri, sociologici o filosofici che siano. Spesso succede anche che gli interventi degli esperti, spesso su riviste popolari, seguano un sentire comune, e ne riflettano indicazioni e umori, piuttosto che rappresentare il punto di riferimento di nuove idee e nuove pratiche.

Le riflessioni che ho portato avanti in questo mio lavoro non pretendono di rappresentare quella risposta unitaria che indubbiamente manca: esse si concentrano su un metodo e individuano alcuni nodi su cui varrebbe la pena pensare di più.

So bene che molte parti del mio discorso possono risultare discutibili, ma proprio questa è la loro funzione e la loro natura: vogliono essere discusse. Il nodo centrale, vero e proprio hub, del mio lavoro riguarda il riconoscimento dell’amore come volontà di potenza e l’interpretazione di questa espressione come la volontà di dare vita a delle possibilità. Si tratta di un nodo per me non nuovo, tanto che ne parlo da almeno un decennio e ne rimase traccia in una rubrica del Corriere della Sera: dell’avvicinamento a questo concetto e del suo sviluppo lascerò qualche passaggio nell’ultimo capitolo, sotto forma di “Appendice”. Naturalmente non nego il contributo che qua e là viene dato da studiosi di vario genere, ma ritengo che solo il cambiamento di paradigma può permettere l’apertura di porte e orizzonti.

Il paradigma che dovremmo abbandonare è quello che troviamo come prima definizione del termine nella Treccani, e cioè “Sentimento di viva affezione verso una persona che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia”. Esso contrasta radicalmente con il riconoscimento dell’amore come volontà di potenza.

Cambiare paradigma significa però anche saper andare incontro ai significativi cambiamenti nel campo della ricerca scientifica, cambiamenti epistemologici, che vuol dire “senso, cioè significato e direzione”. Dunque “metodo”, parola che spesso viene confusa con “manuale delle istruzioni”. La scienza del 1900 ha dimostrato l’impossibilità di attingere a leggi universali e assolute, ma ciò non significa che siamo ciechi o che non possiamo vedere oltre il palmo della mano. Esistono sempre dei riferimenti, delle cornici, un quadro all’interno del quale ci troviamo ad operare e che ci condiziona: in passato tutto ciò era rappresentato dalla fede nella possibilità di scoprire leggi scientifiche, assolute e universali. La fine di quella fede non significa che non abbiamo un quadro di riferimento, ma che questo, per quanto provvisorio, esiste ed esiste come scelta e responsabilità. Nel campo dell’amore la definizione della Treccani corrispondeva a quella cornice, ma la realtà, storica e sociale, ha dimostrato che non è in grado né di spiegare né di fornire indicazioni: i particolari con cui essa entra in conflitto sono talmente vari e numerosi che non è possibile catalogarli come eccezioni (che confermano la regola).

In Europa attualmente si sta diffondendo il pragmatismo e il relativismo di origine statunitense, che cerca di alleviare la crisi dei valori universali, ma non esiste pragmatismo o relativismo senza un quadro di riferimento che ne giustifichi le azioni. Non è un caso che la parola morale sia ormai stata sostituita dal termine moralità, che fa riferimento a determinate attitudini e comportamenti decisi di volta in volta e da persona a persona o da gruppo a gruppo: ma attitudini e comportamenti, per quanto cerchiamo di riunirli in un gruppo concettuale più ampio, non possono rappresentare quel quadro di riferimento. Non può esistere dialogo tra attitudini e comportamenti, perché essi hanno bisogno di una cornice che vada oltre il carattere e il genere (o la qualità) cui appartengono. Aumenta a dismisura l’elenco dei casi proposti e analizzati, così che siamo incapaci di dare un senso alle nostre scelte.

Faccio un esempio.

