Itinerario: New York-Disneyland-Las Vegas- Grand Canyon- Flagstaff-Durango-Santa Fe-Ghost Towns-Yuma- Los Angeles- -Miami- Keys
PREMESSA
La scelta di andare negli Stati Uniti rispondeva al bisogno di allargare gli orizzonti di Beatrice ormai dodicenne portandola in quello che è considerato il mondo più avanzato. Beatrice aveva vissuto in Brasile e in Francia ed era stata in vacanza in vari posti compresa l’Australia, ma gli Stati Uniti le avrebbero permesso di entrare in contatto con la città storicamente più moderna e vedere come tutto ciò conviva con realtà naturalistiche protette e ben conservate. In più, tenuto conto anche dell’età, c’era la possibilità di passare una intera giornata in quello che è considerato il Parco Giochi più importante al mondo, la Disneyland della California. Noi abbiamo aggiunto la Florida che non conoscevamo. In generale Beatrice avrebbe potuto divertirsi e allo stesso tempo fare i primi conti diretti con aspetti della realtà contemporanea, come ad esempio (ma non solo) gli effetti dell’11 settembre.
Nessuna lezione, ma un semplice e diretto approccio.
NEW YORK
Naturalmente in queste pagine non avrebbe senso fare una guida, anche mini, di New York, per cui procederò con impressioni e riflessioni in parte espressione di una ragazza come Beatrice.
L’arrivo a Newark, aeroporto di New York City (N.Y.C.) ma posto in New Jersey, ci ha permesso di realizzare uno zoom sulla silhouette notturna della Grande Mela; mano a mano che ci avvicinavamo l’immagine assomigliava sempre di più a una sigla cinematografica nota. Il tassista era pakistano, mentre l’ultima volta era bengalese, a dimostrazione che certe professioni si addensano intorno a certe linee geografiche. Già col taxi entriamo in contatto con una realtà decisiva, ma profondamente differente rispetto a noi: la mancia. In genere siamo abituati al servizio incluso nel prezzo, mentre in America la mancia è parte integrante del salario del dipendente e non dare la mancia significa aver disprezzato il servizio offerto, in taxi come nei bar e nei ristoranti. L’America: poche tasse, prezzi netti, merito e responsabilità.
Visita ai luoghi canonici con particolare apprezzamento: per la Statua della Libertà e il percorso di andata e di ritorno; per il Brooklyn Bridge incredibilmente affollato di pedoni, non solo turisti, e di ciclisti che, as usual, si mostrano indifferenti a chi va a piedi; per il picnic in Washington Square con hot dog di una bancarella; per la passeggiata, non tanto riposante, nell’immenso Central Park con gli evidenti riferimenti artistici (nel bene e nel male) all’Hotel Plaza, a Rosemary’s Baby, al Museo americano di Storia Naturale e a John Lennon.
Ancora, il quartiere di Brooklyn soprattutto per il lungo Brooklyn Bridge Park da cui si gode una delle migliori skyline di Manhattan; il mercato domenicale di Union Square con prodotti agricoli locali ma non certo prodotti nelle vicinanze; il curiosissimo triangolare palazzo Flatiron, il Gramercy Park alla ricerca di Woody Allen, il Palazzo dell’ONU che non rivela la sua importanza, i due grattacieli più famosi, il Chrysler e soprattutto l’Empire su cui è impossibile non salire, Chinatown, Little Italy, Little Brazil, Times Square con le sue immagini, i colori e i suoni e la Central Station la stazione ferroviaria che arriva dietro la Fifth Avenue, il Bryant Park, dietro la Biblioteca Pubblica Centrale, con i prati e le panchine, un insieme che artisticamente rinvia al primo Novecento e dove d’estate si può assistere a interessanti concerti gratuiti, il Rockfeller Center con i suoi motivi decorativi e la vicina Cattedrale di Saint Patrick.
