RAINER ZITELMANN: LA FORZA DEL CAPITALISMO- Un viaggio nella storia recente di cinque continenti – (Ed. IBLLibri, Torino, 2020) (Ed. orig. 2018): pag. 331, Euro 20

Il libro è diviso in 11 capitoli sette dei quali sono dedicati a situazioni storiche ben precise riferite a Paesi in diverse aree del mondo. L’autore parte dal riconoscimento che negli ultimi decenni è risorto un vasto movimento critico nei confronti del capitalismo e intende mostrare attraverso fatti e dati come esso risponda soprattutto a un bisogno ideologico e che, al contrario di quanto spesso sostenuto, proprio la storia degli ultimi 30 anni mostra la forza del capitalismo che è in grado sempre di fornire soluzioni ai problemi creati da coloro che hanno agito in direzione contraria.

Il primo paese analizzato è la Cina. Qui tutti gli esperimenti socialisti, dal Grande Balzo alla Rivoluzione Culturale, hanno creato la peggiore carestia della storia umana. Tralasciando gli aspetti umani e quelli politici e culturali, viene messo in evidenza come la Cina abbia potuto trasformare la vita dei propri cittadini solo attraverso prima l’avvio e poi una crescita dell’economia capitalistica. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il riconoscimento della proprietà privata, i cui diritti entrano ufficialmente nella Costituzione del 2004. La crescita impressionante del Paese è il risultato di un’attività imprenditoriale che ha coinvolto milioni di individui in un arco di quattro decenni, e non attraverso riforme imposte dall’alto da un giorno all’altro come successo in Russia.

Nel secondo capitolo si dimostra come per combattere la povertà in Africa il capitalismo sia più efficace degli aiuti allo sviluppo. Questa convinzione è diventata patrimonio generale e ha convinto anche coloro che negli scorsi decenni si sono impegnati nell’aiuto al continente più povero attraverso molte iniziative. Anzi sono proprio quegli aiuti che impediscono all’Africa di uscire dalla povertà, come scrive nel suo libro “La carità che uccide” l’economista zambiana Dambisa Moyo: si è trattato di 1 miliardo di miliardi di dollari negli ultimi 50 anni. Gli aiuti favoriscono la corruzione, mentre il capitalismo sviluppa intraprendenza e responsabilità. E’ evidente che l’Africa deve fare i conti con la propria storia, ma il fallimento del “socialismo africano” sognato come la terza via dopo l’indipendenza mostra chiaramente come solo uno sviluppo dell’iniziativa privata può invertire la tendenza. E’ ciò che stanno mostrando paesi come Botswana, Ruanda, Sudafrica, Uganda, Costa d’avorio, Mauritius, Burkina Faso, Seychelles, Capo Verde. Purtroppo le possibilità di un continente giovane e ricco di materie prime si scontra con conflitti tribali e gruppi di potere che crescono solo in mancanza di riconoscimenti legali dei diritti di proprietà e del tutto indifferenti alle condizioni di vita delle popolazioni.

Il terzo capitolo mostra le radicali differenze tra la Germania Ovest e la RDT comunista, su cui non vale la pena soffermarsi troppo visti gli esiti storici; è comunque interessante questo capitolo soprattutto perché porta alla luce le dinamiche del mondo reale che stanno dietro al fallimento dell’economia pianificata.

Lo stesso si può dire del confronto che occupa il quarto capitolo tra Corea del Nord e Corea del Sud, come pure tra la Gran Bretagna laburista del dopo guerra e il Paese che Margaret Thatcher ha fatto rinascere (capitolo 5).

Per i sempre nostalgici del comunismo il capitolo 6 mette a confronto la storia di due paesi dell’America del Sud, il Cile e il Venezuela. Entrambi ricchi di materie prime, ma con il Venezuela in enorme vantaggio perché la “sua” materia prima è il petrolio. Eppure la politica di espropriazioni ha portato questo paese a un livello di povertà tale che mancano persino i medicinali e numerose sono le persone che fuggono nei paesi vicini come la Colombia. D’altra parte un paese che nel maggio 2018 aveva raggiunto un tasso d’inflazione del 14.000 % non può avere prospettive; la mortalità infantile ha raggiunto cifre spaventose superiori addirittura a quelle di un paese in guerra come la Siria. Radicalmente diversa è stata la storia del Cile che ha impiegato diversi decenni per trasformarsi in un paese capitalista, subendo un’accelerazione dopo la sconfitta di Pinochet nel 1988.

Il capitolo 7 affronta il tema del socialismo scandinavo e in particolare della realtà svedese, divenuti punto di riferimento per i critici del capitalismo senza ricorrere agli estremismi venezuelani o nordcoreani. Intorno a quei paesi continua a circolare una propaganda inneggiante al socialismo democratico come alternativa al capitalismo, nonostante tutti conosciamo il peso nell’economia mondiale di giganti come Ikea, Volvo, Nokia e tanti altri. Le riforme attuate diversi decenni fa in chiave socialista (1970-1991) hanno portato l’economia svedese in grande sofferenza, tanto da dover ripensare ai fondamentali economici nei decenni successivi: oggi la Svezia è tra le economie più orientate al mercato ponendosi al 15° posto (con la Germania al 25° e la Corea del Sud al 27°).

Ho qui riportato solo alcuni aspetti toccati nei vari capitoli e il libro non smette mai di fornire fatti e cifre per far comprendere come storicamente solo lo sviluppo di un’economia di mercato abbia permesso di fornire alle popolazioni migliori condizioni e migliori aspettative. Chi ha preferito baloccarsi con gli slogan ideologici anticapitalisti ha visto solo peggioramenti e disastri.

Gli ultimi quattro capitoli sviluppano, sempre a partire da fatti e cifre, alcuni aspetti di carattere più generale.

Il primo mostra come solo la libertà economica sia in grado di accrescere il benessere umano.

Il secondo mostra come la crisi finanziaria, soprattutto quella delle abitazioni negli USA del 2008, sia il frutto di una politica esageratamente assistenziale, dirigista e permissiva che ha illuso milioni di famiglie; dunque non può essere chiamato in causa il sistema capitalistico in quanto tale.

Interessante è il penultimo capitolo nel quale l’autore si chiede: “Perché agli intellettuali non piace il capitalismo?”. La risposta è interessante, ma più interessante è l’elenco di molti intellettuali di grande spessore, da Sartre a Chomsky, da Brecht a Foucault, e la riflessione su come insieme a molti altri abbiano proceduto a semplificazioni fuorvianti. Le motivazioni di Zitelmann sono riportate nel capitolo, ma io credo che siamo solo all’inizio di una riflessione che oggi coinvolge ogni individuo per il carattere di massa assunto dalla cultura. La formazione in chiave cartesiana degli intellettuali spinge alla ricerca di risposte semplici, mentre oggi i fenomeni sono sempre più complessi e richiedono un approccio e un metodo complessi.

L’ultimo capitolo è un appello urgente per riforme capitalistiche, facendo tornare d’attualità il rapporto tra ruolo dello Stato e ruolo del Mercato nelle società contemporanee.

 

Insomma si tratta di un libro che offre molti spunti di riflessione, per chi abbia voglia di andare oltre i soliti slogan che la fanno da padrone nei social. Si può anche non essere d’accordo sulla tesi esposta, ma non si può evitare di chiederci ciò che dal collasso dei regimi comunisti tutti si chiedono: qual è, se esiste, l’alternativa, reale e realistica, al sistema capitalistico?