P. BRUCKNER: IL FANATISMO DELL’APOCALISSE: salvare la terra, punire l’uomo. Guanda (Biblioteca della Fenice), 2014 (orig. 2011), pag. 229 – Euro 22 |
A distanza di tre anni dalla pubblicazione del precedente saggio Bruckner sviluppa la tesi lì sostenuta che riguarda il senso di smarrimento nei confronti della società occidentale, uno smarrimento che si tinge di sensi di colpa e si allarga, grazie al movimento ufficiale ambientalista, in tutte le direzioni. Facendo così si è passati dal criticare la Storia dell’Occidente, e solo dell’Occidente, a criticare i campi in cui l’Occidente ha agito, cioè tutti i campi della vita umana. Non è più solo il passato a condannare in modo definitivo la nostra società, ma anche il globo intero e l’azione umana in quanto tale.
Con queste premesse il Progresso è negativo, la crescita è infelice, la ricchezza e il benessere sono vizi riprovevoli mentre solo una vita dimessa e povera può garantire la felicità. Di fronte a questi veri e propri stereotipi (veri e propri spropositi) l’autore si interroga sviluppando un discorso positivo e costruttivo attraverso riflessioni ed esempi. Come si addice a un saggio serio e aperto al dialogo.
L’elemento che molti intellettuali, soprattutto di sinistra, sbandierano riguarda un diffuso pessimismo: “Il pessimismo delle nazioni europee è sorprendente se si considera che godiamo ancora di una dolce vita senza pari: ovunque predomina la cultura del lamento” (pag. 27-28). Il pessimismo è legato alla diffusione di un sentimento di paura che tende a inibire ogni forma di attività anche (come vedremo poi) in quello che è il tema di cui si parla di più, quello del futuro della terra e permette nel dolore di dare un senso di unità, che ha però bisogno di un capro espiatorio fuori dal gruppo; da un lato siamo tutti colpevoli e responsabili, ma dall’altro la colpa è nella tecnica, nel progresso, nell’industria, ancora una volta nel capitalismo. “Possiamo pensare alla paura, ma la paura non pensa. Salda il soggetto all’oggetto del suo terrore, come la mosca che si attacca alla carta adesiva che la ucciderà. La paura paralizza, provoca una sonnolenza del corpo e dello spirito che può risultare fatale” (pag. 65).
Esiste un movimento teorico ben rappresentato dallo storico Latouche che parla di “una decrescita felice”, slogan che poi viene articolato in tante direzioni che mostrano il carattere ideologico, e dunque vuoto, di quello slogan. E’ vero che la battaglia contro il progresso non è artificio retorico nuovo, avendo nel passato anche non lontano illustri antesignani (vedi J.J. Rousseau), ma risulta un non-sense nel momento in cui tutti gli indicatori più importanti mostrano notevoli risultati positivi: dalla diminuzione della fame nel mondo, all’enorme allungamento della vita media (in Cina addirittura triplicato dall’avvio delle modernizzazioni), alla diminuzione di morti in occasioni di catastrofi (terremoti, tsunami ecc.) più forti nei paesi meno arretrati. Gli esempi proposti sono numerosi e significativi, ne cito solo un paio: il terremoto del 2010 a Haiti, paese poverissimo, (M 7) ha fatto 250.000 vittime, mentre quello in Cile (M 8,8) solo 700, il deliberato confondere tra bombe nucleari create per distruggere e l’energia nucleare per usi domestici. Altri esempi mostrano la fantasia di autori come Latouche che ha attribuito al traffico dei camion i 15.000 decessi dell’ondata di caldo del 2003 in Francia. Bruckner di fronte a queste relazioni, ben presenti e numerose nel libro di Latouche “La scommessa della decrescita, 2010” parla di “teoria delle causalità deliranti”.
Il gioco è semplice, anzi semplicistico, perché basta individuare aspetti negativi, privarli del contesto spaziale e temporale, e creare un collegamento causale con una delle grandi accuse contro la tecnologia e il capitalismo. Questo è tipico di ogni religione e questi nuovi teorici “contro la crescita” si muovono come i loro predecessori: i Sovietici accusavano chi li criticava di essere “controrivoluzionari” e l’Inquisizione condannava i dissidenti per stregoneria. Qui, per fortuna, la condanna è solo teorica, ma ciò che viene condannato è purtroppo il pensiero critico: invece di partire dai fatti per individuare qualcosa di più generale, si procede in modo inverso, adattando i fatti ai Comandamenti del Movimento.