Potrei continuare a lungo perché New York è una fonte inesauribile di opportunità visive, ma parlerò di due visite che sono state un po’ una decisione collettiva perché legate a due trasmissioni televisive che seguivamo in modo quasi morboso in Italia. Così prima siamo andati da Mood dove si rifornivano gli sfidanti nella gara di moda per dilettanti “Project Runway” che si trova nel Garment District un’area non distante dal Bryant Park e dalla Pennsylvania Station, molto caratteristico per la quantità e varietà di tessuti: curiosa è anche la statua in bronzo dedicata a un sarto, the garment worker. Nel negozio abbiamo rivisto il luogo a cui i concorrenti facevano riferimento e addirittura il cagnolino, Swatch, che fungeva da mascotte nel programma e che è morto proprio il mese scorso. Purtroppo non abbiamo visto Heidi Klumm né il patron Tim Gunn né l’esuberante Nina Garcia e neppure il grande Michael Kors.
Il secondo programma newyorkese che ci appassionava era “Il boss delle torte”, con Buddy Valastro il pasticciere capo che guidava la famiglia, tutta di origine italiana, in numerose avventure dolciarie straordinarie e sempre divertenti. La trasmissione mostrava il luogo aperto al pubblico e così siamo andati lì appositamente e abbiamo comprato sia il libro di ricette sia un paio di cupcakes. In realtà la pasticceria si trova a Hoboken, in New Jersey, dall’altra parte di Manhattan passato il fiume Hudson. Oltre alla pasticceria il luogo è particolare soprattutto per la skyline di New York da una prospettiva diversa dalle solite, per la Stazione e per essere la città in cui è nato Frank Sinatra a cui sono dedicati alcuni luoghi prospicienti il fiume. Abbiamo scoperto che recentemente gli è stata anche dedicata una statua a grandezza naturale molto iconica: un Sinatra sorridente che si toglie il cappello.
Un discorso a parte merita Ground Zero per il peso che ha avuto nella nostra coscienza ben rappresentato dal libro di Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, e da un libretto da me scritto subito dopo, Appunti americani. Si può dire che quel tragico episodio è parte integrante della nostra famiglia anche perché Beatrice è stata concepita proprio nei giorni successivi quasi come inno alla vita contro coloro che esaltavano la morte. L’area di Ground Zero è veramente suggestiva e sebbene si cogliesse allora il fermento della rinascita il ricordo dell’evento emanava anche un forte senso di spiritualità e meditazione, che abbiamo fatto nostro. Una spiritualità laica che non ci avrebbe abbandonato e che anzi si sarebbe rafforzata dopo quella presenza.
Si dice spesso che gli abitanti di una metropoli come NYC sono individualisti e incuranti del prossimo; a parte il fatto che la beneficienza negli USA raggiunge cifre enormi, va detto che si tratta di uno stereotipo: gli americani sono persone gentili come può cogliere facilmente qualsiasi europeo che si trovi perduto nei labirinti della metropolitana o perplesso con la cartina in mano. Forse la rigida cultura protestante ha formato costumi tali che i classici episodi di irritazione tipici dei popoli mediterranei non si riscontrano nella maggioranza delle situazioni. Certo, trattandosi di un vero e proprio melting pot dipende molto anche dalla consistenza delle diverse etnie e non c’è dubbio che latini, italiani, brasiliani, afroamericani abbiano attitudini diverse, ma spesso l’aria che si respira, non solo a Manhattan, coinvolge in qualche misura anche loro.
Ogni grande e importante città è sfuggevole come la conoscenza: cominci a guardare, a studiare, a respirare profumi e colori e ti fai un’idea, che conservi sapendo che si tratta di qualcosa di provvisorio. E mentre rinnovi il desiderio e il piacere, programmando un futuro appuntamento, lei cambia giorno dopo giorno, e lo fa nonostante tu ti sia affezionato. Solo il nome è rimasto lo stesso, non l’anima, ed è ciò che succede anche a noi. L’anima non è un’entità astratta, ma un insieme di consistenze che la storia e la geografia formano e conformano.
Arrivederci.
