Questo libro rappresenta un punto fermo nell’evoluzione del pensiero del Novecento e, pur essendo scritto più di mezzo secolo fa, torna ogni volta di attualità quando la Storia ripropone il tema che era alla base della sua stesura, quello cioè del conflitto tra dittature come il Comunismo e liberaldemocrazie.
Così oggi di fronte alla criminale invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin quelle pagine tornano in vita e ci mettono di fronte a una realtà che molti non vogliono vedere, resi ciechi dall’ideologia.
Come allora un regime dittatoriale si scontra con un sistema che si fonda su libertà e democrazia, allora erano i Paesi comunisti, oggi è la Russia di Putin.
Come allora molti intellettuali si mostrano implacabili verso le debolezze delle democrazie ma indulgenti nei confronti dei più grandi crimini commessi da regimi autoritari e privi delle più elementari libertà a cui siamo abituati.
Naturalmente esiste una differenza: negli anni della Guerra Fredda lo scontro riguardava due blocchi e coinvolgeva intellettuali anche di chiara fama, mentre oggi troviamo nell’agone anche l’uomo della strada che, grazie alla scuola di massa e alla libertà di opinione, può dire la sua, anche se questa è una riproposizione di tesi fornite da professori e giornalisti. Allora da parte delle masse c’era solo il tifo, oggi c’è anche una certa partecipazione: ovviamente in Occidente, perché sia in Russia sia in Cina il pensiero è unico.
Anche oggi di fronte alle posizioni di intellettuali come Canfora (di sinistra), Cardini (di destra), De Cesare, Orsini e altri (relativisti) sono molti quelli che si chiedono come sia possibile che studiosi e intellettuali, professori di Università, possano sostenere o giustificare l’aggressione risoluta di un Paese indipendente attraverso bombardamenti, massacri, la distruzione di obbiettivi civili e di intere città.
Negli anni ’50 del secolo scorso il pensiero dominante era quello a favore del sogno comunista, oggi -per fortuna- è l’opposto. Rimane però la domanda e lo stupore.
La risposta è nel libro di Aron che tocca i nodi centrali di questo atteggiamento riprendendo quanto elaborato da Hanna Arendt in Origini del totalitarismo (1951), dove viene evidenziato il ruolo decisivo dell’ideologia.
Conosciamo bene la difficoltà degli intellettuali di sinistra, non solo italiani, a riconoscere gli orrori dei regimi socialisti: di fronte alla realtà dei gulag, di fronte alla repressione delle rivolte operaie tedesco-orientali nel 1953, di fronte all’invasione dell’Ungheria nel 1956, e persino di fronte all’invasione della Cecoslovacchia del 1968.
La sinistra europea, quella francese e italiana in particolare, non hanno mai fatto i conti con il loro sogno trasformatosi in incubo e anche alla fine del secolo scorso, quando il crollo del comunismo ha mostrato tutta la drammaticità storica di quel regime, pochi sono stati coloro che hanno voluto vedere in faccia la realtà.
L’ideologia ha bloccato i cervelli: si nascondevano i crimini del comunismo parlando di esagerazioni e si ingigantivano episodi avvenuti in Occidente senza tener conto che da noi il sistema è sempre stato capace di autocorreggersi. Col sistema illustrato da Hanna Arendt di trasformare i diversi in nemici, chi parlava di gulag anche negli anni ’50 veniva accusato di essere una spia del capitalismo. Gli intellettuali di sinistra, la maggioranza, parlavano di “compagni che sbagliano” e che il vero nemico dell’umanità era il Capitalismo. Anche i libri di Storia dei Licei dedicavano più pagine al Maccartismo americano che ai milioni di morti dei regimi comunisti, russi cinesi cambogiani o altri: l’ideologia produce un’allucinazione collettiva che ha coinvolto e continua a coinvolgere migliaia di persone colte e intelligenti.
E’ significativo che il libro di Aron sia passato sotto silenzio: scritto nel 1955, tradotto in poche copie nel 1958, solo una edizione negli anni ’70 (20 anni dopo) ne ha permesso una maggiore diffusione, ma è rimasto un libro poco letto. Come è sempre avvenuto in Italia per i grandi studiosi sostenitori di società aperte, libere e democratiche: Le origini del totalitarismo di H. Arendt è del 1951, ma la sua pubblicazione in italiano è del 1967; La società aperta e i suoi nemici di Popper è del 1945, ma la traduzione italiana ha dovuto aspettare il 1973-74; per non parlare dei libri di Von Hayek, pur Premio Nobel, e dello stesso Aron.