In una serie televisiva americana (Dietland) ad un certo punto si dice che “da un lato ci sono donne che si coprono fino all’inverosimile compreso il burqa, dall’altro ci sono donne che si presentano mostrando la quasi totalità del proprio corpo. Si tratta di due facce della stessa medaglia”. Questo è relativismo, non complessità. Come sappiamo, il dibattito sul tema comporta moltissime diverse prese di posizione, che chiudono ogni possibilità di dialogo. In realtà quelle prese di posizione non sono veri e propri quadri di riferimento, ma riduzioni di concetti come libertà individuale, che si perdono in tanti rivoli favorendo una contrapposizione che tende ad acutizzarsi. Non si tratta di due facce della stessa medaglia ma di due attitudini contrapposte, dietro le quali stanno due cornici, delle quali una parte dal riconoscimento dei diritti dell’individuo, mentre l’altra si fonda sulla cultura (fede e pratiche) comunitaria o religiosa. Una volta che scelta e responsabilità si incontrano, allora si può procedere a tutte le correzioni e modifiche necessarie, ma senza un quadro di riferimento non esistono orizzonti, bensì solo volontà di dominio in conflitto.

Anche nell’amore il campo vede trionfare il relativismo che trova una giustificazione a qualsiasi comportamento e qualsiasi attitudine: si è così passati da una visione unica al moltiplicarsi di idee e atteggiamenti, tutto e il contrario di tutto.

Il rapporto può essere del tutto libero o completamente chiuso, mentre tra i due estremi le percentuali coprono tutto lo spazio. La sessualità può essere etero, omo, bisessusale e di recente si sono presentati anche gli asessuali, con combinazioni anche temporali di vario genere. Il matrimonio può rispettare il Comandamento cattolico, essere di convenienza civile, di facciata o essere rifiutato. I figli sono un optional e non parte di un incontro d’amore.

E così via.

Il rifiuto delle convenzioni rigide del passato non ha prodotto un progetto, una visione, una strategia, un quadro di riferimento (affettivo e culturale), ma si è trasformato nelle infinite possibilità pensabili e realizzabili. Credo che molte iniziative, molti nuovi costumi e molte nuove attitudini debbano essere valutati positivamente, perché hanno aiutato molte persone a vivere meglio la propria esistenza. Il nodo (scorsoio) è però il fatto che dietro tutto ciò non esiste né è esistita una idea che sapesse orientare in modo sostanziale e non provvisorio i comportamenti dei nostri figli e delle nuove generazioni. Per fortuna ogni tanto qualche riflessione più approfondita riesce a superare le sentinelle delle opposte fazioni, ma è ancora troppo poco.

 

La legalizzazione dell’aborto è stata un notevole passo avanti per migliaia di ragazze e donne, ma oggi il fenomeno è ridottissimo e dovrebbe obbligare a un salto, che eviti il muro contro muro tra favorevoli e contrari, non tanto per la inevitabile violenza che ne nasce quanto perché impedisce di andare oltre.

La legalizzazione del divorzio ha avuto le stesse caratteristiche, presentandosi però come una scelta tecnica e impedendo, anche qui, di andare oltre, attraverso una riflessione sul senso dell’unione tra due persone, senso che ormai risulta smarrito.

La libertà sessuale è stata veramente liberatoria, ma è stata affrontata come qualcosa di tecnico, di fatto impedendo di riflettere su tutti gli aspetti, affettivi e di piacere fisico e soddisfazione del corpo, che la sessualità comporta, riducendo la discussione a casi considerati anormali, trascurando che anche nel rapporto sessuale si manifesta e si esprime la volontà di potenza che ci caratterizza.

 

Nei primi anni ’60 del secolo scorso parlare di sesso era cosa maschile e tra amici, alla fine di quel decennio anche qualche scuola proponeva lezioni di “Educazione sessuale”, anatomia e fisiologia, poi dagli anni ’70 in poi si è proceduto in un crescendo che ha coinvolto tutti gli aspetti dell’erotismo e non c’è dubbio che ci siamo trovati di fronte a un’enciclopedia che non ha trascurato nulla.