DISNEYLAND
Aeroporto JFK. Aeroporto di Los Angeles. Long Beach, dove è ormeggiato il celebre transatlantico Queen Mary e dove si trovano anche spiagge ampie, in quel giorno domenicale popolato di famiglie. Abbiamo fatto il bagno e poi ci siamo diretti ad Anaheim per goderci il giorno successivo il più famoso Parco di Disneyland, il primo dei sei Parchi Disney che si trovano in tutto il mondo a dimostrazione del successo dell’iniziativa che conferma il genio del suo artefice.
E’ la terza volta che andiamo con Beatrice in un Parco Disney; le prime due a Parigi quando lei aveva un anno e sette anni. Naturalmente della prima esperienza abbiamo solo delle foto, bellissima quella con Pippo, mentre la seconda visita è stata molto bella, così come questa terza in California. Qui si respira un’aria più tradizionale e si sente più direttamente la presenza del fondatore della Walt Disney, mentre a Parigi il Parco inaugurato 37 anni dopo nasce già adulto e tiene conto dei cambiamenti che in quasi mezzo secolo si sono realizzati. Mentre a Parigi c’è stata la creazione, in California si deve parlare di aggiornamento. Comunque sono esperienze che hanno soddisfatto anche noi adulti e forse questo è il dato più significativo: l’adulto si diverte come un bambino. Le aree tematiche sono molto simili e spaziano dal Far West all’esplorazione dello spazio con situazioni che vanno dalle più movimentate alle più riposanti, mentre il mondo Disney si presenta in tutta la sua varietà e fantasmagorica bellezza. Ci sono poi le parate e in particolare quella pomeridiana con le stelle dei cartoni che attraversano il Parco; possiamo così ammirare i Personaggi Disney sui carri variopinti accompagnati da uno sfondo musicale appagante e sembra di essere immersi nelle storie Disney. Il problema sono i tempi di attesa, ma una certa programmazione permette di evitare di sprecare troppo tempo grazie a passaggi dedicati.
Una giornata passata a Disneyland è una giornata guadagnata, qualcosa che fa bene allo spirito, non solo perché ci fa vivere un mondo che ci era rimasto dentro, ma anche perché, a differenza dei classici Luna Park, è tutto giocato all’insegna di un divertimento allegro e sereno, vivace e luminoso. Non è questione di malinconia o rimpianto, ma di coltivare quello spirito che il mondo Disney ha saputo irradiare.
DA LOS ANGELES A LOS ANGELES:
Nevada, Arizona, Colorado, New Mexico, Arizona, California
Tappa successiva in Nevada: Las Vegas. Città di cui si è detto e si può dire tutto e il contrario di tutto, soprattutto in Europa, dove in genere viene demonizzata perché sarebbe quanto di più lontano da una vita all’insegna dell’impegno. In questa città, come in tutti gli altri aspetti che si è soliti affrontare in modo ideologico, la realtà è diversa e Las Vegas rimane un luogo sempre più frequentato soprattutto dagli americani, ma non solo, perché i turisti europei non mancano. Per Las Vegas, più che per Disneyland, si parla di evasione dalla realtà, termine usato anche per Baudelaire, che non coglie nel segno: il gioco, il divertimento, la meraviglia sono parte integrante della realtà. Comunque la si pensi Las Vegas è sicuramente un dis-vertimento, un qualcosa di dis-verso e di unico. Intanto è sorta in pieno deserto e venendo dalla costa crea un bell’effetto perché si staglia senza la presenza di quei sobborghi che di solito circondano le grandi città. Una volta entrati dentro c’è un lungo viale (The strip) su cui si affaccia la maggior parte degli edifici che sono soprattutto alberghi; se cercate su Internet (ad esempio su Booking) una sistemazione vi accorgerete di prezzi molto bassi per alberghi con un’ottima offerta; questo perché ogni hotel punta soprattutto sul gioco. Anche il cibo spesso è a buffet e incluso nel prezzo. I migliori alberghi si sono sbizzarriti con spettacoli fantasmagorici aperti a tutti e visibili dalla strada e le strutture stesse rispondono a un’esigenza ludica e visiva.