Le 400 pagine del libro di Aron sono legate al contesto del periodo seguente la II° Guerra mondiale, ma, scavando in profondità, portano alla luce verità che ancora oggi riscopriamo nella loro validità.
Ciò di cui Aron parla è di facile comprensione, purché si abbia la mente aperta, e non ottusa dall’ideologia. La parola “ideologia” ha assunto diversi significati nel corso dei secoli, talvolta positivi talvolta negativi, ma negli ultimi decenni essa ha significato un modo di pensare stereotipato, chiuso, un assioma che non solo non ha bisogno di dimostrazione, ma soprattutto che è capace di spiegare tutto, dai grandi avvenimenti ai più modesti episodi (recuperandone curiosamente in parte il concetto che ne dettero Marx ed Engels).
L’ideologia evita il confronto con la realtà e ha già pronte le risposte per ogni interrogativo che la storia ci pone e l’ideologia che ha forgiato centinaia di intellettuali è un sistema di pensiero a scatola chiusa, un sistema che rinvia ogni responsabilità al capitalismo, al liberismo, agli Stati Uniti d’America che sarebbero sempre e comunque all’origine di ogni difficoltà. Si tratta di elementi causali generalizzati privi di concretezza e di storicità, e per questo motivo facili oggetto di colpevolizzazione. L’ideologia per vivere ha bisogno di miti che proprio per il loro carattere risultano avvolti tra le nuvole, pensati, supposti, nebulosi, per nulla fondati ma con la pretesa di essere fondanti.
I miti che stanno dietro l’acquiescenza all’ideologia sono vari. Aron mette in rilievo questi.
IL MITO DELLA SINISTRA. La sinistra è per definizione il Bene perché sta dalla parte del progresso, dei lavoratori, degli sfruttati. Basta dirsi di sinistra e ogni crimine perde di significato.
IL MITO DELLA RIVOLUZIONE. La rivoluzione è cambiamento, è progresso, è sviluppo di forze positive, ma deve essere di sinistra perché altrimenti è reazione, fascismo. C’era più popolo con Hitler nel 1933 che con Lenin nel 1917, ma la prima non è rivoluzione perché non di sinistra, mentre la seconda, sebbene si esprimesse con un colpo di Stato all’Assemblea Costituente, era la “vera rivoluzione” perché di sinistra. Che aprisse le porte ai gulag come l’altra ai campi di sterminio non conta, perché quella era per il popolo.
IL MITO DEL PROLETARIATO. Quanto proletariato c’era in Russia ai tempi della Rivoluzione? Ben poco. I paesi dove il proletariato era consistente si sono allontanati dalla sinistra rivoluzionaria (USA e Inghilterra) oppure hanno aperto la strada a dittature di destra (Italia e Germania). Erano paesi contadini la Cina e tutti quelli dove le idee del marxismo hanno attecchito, per cui “la rivoluzione proletaria” che avrebbe aperto le porte alla “dittatura del proletariato” era solo una fantasia, tanto che tutti i partiti di sinistra hanno dovuto inventarsi equilibrismi infiniti che superavano per nonsense le discussioni medievali sul sesso degli angeli.
Come ogni mito anche questi sono favole e leggende, rappresentazioni che idealizzano la realtà in modo che si eviti di fare i conti con il concreto evolversi del mondo in cui siamo inseriti. Questi miti cambiano di volta in volta, ma rimane il nucleo fondatore che li caratterizza: la lotta tra Bene e Male.
I fedeli sono i seguaci della religione e ora dell’ideologia comunista.
La Chiesa è rappresentata dal Partito, l’insieme di sacerdoti che sanno.
Il Male, una volta era la disobbedienza a Dio, ora è il capitalismo.
Il Bene per fortuna è lì a indicarci il Paradiso che ora prende il nome di Socialismo e Comunismo
Senza la guida della Chiesa o del Partito ci è impossibile sconfiggere il Male.
Il Partito in questi ultimi secoli è fondato sugli intellettuali, coloro che sanno districarsi nella complessità del mondo e gli unici che possono giustificare apparenti contraddizioni: i gulag e i processi o la distruzione dei kulaki sono necessari per combattere il Male, anche se ai più sembrano ben altro, e cioè l’opposto di ciò che la Chiesa-Partito sbandiera.
