AYAAN ARSI ALI: NON SOTTOMESSA. Contro la segregazione nella società islamica.  (Ed. Einaudi, 2005 – Euro 11,50 )

 

Dovrò parlare di questo libro in modo diverso dagli altri a cui mi sono riferito finora. Prima di tutto devo spiegare chi è Hirsi Ali, una donna oggetto e soggetto allo stesso tempo di ciò che scrive. Somala, musulmana, promessa sposa a un cugino emigrato in Canada, si è rifugiata in Olanda per riacquistare la sua libertà. Ha studiato, fatto l’interprete fino a diventare parlamentare, prima per il partito socialdemocratico e poi per il partito liberale. Ha scritto la sceneggiatura di un film “Submission parte I” diretta dal regista Theo Van Gogh, ucciso da un musulmano: da allora Arsi Ali è sempre sotto scorta.

Il suo libro, come il film e come tutto il suo impegno civile, non è contro l’Islam, ma è una denuncia soprattutto della condizione femminile nei paesi e nelle famiglie islamiche, condizione che è vista come la chiave di volta dell’oppressione e dei ritardi del mondo musulmano. Per questo lei si rivolge sia ai fedeli sia ai laici perché favoriscano la nascita di un Illuminismo dentro il mondo islamico: ”Non lasciateci soli. Concedeteci un Voltaire”.

Il libro presenta situazioni drammatiche vissute dalle donne nelle comunità musulmane sia nei paesi d’origine sia nei paesi occidentali dove emigrano: si tratta di storie che la scrittrice ha vissuto in prima persona sia sulla propria pelle sia in seguito al racconto delle persone con cui per il suo impegno civile è entrata in contatto. Talvolta se ne legge sui giornali e inorridiamo, talvolta (anche se raramente) se ne vede le movenze in qualche film coraggioso, ma il vantaggio del libro è che qui ci si rende conto di quanto queste storie siano comuni, tristemente comuni. Non serve a nulla minimizzare.

Il libro però non è solo un libro di cronaca, giornalistico, e la denuncia non traspare solo dalla fotografia delle situazioni presentate, perché Hirsi Ali spiega il legame tra i numerosi avvenimenti riportati e il retroterra culturale in cui sono inseriti e di cui sono espressione. Questo retroterra culturale è strettamente legato alla religione, una religione che, come abbiamo visto in un’altra recensione, viene presentata come universale senza tener conto delle sue radici storiche che risalgono al VII secolo d.C. Essendo vissuta come universale essa risulta intangibile e non discutibile. Il messaggio è chiaro e ben costruito: il solo voler discutere il Corano implica l’essere blasfemi e offendere il Profeta, persona che, come recitato in continuazione, non può essere dispiaciuta.

Come piace al Profeta” accompagna tutti i comportamenti che colpiscono l’esistenza delle donne musulmane.

Non intendo qui fare il riassunto del libro né evidenziare questo o quell’aspetto, capitolo dopo capitolo o nell’insieme, perché il libro va letto, parola dopo parola, anche quando appare ripetitivo, perché ogni parola, ogni frase non si limita ad esprimere il “cosa”, l’oggetto, ma soprattutto il “come”, permettendoci di entrare in sintonia con l’autrice. Questa sintonia tra lettore e scrittore è cosa rara nei testi che si presentano come dei saggi, perché i fatti e il ragionamento tendono ad avere il sopravvento.

La scrittrice vorrebbe che si discutesse liberamente, ma quando ha cominciato ad esprimere i suoi dubbi è stata subito esclusa dalla comunità in cui viveva e addirittura ha ricevuto minacce di morte, perfettamente credibili dopo l’assassinio del regista con cui aveva lavorato. E’ per questo motivo che il suo appello è rivolto alle donne musulmane e allo stesso tempo a chi ha voce nel mondo libero ed è proprio rispetto a questo che ha difficoltà a comprendere l’atteggiamento “politicamente corretto” di molte persone, intellettuali e politici, che minimizzano, giustificano: in questo modo lasciano le donne nelle mani dei loro carnefici e impediscono che la libertà di espressione sia patrimonio anche di chi crede nell’Islam.