Famosi sono il Bellagio con le sue fontane e i giochi d’acqua; l’Excalibur con la riedizione di un castello delle fate; il Caesar’s Palace, il Venetian con una ricostruzione dei canali della città lagunare, il Paris Las Vegas al centro di un quartiere francese con tanto di Tour Eiffel e Arco di Trionfo, il Luxor Hotel con Piramide e temi egizi, la Statua della libertà in un isolato con MGM e M&M’S. Ogni hotel cerca di distinguersi in un’idea che unisce il piacere dell’immagine al gusto per gli effetti speciali. Las Vegas non è però solo la città del gioco e del matrimonio fai da te ma offre anche un ampio panorama culturale nei suoi numerosi teatri e la possibilità di uno shopping esteso e di qualità. L’unico neo è il caldo soffocante estivo.
Anche chi non ama il gioco deve fermarsi a Las Vegas, magari per un giorno o due, ma deve farlo perché qui è concentrata una parte di umanità che si raccoglie intorno a nuclei fondanti del nostro essere: il divertimento, il rischio, l’illusione, la fantasia, la meraviglia, il sogno, l’ossessione, il piacere e tant’altro.
Altre città americane sono famose per il gioco, ad esempio Reno e Atlantic City, ma non è la stessa cosa.
Compiuto il nostro dovere-piacere ripartiamo verso ovest e chilometro dopo chilometro lasciamo il deserto in direzione del Grand Canyon. Subito fuori Las Vegas ci fermiamo per vedere una grande meraviglia, la diga di Hoover, risalente agli anni ’30 del 1900, importante opera per l’approvvigionamento idrico ma anche molto bella da vedere. Piano piano il deserto lascia il posto a un paesaggio verdeggiante e a vere e proprie foreste che vede il suo centro abitato più importante in Flagstaff, una città universitaria dalle modeste dimensioni e ricca di murales che ne ricordano l’impegno culturale. La città è anche un nodo strategico sulla celeberrima Route 66, la cosiddetta Strada Madre, la prima (1926) interstatale a collegare Est a Ovest, all’inizio Chicago e Santa Monica, diventando il percorso privilegiato per lavoratori e vacanzieri. Ed eccoci al Grand Canyon, un vero e proprio monumento naturale, una delle meraviglie del mondo. Il lato più visitato è quello meridionale ed è quello che offre anche maggiore visibilità, ma -come sempre- dipende dagli interessi e dai propositi di ognuno di noi. Infatti dal villaggio è possibile anche partire per escursioni proprio dentro il Canyon oppure arrivare fino al North Rim, l’orlo settentrionale, per raggiungere il quale però ci sono più di 300 km. da percorrere. Le escursioni raggiungono il letto del fiume e sono sicuramente di estremo interesse, ma richiedono particolare attenzione soprattutto per il calore che si può accumulare e i possibili mutamenti repentini del tempo, ricordandosi che finita la discesa c’è poi da risalire. Non tutti sanno che esiste anche un’opzione giornaliera in treno con partenza da Williams e che per un amante delle ferrovie è un vero e proprio must.
Il viaggio prosegue. Si torna a Flagstaff e da qui si scende per una trentina di chilometri a Sedona nella cui area sono lo Slide Rock State Park e l’Oak Creek Canyon con paesaggi montani caratteristici e corsi d’acqua in cui rinfrescarsi, un paesaggio quasi idillico e sicuramente piacevole per un completo relax.
Ancora qualche miglia per arrivare al Lake and Castle Montezuma, un insediamento indigeno sulla roccia che rivedremo successivamente in forme più ampie ed elaborate.
Da qui in poi i nostri obbiettivi sono quattro luoghi naturali molto particolari e suggestivi.
- Il Meteor Crater, cratere meteoritico largo 1200 metri e profondo 170 a 100 miglia a N-E;
- La Petrified Forest, una foresta originaria trasformatasi in rocce;
- Il Painted Desert, un gioco di colori in un ampio spazio di terreno;
- La Shiprock, una solitaria formazione rocciosa molto alta che richiama alla mente una nave.