I tre miti moderni evidenziati da Aron sono copie tardive dei grandi miti che una volta erano l’anima dell’ottimismo politico, “progresso, ragione, popolo”.
Marx ha definito la religione “L’oppio del popolo” e gli intellettuali, in un secolo sempre più senza Dio, sono diventati i massimi consumatori di oppio, dando vita a una religione e a un Dio nuovi, laici, sostituendosi ai vecchi sacerdoti, etimologicamente “dotati del sacro”, gli unici in comunicazione con l’assoluto.
I loro errori, le loro confusioni, le contraddizioni e le incertezze non sono punibili, perché tutto è fatto per il Bene dell’Umanità. Non è un caso che i terroristi siano sempre stati chiamati “compagni che sbagliano”.
Rispetto al periodo in cui Aron sviluppa la sua lucida analisi, confermata dagli eventi successivi anche attuali, dobbiamo riconoscere un grande cambiamento: il numero di cittadini che appartengono a Stati che si richiamano alla democrazia liberale è cresciuto talmente che, nonostante sia necessario rivendicare continuamente i nostri riferimenti, le possibilità di rivivere la drammatica esperienza criminale che si rifà al comunismo sono notevolmente diminuite.
Rimane, oggi come allora, il costume di molti intellettuali, che in compenso sono aumentati di numero: il costume di elaborare teorie che risultano astratte e che non comportano l’assunzione di responsabilità. E’ la vecchia questione del Giusto e dello Sbagliato, del Bene e del Male, del Vero e del Falso, una questione molto umana e che risale all’alba dei tempi.
In principio tutto ciò fu l’essenza della Religione finché la Scienza non le sottrasse il primato; se non che la Scienza aveva limitato il suo raggio d’azione ai fenomeni naturali. Fu allora che la pretesa universalistica e deterministica della Scienza fu portata fuori da quei limiti e investì l’insieme della vita umana, dando vita alle pretese di Verità del Comunismo e del Nazismo. La Storia ha mostrato il carattere evanescente di quelle pretese, anche se nuove Religioni, come quella Ecologista, si sono affacciate sullo scenario.
Rimane la pretesa e rimangono gli intellettuali, soprattutto quelli che non accettano i limiti del campo d’indagine, come invece in genere fanno romanzieri poeti fisici chimici biologi, e scendono nell’agone convinti che solo se mostrano di possedere la Verità possono esercitare il loro potere.
E mentre la Scienza mette in discussione la pretesa di Verità universale costruendosi in termini di complessità, questi intellettuali non si limitano a inseguire la Verità ma se ne fanno portavoce, mostrando come le loro certezze siano capaci di incantare.
Nel 1955 quando ancorala Scienza era quella Seicentesca, il Nazismo era un bruttissimo ricordo e l’URSS illudeva anime ingenue Aron aveva spiegato tutto ciò, il fascino degli intellettuali per la dittatura, un aspetto che è andato erodendosi ma non è scomparso del tutto.
A 17 anni ero un adolescente infatuato di Mao Tse-tung: avevo tempo per riflettere.
Ma cosa pensare del grande Jean Paul Sartre, allora di 63 anni, che inneggiava alla Rivoluzione Culturale Cinese?
Ecco perché la lettura del libro rimane attuale: essa mette a nudo la pretesa di molti intellettuali di ergersi a portatori della Verità, la Verità Assoluta, quella che solo l’Ideologia può costruire. In realtà, come scrivevano Marx ed Engels ne “L’ideologia tedesca”: “… Gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere, in base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono…
Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo.”
L’invito di Marx ed Engels è quello di partire dalla terra, cioè dalla realtà e così i nostri intellettuali di oggi ripropongono da sempre le stesse formule che diffondevano ai tempi di Aron, formule capaci di aprire ogni porta. Queste formule sono le solite: è tutta colpa del Capitalismo, la liberaldemocrazia è una falsa libertà, gli Stati Uniti sono responsabili di tutto ciò che non funziona, la NATO vuole la guerra sempre. A partire da queste idee si scende sulla Terra (la falsa coscienza di cui parla Marx) e si inventano spiegazioni che hanno valore solo all’interno di quella (ideo)logica.
E’ un lavoro semplice, molto semplice.
Per fortuna, come ha sempre ricordato Marx (anche contro se stesso) i fatti e la Storia smentiscono sempre queste fantasie.