Come in tutte le cose, vedi il ricorso ad Internet per le malattie, anche l’informazione sessuale ed erotica si è diffusa in modo esteso, così che anche il rapporto con il proprio corpo è andato chiarendosi e consolidandosi. Di rapporti anali si parla senza più pudore, anche in film popolari; fenomeni come il fisting e lo squirting sono ormai diventati comuni alla stregua delle ricette di cucina; relazioni plurime o promiscue sono sempre meno considerate un deficit psicologico. Insomma di tutto e di più. Ad una crescita esponenziale dell’erotismo non corrisponde un eguale o almeno simile sviluppo della riflessione sull’amore, anche perché si continua a considerare la mente come l’elemento contrapposto al corpo. In realtà una relazione d’amore coinvolge la persona nella sua interezza e oggi sappiamo che la persona è un insieme complesso di relazioni che non sono riconducibili a mente più corpo, perché il tutto è maggiore della somma delle parti.

Se la lettura di relazioni erotiche ha coperto un enorme spazio, seppur superficiale, la lettura delle relazioni d’amore è molto primitiva e si presenta come qualcosa in costruzione.

 

Il discorso sulla volontà di potenza spirituale è il tema di queste conclusioni: non è una previsione, tanto meno deterministica, ma una delle infinite possibilità che possono nascere dal sistema di vincoli in cui ci troviamo a vivere. Può benissimo non essere il futuro di quel passato rappresentato dall’oggi, ma non è una fantasia, priva di radici e di riferimenti, per di più messa alla prova dall’esperienza personale. Può non rappresentare la prospettiva verso la quale guardare, ma sicuramente rappresenta quell’orizzonte che, indipendentemente dalla sua realizzazione, può aiutare ognuno di noi a fare i conti con se stessi e la propria storia.

In questo senso il suo valore non sta nel porsi come il Sol dell’Avvenire, ma nel metodo di cui è parte integrante.

Se la volontà di potenza è la volontà di creare possibilità, essa si libera di inutili pastoie moralistiche. Non nega il carattere generalmente inconscio del fenomeno, ma non nega neppure che possa essere gestito. Non nega che esso si muova sul terreno della dimensione materiale, ma non nega neppure che possa dischiudersi a una realtà non materiale, che io ho chiamato appunto “volontà di potenza spirituale”.

Credo che la volontà di potenza spirituale sia in grado di offrire un orizzonte ancora più ampio verso il quale vale la pena muoversi: saranno necessarie tantissime prove, tantissimi errori, tantissime corse e tantissime frenate, anche brusche, prima di poter fare un punto meno malfermo.

Come ho ricordato la volontà di potenza spirituale non nega l’amore-passione, che non è un errore ma un dato di fatto; l’errore sta nel proiettare l’amore come passione lungo tutto l’arco della vita: esso sfiorisce per tanti motivi, ma nessuno si pre-occupa di non farlo avvizzire. L’amore-passione è una realtà, che corre dietro a misure, durata e altri numeri, è dunque una realtà quantitativa e per questo è una chimera. Si può evitare che l’amore sfiorisca solo se si fa come con i fiori: coltivandoli quando sono giovani. L’amore dunque va coltivato, anche se sboccia per passione: non è una perizia materiale, tecnica, ma una perizia spirituale, che richiede una visione più ampia e volontà. Volontà di potenza spirituale. E’ su questo terreno che si gioca il rapporto d’amore tra due persone, perché è l’unico terreno che coinvolge l’individuo in cui il risultato non è a somma zero.

Coltivare l’amore da giovani non significa rinunciare alla passione, significa però non limitarsi a identificarlo con la passione; coltivare l’amore da giovani significa non rinunciare a pensarlo oltre la passione e continuare a portare dentro di sé anche solo i semi di quella volontà di potenza spirituale di cui prima o poi avremo bisogno. Spirituale non vuol dire né religioso né astratto né misterioso.

Non esiste né una tecnica né un manuale d’istruzioni, perché la Volontà di potenza spirituale apre ad orizzonti infiniti e si mostra ricca di grandi opportunità, quelle offerte dalla parola, dal pensiero, dagli affetti, dalla riflessione e da tutti quegli elementi che il cervello produce nel dialogo incessante con il corpo di cui fa parte.