Nel percorso ci siamo fermati all’imponente Canyon de Chelly lungo ben 45 km. e con una profondità di 300 m. e che prosegue in canyon minori: l’interesse non è solo geologico perché sono visibili numerosi resti abitativi delle popolazioni indigene e infatti è stato insignito di Monumento Nazionale USA fin dal 1931. Non molto a nord possiamo trovare un luogo curioso perché non si trova altrove, il cosiddetto Four Corners, un punto geografico dove coincidono ben quattro Stati, in questo caso Utah, Arizona, New Mexico e Colorado.
Il passo successivo è stato il Parco Nazionale di Mesa Verde a 50 miglia da Shiprock, che presenta i piu intatti e interessanti insediamenti rupestri delle popolazioni indigene, gli Anasazi o Popoli Ancestrali, che sarebbero i progenitori delle tribù native a noi più note e che sembrerebbero essere usciti di scena già alla fine del XIV sec. d.C.
Con Mesa Verde termina l’area desertica o comunque arida che abbiamo percorso da Sedona in poi; infatti già pochichilometri a Nord e ad Est inizia un paesaggio montano e boschivo che si estende per molto all’interno del Colorado. La prima città che incontriamo e che ci accoglie, non casualmente, con la pioggia è Durango, ma entrando in New Mexico il verde paesaggio comincia a rarefarsi lasciando il posto ad ampi spazi aridi. Ci troviamo in un territorio che supera i 2000 m.s.m. e che ha una storia di villaggi indiani, i pueblos, molto diversi dagli altri insediamenti per la struttura a parallelepipedo e che hanno il loro centro nella città di Taos. La regione è famosa anche per le possibilità di praticare attività sciistiche, vista l’altitudine e le vicine montagne. La capitale del New Mexico è Santa Fe, città molto caratteristica perché ci tiene a valorizzare le sue origini che sono sia di popolazioni indigene sia dei coloni spagnoli e del dominio messicano, come il nome stesso indica. La piazza centrale della città potrebbe essere confusa con qualsiasi centro messicano ed è questa l’immagine che viene presentata ai turisti e da loro apprezzata. Ma Santa Fe ha anche un lato molto moderno, perché è la sede del Santa Fe Institute, il primo e ancora il più importante centro di studio e ricerca dei fenomeni complessi, con attività cui partecipano molti Premi Nobel.
Vicina a Santa Fe è Albuquerque, città che non ci è sembrata interessante e per questo abbiamo deciso di proseguire in direzione di Tucson. La presenza di quattro vulcani in New Mexico mostra una forte attività geotermica che fa dello Stato uno dei centri più ricchi di sorgenti termali (Hot springs). Lungo l’I-25 incontriamo due laghi formati dal corso del Rio Grande e nei pressi del primo si trova una cittadina dal nome veramente strano, derivato da una popolare trasmissione televisiva degli anni ’50 del secolo scorso: Truth or Consequences. Si tratta di luoghi particolari, amati dai campeggiatori orientati verso la pesca o attività nautiche in un luogo poco popolato e abbastanza arido. Lo scenario non è quello maestoso che ci ha accompagnato tra Las Vegas e Durango, ma ha comunque un suo fascino per i colori tenui e cangianti e le ampie distese.
Entrando nella I-10 la lunghissima interstatale meridionale coast to coast si entra in un territorio caratterizzato dalla presenza di numerose ghost towns, città sorte alla fine del 1800 in fase di boom minerario e poi lentamente decadute fino a scomparire. Questi centri oggi sono visibili sotto forme diverse; si passa da qualche residuo ferroso a qualche catapecchia, spesso neanche segnalati, fino a veri e propri villaggi rimessi in piedi a fini turistici. In quest’ultima categoria si trova sicuramente Tombstone, cittadina famosa per la sparatoria all’OK Corral; è stata ricostruita nelle forme che la resero famosa con tanto di saloon, chiesa e cimitero oltre alla rievocazione quotidiana della sparatoria tra polizia (i famosi fratelli Earp) e banditi. E’ una tappa obbligatoria perché è come se ti immettesse dentro uno di quei film western che hanno accompagnato la nostra infanzia, almeno la mia. Con l’occhio attento, procedendo lungo la ferrovia, è facile, anche in mancanza di indicazioni, scorgere tracce di quell’avventura che vide coinvolte più le speranze che le persone stesse e che contribuì allo sviluppo dell’America e del suo carattere.
