Professore universitario, attualmente ad Harvard, N. Ferguson scrive un libro che individua alcuni nodi strategici che hanno permesso all’Occidente di emergere come primo attore nello scenario mondiale. La tesi non è nuova, ma essa si compone di nuove e approfondite articolazioni che obbligano a una riflessione su ciò che ha rappresentato lo sviluppo dell’Occidente non solo per se stesso ma anche in una prospettiva più ampia.

Questa lettura, come abbiamo visto nelle precedenti recensioni, assume un valore ancora maggiore proprio per i figli dell’Occidente, quelli che hanno portato il dubbio, tipico di una cultura razionale, agli estremi, finendo così col non rispettare proprio lo strumento della ragione, quello strumento che anche ad altre latitudini ha garantito un miglioramento delle condizioni di vita dell’essere umano.

Che l’Occidente rappresenti un punto di riferimento è un dato di fatto innegabile e l’evoluzione dei Paesi asiatici e africani lo dimostra; in tutti i campi le opposte fazioni si richiamano a posizioni occidentali: la critica al liberismo rinvia a pensatori occidentali (da Marx a Keynes); il Socialismo nasce in Occidente e l’Occidente è più ecologista degli altri continenti; anche la diffusione e accettazione di altre culture è pienamente occidentale, così come usi e costumi, tecniche ingegneristiche e mediche e ciò cui in genere aspirano i popoli dei vari continenti.

Ciò che non appartiene all’Occidente oggi sono i governi autoritari (Russia e Cina in primis) e la non separazione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato (gran parte dell’Islam).

Per Ferguson ci sono sei campi che hanno portato l’Occidente a sopravanzare culture che appena mille anni fa si presentavano superiori, come quella cinese. Più che campi generici si tratta “nuove e ben precise forme istituzionali”:

  1. Competizione, 2. Scienza, 3. Diritti di proprietà, 4. Medicina, 5. Società dei consumi, 6. Etica del lavoro.

Vediamoli separatamente.

 

  1. Competizione. Prima del 1500 la Cina aveva sviluppato tecnologie innovative, era molto ricca e aveva avviato lunghi viaggi marini, ma poi era andata sempre più chiudendosi in se stessa, convinta che il Celeste Impero fosse la massima espressione dell’umanità. Mentre la Cina si accontentava di ciò che era, l’Occidente aveva iniziato uno sviluppo che aveva bisogno di aprirsi in misura crescente, ma questa apertura richiedeva l’accettazione di relazioni basate sulla competizione: nulla era scontato e le vittorie e le sconfitte si decidevano sul campo. A Oriente non si sentiva l’esigenza di mettersi alla prova e competere, perché l’Impero era un valore assoluto, mentre ad Occidente si riconosce il carattere limitato di ogni essere e dunque ci si affida alla competizione come molla di crescita in senso lato.

 

  1. Scienza. Anche in questo caso viene riconosciuto il peso che in campo scientifico ebbe l’Islam per un certo periodo un migliaio di anni fa, citando uomini di cultura che spesso sono ricordati ancora oggi. Purtroppo, mentre la Cina si rinchiudeva sempre nei propri confini convinta che non si potesse fare di meglio, anche l’Islam si fermò ben presto, spesso per il predominio della religione sulla vita civile, quel predominio che nella maggior parte degli Stati islamici continua ad essere in auge: nel Corano ci sono tutte le risposte, non solo quelle che riguardano la fede ma anche quelle che si riferiscono alla vita civile. Il contributo scientifico dell’Islam si riduce proprio mentre l’Occidente esplode con un crescendo culturale in progressione geometrica: la Rivoluzione Scientifica è allo stesso tempo il prodotto di questo crescendo e la causa di ulteriori sviluppi. In realtà per il declino scientifico islamico l’Islam deve ringraziare solo se stesso, perché decide di rifugiarsi nel Corano i cui depositari si trovano uniti a condannare tutto ciò che non vi trova posto. Diverso è l’atteggiamento occidentale nei confronti dei testi sacri, che sono letti in modo creativo senza che possano ostacolare il miglioramento delle condizioni di vita degli uomini. Un evento riassume questo divario: è solo nel 1727 che viene introdotta la stampa nel mondo ottomano e nel 1728 viene pubblicato il primo libro stampato con caratteri mobili arabi. Trecento anni di ritardo non sono poca cosa. Naturalmente in Occidente si aveva una fiducia sterminata nella libertà e dunque quei 300 anni furono impiegati a percorrere sempre più nuove strade verso nuovi orizzonti sempre più ampi.