La critica al progresso si è sempre basata sull’idealizzazione del passato, il buon selvaggio, l’età dell’oro, il Paradiso Terrestre, e i nuovi critici presuppongono tutto questo, tralasciando completamente gli aspetti più importanti non di quei miti, ma delle realtà storiche del passato. Se si parte dal Mito e non dalla Storia il gioco è chiuso in partenza perché si replica il discorso biblico: “In origine c’era il paradiso terrestre, dove gli uomini hanno assaggiato il frutto dell’albero della conoscenza. Dio li ha cacciati” (pag. 60). La caduta ha prodotto il male e la sofferenza e per poter recuperare dobbiamo maledire il presente e ipotecare il futuro: gloria a tutto ciò che non è legato a progresso, sviluppo, consumismo, in prospettiva di un futuro la cui esistenza è solo immaginata, ma possibile purché a condizione di sentirsi in colpa per il mondo che abbiamo ereditato.
Come per altre religioni anche la religione ambientalista sogna un futuro che non nasca dalla Storia né faccia i conti con questa, ma semplicemente la condanni: il futuro è il Paradiso, il futuro è il Comunismo, il futuro è la salvezza della Terra.
Lo stesso vale per il Passato: decrescita per tornare alla supposta felicità primitiva, basata su un’etica della rinuncia, sull’austerità, sulla povertà: “Non bisogna compatire le poche famiglie che vivono senza televisione” (pag. 177) oppure “Il frigo verrà sostituito da una stanza fredda, il viaggio alle Antille da una passeggiata in bici nelle Cevenne, l’aspirapolvere dalla scopa e dallo strofinaccio, l’alimentazione carnivora da cibo vegetariano e così via” (pag. 178).
Se non c’è Storia ma solo Mito allora vanno esaltati i popoli “primitivi” sui quali si fantastica presentati in un’immaginaria purezza, nonostante sappiamo come in tutti i continenti i nostri lontani antenati abbiano provocato la scomparsa di gran parte della megafauna e gli stessi “nativi” americani come gli “aborigeni” australiani “praticavano la caccia col fuoco, distruggendo senza scrupolo immensi territori e sterminando specie animali incapaci di opporre resistenza” (pag. 119), per non parlare delle guerre di sterminio comuni nei popoli precolombiani.
Il Mito porta a idealizzare la Natura che non è né buona né cattiva e che è sempre in un rapporto conflittuale con tutti, compresi noi; per questo la sorte di questi sacerdoti è ironica, come nel caso del “cetriolo killer” tedesco che nel 2011 ha provocato almeno 16 decessi e che, dopo la solita accusa alle multinazionali, si è scoperto essere stati provocati da semi germogliati utilizzati nell’alimentazione biologica (pag 139).
Si potrebbe andare avanti, perché il libro è una fonte continua di informazioni che mettono in discussione tutti gli aspetti propagandati dagli ambientalisti duri e puri. Ma il pregio del libro non sta tanto negli esempi, pur necessari, quanto nelle riflessioni che aprono la mente e non sono una semplice contrapposizione, bensì il frutto di un’apertura mentale e di una visione complessa.
Oggi va di moda preannunciare l’Apocalisse per colpa degli uomini che, come Adamo ed Eva, si sono allontanati dalla Natura. Questo fanatismo è sbagliato sotto molti punti di vista, sia teorici sia operativi. Sbagliato non moralmente, ma nel senso di mostrarsi incapace ad affrontare i problemi in modo realistico.
La sfida non è solo nel diminuire il rischio, “ma aumentare la capacità di resistenza alle disgrazie. Intensificare la nostra resistenza piuttosto che il nostro sgomento” (pag. 75).
L’errore teorico di fondo, alla luce anche degli sviluppi della scienza attuale, consiste nel credere di poter dominare incertezza e rischio: “Il desiderio di eliminare ogni incertezza si somma all’impossibilità di riuscirci e degenera in un’avversione al rischio” (pag. 144). Su questi presupposti si è inventato un principio di precauzione che porta all’impotenza perché invece di un’analisi per pro-contro suggerisce di agire solo con “rischio zero”. E’ un errore teorico epistemologico come rileva J. De Kervasdoué: “Un evento che rimette in discussione i modelli esistenti non può essere oggetto di una previsione“ (pag. 78, nota) e la Storia è principalmente Storia delle crisi dei modelli esistenti. Quel principio fa pensare alla possibilità di gestire tutti i processi che riguardano l’uomo, non solo i sovietici Piani quinquennali, ma soprattutto i loro disastri naturali (a parte Chernobil basta pensare alla scomparsa dell’enorme Lago d’Aral) nella pretesa di dominare la Natura.