Siamo nel deserto di Sonora a poche decine di chilometri dal Messico e il paesaggio comincia a prendere le forme tipiche di questa tipologia con la presenza sempre più fitta di alti cactus, i noti saguaro di Pedrito el Drito. Nel mezzo c’è l’importante città di Tucson, tutt’altro che anonima, anche se a prima vista potrebbe non differenziarsi da molte città americane simili.
Che fare a Tucson?
1)Nella periferia sud c’è una bellissima chiesa missionaria del 1700 in stile barocco, la Missione San Xavier del Bac, che, oltre a una particolare e ricca facciata, presenta al suo interno varie opere d’arte;
2)Negli studios cinematografici di Old Tucson sono stati girati celebri film western, approfittando anche della tipicità paesaggistica, in particolare una serie amatissima anche in Italia, La casa nella prateria;
3)Il Saguaro National Park a Ovest della città offre la vista del paesaggio caratteristico della regione;
4)Biosfera 2 è un luogo di ricerca gestito dall’Università dell’Arizona che si propone di ricreare gli ambienti naturali, controllarli e verificarne le caratteristiche. Si trova in un posto isolato tra le montagne e le strutture architettoniche creano suggestioni fantascientifiche.
Dagli oltre 2000 m.s.m. del New Mexico si è progressivamente scesi ai 1300 di Tombstone ai 700 di Tucson. Da qui verso ovest ormai siamo al livello del mare e il caldo si fa sentire. Ci siamo fermati a Yuma, alla frontiera col Messico, soprattutto per il ricordo del film del 1957 uno dei classici western con Glenn Ford (riedito 50 anni dopo), ma l’unica cosa da fare qui è sorseggiare una birra fresca dentro una piscina riparata dal sole penetrante.
Da Yuma si torna a Los Angeles.
Pretendere di trovare l’anima di una città è il più classico degli errori fatto dai viaggiatori: non esiste un’anima, ma solo manifestazioni di una storia, esistenze non essenze. E questo vale anche per quella curiosa, anzi strana metropoli che è Los Angeles. Lo skyline della città è tra i più noti perché ripetutamente mostrato nei film e alla televisione, per cui si sa subito dove si svolge l’episodio ed è una visione anche interessante perché alterna, sullo sfondo oceanico, grattacieli moderni ad edifici chiaramente datati. Non avendo a disposizione -come sempre- molto tempo ci siamo concentrati su alcuni aspetti legati al cinema, dal momento che ne apprezziamo le vicende, chi in termini di interesse e chi in termini di passione.
Naturalmente, dunque, Hollywood.
Hollywood per noi voleva dire soprattutto la Walk of fame che abbiamo percorso con un misto di curiosità e rispetto nei confronti delle impronte che di volta in volta incontravamo; per alcuni attori come Tom Hanks ci siamo messi alla ricerca, mentre altri sono spuntati magicamente senza fare troppa fatica. Le foto non sono mancate. Abbiamo concluso il pellegrinaggio al TCL Chinese Theatre, il più grande cinema IMAX al mondo con quasi 1000 posti e emblema di Hollywood per il suo rappresentare una Pagoda e che è inoltre proprio a due passi dal Dolby Theatre il luogo in cui si celebra la Notte degli Oscar che tiene svegli migliaia di italiani nonostante la differenza di fuso orario la collochi a notte fonda.
Tra le foto di quel giorno non poteva mancare quella della enorme scritta sulla collina, nonostante debba confessare che quella parte continua a non piacermi: mi sembra qualcosa di sciatto e di improvvisato, elementare e privo di qualsiasi suggestione, un insieme di lettere scarne inchiodate rudemente al terreno della collina. Solo la scoperta che è rimasta la stessa struttura che negli anni Venti del secolo scorso serviva per pubblicizzare la vendita di appartamenti in quella zona ha attenuato il senso di diffusa delusione che provo sempre al vederla.