 

  1. Proprietà. Competizione e conoscenza non sarebbero serviti a molto senza un mutamento istituzionale, cioè qualcosa che riguardasse i rapporti tra le persone e il rispetto di tali rapporti. Insomma la legge e dunque il diritto: tra i diversi diritti ce n’è uno che coinvolge direttamente la libertà dell’individuo ovvero il diritto di proprietà. Non fu facile né rapido affermare il diritto come collante di una comunità e anche oggi occorre ribadirne l’importanza. Si cominciò poco dopo l’anno Mille a riconoscere il ruolo delle diverse componenti sociali (Magna Charta Libertatum), ma fu soprattutto dopo il 1500 che il pensiero giuridico pose le fondamenta delle società libere e democratiche. Come sosteneva Locke “la libertà di un individuo era la libertà di disporre e ordinare la sua persona, le sue azioni, i suoi possessi…entro i limiti di ciò che permettono le leggi cui sottostà senza in ciò essere soggetto alla volontà arbitraria di un altro”. Rivoluzione Inglese (1689) con la Bill of Rights, Rivoluzione Americana e poi la Rivoluzione Francese (escludendo la fase giacobina) divennero il punto di riferimento di ogni società che aspirasse al benessere per la maggior parte della sua popolazione.

Va ancora di moda attribuire alla proprietà tutte le colpe di questo mondo, dopo che nel 1800 Proudhon la considerò un furto e Marx un’istituzione destinata a scomparire in un afflato comunitario. La proprietà, o meglio il diritto alla proprietà per ogni individuo, è stato uno degli elementi decisivi di cui scopriamo ogni giorno la validità: un Paese in cui non esiste quel diritto o risulta continuamente messo in discussione difficilmente riceverà investimenti e lo sviluppo sarà compromesso.

I diritti di proprietà sono indissolubilmente legati all’inviolabilità della libertà individuale, ed è proprio il riconoscimento in un popolo della dimensione individuale come sua componente essenziale che ha permesso lo sviluppo di società libere, democratiche, evolute culturalmente ed economicamente, società aperte che sono tali proprio perché sollecitano il contributo massimo di ogni individuo.

Come non accorgersi che società che hanno abolito per legge la proprietà (URSS e Paesi Comunisti) hanno abolito la proprietà per tutti ma non per la burocrazia della classe dirigente? Perché questo è il punto: l’intervento dello Stato favorisce sempre, dall’alto della sua centralità, un gruppo ristretto di individui o club, mentre se lo Stato fissa i paletti da non oltrepassare e lascia che gli individui possano muoversi ampiamente allora lo stimolo sarà positivo per tutta la comunità.

L’incomprensione di come i mercati possano produrre ricchezza pur senza l’azione ordinatrice di un grande cervello centrale deriva dalla presunzione di chi pretende di essere proprio quel “grande cervello centrale” e vuole pianificare le vite degli altri, costi (agli altri) quel che costi.

Con tutti i limiti e gli ostacoli che conosciamo è stato proprio il valore attribuito alla proprietà ciò che ha permesso ai Paesi Occidentali di segnare il cammino, anche per gli altri.

 

  1. Medicina. Come in tutti i campi della vita umana anche in quello medico i maggiori risultati si ebbero grazie all’interconnessione tra diritti, libertà, sviluppo economico, affermazione della scienza. I progressi in questo campo riguardano la salute umana e dunque appartengono alla dimensione materiale, ma è quello che l’uomo ricerca dai tempi di Adamo, perché senza quella non è possibile nessun progresso spirituale. Migliore salute significa anche minore sofferenza e una vita più lunga, il che permette ad ogni individuo di ricercare e dare un senso alla propria esistenza.

I dati sono significativi e ormai sono conosciuti sia nella loro dimensione più ampia sia nel dettaglio.

Un paio di numeri.

Attorno al 1800 l’aspettativa media di vita a livello mondiale era di circa 28,5 anni, nel 2001 aveva raggiunto i 66,6 anni.

Essendo nata in Occidente la moderna medicina ha favorito, come è naturale, prima i Paesi Occidentali, ma non si è fermata lì diffondendosi in misura crescente nei paesi extraeuropei: la media di 65 anni è stata superata in Tunisia e in Algeria nel 1985 circa e in Vietnam nel 1987 e praticamente in tutti i Paesi prima dell’inizio del nuovo millennio.

Come avvenuto in tutti gli altri campi, la libertà individuale tipica dell’Occidente ha permesso lo sviluppo di una critica e di una riflessione anche in campo medico: raggiunto un traguardo e sviluppati gli aspetti positivi, la cultura occidentale non si ferma e propone ulteriori progressi e un’evoluzione. E’ ciò che sta avvenendo in questi decenni, con una medicina meno specialistica e con un’attenzione maggiore alle dinamiche chimiche dei prodotti farmaceutici. Ancora una volta ciò è possibile attraverso la ricerca in termini di miglioramento, non di annullamento. Si è già cominciato a percorrere una nuova tappa per un nuovo traguardo, parte di un processo continuo che, grazie a ciò che l’Occidente ha prodotto, vede il contributo sempre maggiore di popoli collocati in altri continenti.