Il fanatismo dell’Apocalisse per sopravvivere (e diffondersi) ha bisogno di evidenziare solo i problemi, nascondendo lo sforzo che imprese (capitaliste e multinazionali), istituzioni internazionali e singoli Paesi hanno da tempo intrapreso per ridurre peso e gravità di quei problemi: la riforestazione, la comparsa di nuovo di animali che stavano sparendo, la ricerca energetica alternativa.
Come le Rivoluzioni Giacobina e Bolscevica hanno mostrato, agire in nome del Bene porta solo a disastri, violenze, fame, povertà, perché, mentre in una società libera, molteplici sono i soggetti che interagiscono, nelle esperienze dittatoriali tutto è deciso da un gruppo ristretto (Robespierre e il Comitato di Salute Pubblica, Stalin e l’Ufficio Politico del PCUS). Così i fanatici dell’ambientalismo propongono decrescita, austerità e rinuncia: essi parlano di una norma di sufficienza, le cui forme e i cui numeri verranno decisi da loro; non è un caso che gli stessi fanno largo uso di quei beni che sono oggetto di anatema, in particolare aerei e simili.
“Non possiamo lasciare che una minoranza di autocrati verdi decida per noi sull’importanza o meno di una rinuncia” (pag. 198). “Chi deciderebbe sulla legittimità di certi bisogni e sull’inutilità di altri? (pag.217).
Le posizioni ambientaliste radicali spacciano per verità assolute solo ipotesi, per giunta limitate e parziali, ma come in ogni religione o laica dittatura l’importante è il carattere stentoreo delle affermazioni; così il Sacerdote Latouche, riprendendo R. E. Lane, passa a un livello ancora più astratto e poco riconoscibile, ma parlando dall’alto del pulpito suggerisce e suggestiona: come non essere d’accordo quando proclama “Il miglioramento delle condizioni materiali di vita negli USA si accompagna a una INDISCUTIBILE (sic !) riduzione della felicità reale per la maggioranza degli americani” (pag. 175). “Peccato che non esistano strumenti per misurare la felicità, che non è una quantità fissa, ma un sentimento impalpabile” (pag.175, nota). Ma qui si sfonda una porta aperta, perché falsità, verità affermate ma non dimostrate, ipotesi, citazioni forzate e fraintendimenti servono a formare un pensiero che pensiero non è: esempio tipico è l’affermazione storica (ad esempio nella Costituzione americana) che ognuno ha “il diritto a ricercare la felicità”, per cui questa affermazione è diventata “il diritto alla felicità”. In Italia ne sappiamo qualcosa con il diritto al successo scolastico.
E’ ora di passare alle conclusioni. Cosa ci dice Bruckner alla fine del suo lavoro?
Le sue parole indicano orizzonti e predispongono all’azione positiva; per fortuna sempre più sono coloro che vanno in questa direzione.
“Le alternative sono due: o i pessimisti dicono la verità, noi siamo lanciati verso l’abisso e l’unica possibilità è l’autoestinzione del genere umano, con le buone o con le cattive. Oppure esistono margini di manovra e dobbiamo esplorarli a tutti i costi….solo un aumento delle ricerche, un’esplosione di creatività, un salto tecnologico inedito potranno salvarci…Dobbiamo trasformare la scarsità di risorse in abbondanza di invenzioni…Dobbiamo puntare sul genio dell’umanità, capace di domare le paure e improvvisare nuove soluzioni…Abbiamo bisogno di pionieri,di esploratori, non di guastafeste travestiti da indovini. Abbiamo bisogno di nuove frontiere da superare, non di nuove prigioni in cui marcire. L’umanità si emanciperà puntando in alto “(pag. 227-228-229).
E’ ciò che è sempre successo nella storia dell’umanità: di fronte ai millenaristi e profeti di sventura che di volta in volta cavalcano lo scenario della vita, sempre la ragione, l’impegno e la ricerca hanno avuto il sopravvento.