Sempre in nome del cinema e della città del cinema abbiamo deciso di fare il tour negli studios di una delle più note case cinematografiche: la Universal. E’ un po’ come Disneyland ma con la possibilità di fare un tour attraverso molti studios usati per la ripresa di film famosi. E’ stata un’esperienza entusiasmante indipendentemente dall’essere o meno dei cinefili. Siamo stati immessi, ed immersi, nelle scene di film come Lo squalo, Psycho e molti altri, ma soprattutto fornendoci il quadro di quello che in gergo è chiamato il dietro-le-scene (Go Behind-the-Scenes), permettendoci di vedere gli effetti catastrofici sui trasporti di un terremoto, di un’inondazione come pure le elaborate e realistiche ambientazioni cittadine.
Con una visita a Santa Monica che il traffico ci ha impedito di raggiungere si sarebbe concluso il nostro tour nella città degli angeli. E così abbiamo fatto le valigie per il nuovo posto previsto.
MIAMI
L’ultima tappa del nostro zigzagante viaggio era naturalmente ad Est, in Florida, Miami, città che non conoscevamo se non nelle numerose ambientazioni cinematografiche e televisive. Diversamente da metropoli come New York, San Francisco, Chicago, Boston che hanno una storia urbana ampia e complessa, Miami si caratterizza per la sua dispersione.
Qui sto parlando della Grande Miami non solo della città che con quel nome raggruppa solo mezzo milione di persone a fronte dei sei milioni della conurbazione. Per un turista il punto di approdo è naturalmente Miami Beach che giuridicamente è un’altra città ed è costituita da un insieme di isole con le famose spiagge di sabbia chiara e un’acqua calda celeste e trasparente. Non c’è solo il mare perché nella parte meridionale (South beach) c’è l’Art Déco Historic Districts, un quartiere non molto lungo ma che presenta molti edifici in stile “art déco tropicale”, oggi pieno di locali rinomati, dove la musica si diffonde praticamente per tutto il giorno e dove la presenza di palme rende l’ambiente molto caratteristico e suggestivo. In agosto l’acqua del mare era limpidissima ma molto calda, in compenso abbiamo avuto la fortuna di vedere praticamente a pochi metri dalla riva una manta gigante che nuotava tranquillamente: la paura iniziale, nostra, si è trasformata avvicinandosi in un’emozione viva.
Sebbene Miami Beach sia un po’ il punto di riferimento per un turista ci sono altre zone che meritano una visita anche se fugace. Qui di seguito è ciò che abbiamo scelto di fare noi tenuto conto del tempo a disposizione e degli interessi. Nell’area metropolitana ci siamo diretti a Coral Gables passando per il quartiere cubano.
La prima area, soprannominata “The City Beautiful”, è un quartiere di viali alberati, palazzi ricoperti di edera e monumenti storici come il Biltmore Hotel e la Venetian Pool entrambi in ottima forma ed eredità degli anni del primo grande sviluppo della città.
Little Havana è invece un enorme quartiere che riproduce tutte le caratteristiche della tradizionale vita cubana, frutto della enorme presenza di cubani fuggiti dalla dittatura comunista e in effetti sembra veramente di percorrere certi quartieri di L’Avana; una simile situazione è stata creata dagli esuli venezuelani a seguito della dittatura di Chavez e Maduro. La presenza italiana è invece più di alto livello, essendo legata alla ristorazione e alla moda ed è dunque molto diversa dalla storia di emigrazione che si è concentrata soprattutto al nord.
Fuori dalla città abbiamo scelto di andare nelle Everglades e nelle Keys.
L’accesso più vicino al Parco delle Everglades è l’Ernest F. Coe Visitor Center a 90 km. da Miami Beach ed offre un primo punto di vista interessante: una grande varietà di piante, di uccelli e soprattutto alligatori e coccodrilli che si muovono liberamente nelle acque paludose e che per le dimensioni suscitano una certa impressione. Data l’umidità del luogo non c’è da meravigliarsi della grande presenza di zanzare. Chi volesse perlustrare il Parco liberamente non ha che l’imbarazzo della scelta, visti i numerosi sentieri e campeggi e tenuto conto che le sue dimensioni sono veramente notevoli, più di 6.000 kmq.