 

  1. CONSUMISMO. Da un po’ di anni questa parola è diventata il lupo cattivo delle favole o il diavolo, portando l’uomo alla morte o alla perdizione. Eppure per millenni fino all’ultimo gli uomini hanno lottato e sofferto per aumentare il consumo di cibo e di tutto ciò che poteva garantire una vita migliore. Purtroppo anche in questo caso si paga l’ignoranza e la presunzione dell’ideologia. L’idea che il consumo sia negativo è legata alla demonizzazione del capitalismo, per cui ci si accanisce contro una società, ormai diffusa a livello mondiale, che è in grado di garantire decorosi livelli di esistenza. Ed è proprio dove il capitalismo non è arrivato o è stato abbandonato che si registrano i maggiori disastri e ritardi. Ciò che non si comprende è che il termine “consumo” non si riferisce solo al cibo e ai vestiti, ma si consuma, anzi si è sempre consumato, anche strumenti di produzione, libri, spettacoli: la differenza rispetto al passato (non tanto lontano se ripenso ai miei nonni) è che prima della diffusione del capitalismo il consumo di mezzi per spostarsi, di cultura, cibo e beni personali riguardava un numero veramente molto ristretto di persone. Non solo, ma sviluppo del capitalismo e progresso economico hanno permesso di diminuire la sofferenza grazie alla cura del corpo, hanno permesso il quasi azzeramento di nati morti e della mortalità infantile, oltre al prolungamento della vita.

L’aspetto che non viene compreso riguarda il rapporto tra libertà e consumo, perché è proprio la libertà individuale che permette al mercato di andare in certe direzioni, e allo stesso tempo l’attività dei produttori orienta le scelte degli individui e delle famiglie: si crea dunque un rapporto virtuoso che non ha nulla di miracoloso ed è sempre esistito. La differenza attuale in positivo è che è cresciuta la quantità di beni a disposizione e la loro varietà: chi dice che ad esempio le auto di una volta erano di qualità superiore non si rende conto che esse non erano alla portata del 90% della popolazione, per non parlare dei miglioramenti relativi all’inquinamento e alla sicurezza.

 

  1. LAVORO. L’ultimo capitolo prima delle conclusioni si concentra sull’importanza del Cristianesimo nello sviluppo dell’Occidente, e non solo per il celebre saggio di Max Weber sull’etica del lavoro e l’etica protestante (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo). Su questo punto l’autore tralascia di riconoscere il ruolo del Cristianesimo anche prima del 1500, secolo della Riforma protestante: in realtà è vero che il cristianesimo nasce come opposizione tra Fede e Mondo, tra spirituale e materiale, e che questa contrapposizione non si è mai del tutto interrotta; occorre dunque affermare che ben prima di Lutero un riconoscimento della vita terrena era andato sviluppandosi, a partire ad esempio dai celebri conventi benedettini che seguivano la regola “Ora et labora”, cioè “Prega e lavora”. Non è un caso che il capitalismo nasca e si sviluppi in continuità a partire proprio dal Medio Evo.

 

CONCLUSIONE. L’ultimo capitolo, come naturale in un saggio, cerca di individuare le prospettive della realtà attuale, riportando diverse tesi frutto di diversi studiosi. L’autore è cosciente che ogni civiltà può crollare in qualsiasi momento e che lo studio del passato può aiutarci, entro certi limiti, a non commettere gli stessi errori; è vero però anche che ogni civiltà ha caratteristiche diverse e che il futuro non è prevedibile: come diceva P. Ricoeur “Anche il passato aveva un futuro”.

Di questo capitolo riporto due riflessioni che sono attuali e che non si lanciano in previsioni soggettive.

 

1) Per alcuni storici ed economisti, sostenitori di una visione complessa, le strutture politiche ed economiche create dagli uomini condividono molte caratteristiche dei sistemi complessi naturali. Per questi studiosi sempre più numerosi “Un’economia complessa è caratterizzata dall’interazione tra fattori dispersi, dall’assenza di un controllo centrale, da molteplici livelli di organizzazione, da un costante adattamento, un’incessante creazione di nuove nicchie di mercato e nessun equilibrio generale

(W. Brian Arthur, pag. 341).

 

2) Il libro si chiude con l’assunzione di responsabilità da parte dell’Occidente sia politico sia sociale che, come si è visto nelle precedenti recensioni, tende a rinnegare la storia di cui è stato protagonista. Molti soggetti nuovi grazie alla diffusione del capitalismo si sono affacciati sul balcone della storia e allo stesso tempo sono state lanciate nuove sfide. “Oggi la principale minaccia per la civiltà occidentale è rappresentata non dalle altre civiltà, bensì dalla nostra stessa vigliaccheria. E dall’ignoranza storica che l’alimenta” (pag. 368).

Combattere le proprie radici fino a distruggerle è un suicidio.