 

Nonostante alcune voci fuori dal coro il mondo islamico vive all’ombra di quella che Hirsi Ali chiama “Trinità”, tre aspetti importanti dell’Islam di cui si è resa conto approfondendo la sua riflessione:

1) Il musulmano ha con il suo Dio un rapporto basato sulla paura;

2) La morale dell’Islam deriva da un’unica fonte, il Profeta Maometto e Maometto è infallibile: le migliaia di hadith indicano come doveva vivere un uomo nel VII secolo e i fedeli devono rispettare quelle indicazioni anche nel XXI secolo;

3) La morale sessuale islamica deriva da valori tribali arabi dei tempi di Maometto: una cultura nella quale le donne erano proprietà di padri, fratelli, zii, nonni e tutori. Questo significa che il rispetto e l’onore di cui un uomo gode sono direttamente proporzionali alla castità e all’obbedienza delle donne della sua famiglia.

 

Ho detto che parlerò di questo libro in modo diverso dagli altri. Infatti dopo questa breve presentazione lascio la parola all’autrice. Tutti i capitoli sono importanti e significativi, coinvolgenti ed espressivi: intensa è la sceneggiatura del film con la descrizione di alcune vittime del sistema oppure i “Dieci suggerimenti per le donne musulmane che se ne vogliono andare di casa”, suggerimenti poco altisonanti ma molto realistici. Molto intense sono anche le parti, disperse qua e là nel libro, in cui parla del proprio stupore la prima volta che aveva visto un ebreo, dal momento che erano sempre stati rappresentati come il peggio del peggio.

Voglio concludere con l’inizio della lettera alle donne mussulmane alle quali offre dieci suggerimenti.

“Cara sorella mussulmana,

questi consigli non sono per tutte le donne mussulmane. Sono solo per te.

Per te, che vuoi farti una vita tua e che ti senti limitata nella tua libertà dalla famiglia, dal marito o dalla comunità di fedeli.

Per te, che vuoi lasciare la tua famiglia o tuo marito perché vuoi organizzare la tua vita da sola.

Per te, che vuoi lavorare per mantenerti.

Per te, che vuoi sceglierti il compagno da sola.

Per te, che sei convinta di voler essere tu a decidere, e non i tuoi genitori o la comunità o chicchessia, quando sposarti e con chi.

Per te, che sei convinta che quanti figli avere siano affari tuoi.

Per te, che vuoi decidere da sola quando avere figli e come educarli.

Per te, che nelle amicizie non vuoi limitarti alla cerchia nella quale per caso sei nata, ma sei aperta a conoscere persone anche al di fuori di questa cerchia ristretta.

Per te, che vuoi viaggiare e scoprire il mondo.

Per te, che non vuoi essere condannata per il resto della vita a partorire i figli di un uomo che non ami. A pulire, fare la spesa e cucinare tre volte al giorno. Ogni fine settimana preparare i biscotti e il tè per gli invitati altrui. Lavare, stirare e parlare di ricami per tende e bordure per lenzuola.

Per te, che non vuoi trascorrere tutto il tuo tempo libero con donne che passano la vita a spettegolare tra loro.

Per te, che sei stufa che le tue sorelle e cugine usino il cervello solo per perfezionare l’ennesima ricetta di biscotti.

Per te, che hai partecipato a un numero sufficiente di matrimoni con ragazze che si vantavano non delle loro prestazioni artistiche o culturali, ma dei tatuaggi all’henné praticati sulle mani di spose ormai divorziate da tempo.

Per te, che hai toccato con mano la trappola in cui la sposa e lo sposo cadono dopo il matrimonio festoso durato tre giorni.

Per te che sai di meritarti di più, che pensi alla tua libertà, che la sogni.

Per te che vuoi uscire ogni tanto, sentire il sole sulla pelle e il vento nei capelli.

Per te che non sopporti più l’oppressione in casa e decidi di andare via.

(pagg. 91-92)

Non credo ci sia molto da aggiungere. In queste frasi semplici, ma talvolta forti, è espresso tutto ciò che rappresenta la libertà, quella libertà che noi conosciamo bene, ma che per molte persone è un sogno e molto spesso parola sconosciuta. Che queste persone vivano tra noi non deve farci perdere di vista l’orizzonte. Non esiste cultura degna di questo nome che non riconosca il diritto a ogni singola donna di decidere per il proprio destino. Per questo tutti dobbiamo ringraziare Ayaan Hirsi Ali per la sua testimonianza.