Più impegnativa è la visita delle Keys fino alla punta meridionale dove c’è la cittadina di Key West perché si tratta di più di 250 km. ma il percorso è veramente interessante perché la strada è costruita su una enorme quantità di isolotti (key o caye) che si succedono per 150 km. ed essendo piccoli banchi di sabbia praticamente è come scorrere con l’auto sul mare, un mare trasparente e di color celeste chiaro. Un tempo c’era anche una ferrovia, purtroppo spazzata più volte dagli uragani che battono regolarmente la regione e per questo alla fine non è stata più riattivata. La punta finale è data da Key West che è anche la punta più meridionale degli USA come ricordato da un cippo colorato, a forma di boa, dove è annotato anche che Cuba dista solo 90 miglia. Vista la sua importanza strategica e le sue dimensioni la città è cresciuta molto e presenta costruzioni storiche come il Forte, alcune chiese e qualche edificio, sebbene la maggior parte delle case sia di legno e assomigli più a un ambiente contadino. Tra le case in stile e con un ricco arredamento è l’edificio in cui Hemingway visse per molti anni e in cui scrisse alcuni dei suoi romanzi più famosi. Curiosa la presenza di galli che razzolano liberamente nonostante ci sia la città. Key West è un luogo molto turistico e con una vita notturna abbastanza agitata anche se di giorno ha l’apparenza di un borgo d’altri tempi.
Ho parlato di punti precisi e di tappe, ma la storia di Miami, cresciuta a sussulti, è tale che è di estremo interesse anche un giro panoramico, meglio nel tardo pomeriggio o di sera, lungo le numerose anse acquatiche che la caratterizzano, canali mare lagune, per poter avere una percezione diversa da quella standard colta nei punti sopra descritti: si tratta di una percezione in continua trasformazione con colori che variano e soprattutto con una messa a fuoco di realtà estremamente diverse ma tutte egualmente interessanti. I grattacieli architettonicamente all’ultima moda, le villette o ville sull’acqua, il porticciolo degli yacht, il porto per le grandi navi, gli edifici di inizio secolo scorso delle classi medie e alte, le casupole a un piano, dignitose ma semplici, dei quartieri di più recente immigrazione: come tutte le metropoli, se vogliamo, con la singolarità di una città in cui l’acqua è componente fondamentale.
CONCLUSIONI
Siamo nel 2014 e tre anni dopo avremmo arricchito la nostra conoscenza di questo immenso continente rappresentato dagli Stati Uniti. Non posso dire di conoscere questo Paese, ma senz’altro abbiamo avuto l’opportunità di uno sguardo ampio e non episodico. Tanti luoghi che vorremmo visitare mancano all’appello e occupano tutti gli aspetti della vita dell’uomo e della sua interrelazione con quella che si è soliti chiamare, per pigrizia, Natura.
Io e Daniela ne conosciamo molti, Beatrice avrà la possibilità di scegliere.
Ho già detto che troppo spesso gli Stati Uniti sono ridotti nel parlare comune a macchietta ideologica, le armi il razzismo il gioco l’individualismo, e molti viaggiatori che visitano questo Paese tornano a casa con le stesse idee con cui sono partiti. Questo modo di viaggiare non ci appartiene.
Un aspetto che non viene mai fatto risaltare dalla stampa così detta d’informazione riguarda il rapporto che gli americani hanno con l’ambiente.
Intanto va detto che i primi a tutelare ampie zone di territorio sono stati proprio gli USA già alla fine del 1800, che i Parchi sono strutture Nazionali di tipo Federale e quindi soggette all’autorità centrale e non dei singoli Stati, che ogni Contea sviluppa un’attenzione particolare al verde pubblico e che negli ultimi anni la superficie verde degli USA è aumentata.
Va detto poi che, nonostante l’immagine comune degli Stati Uniti come di un Paese fatto di metropoli e grattacieli, quelle occupano solo una percentuale minima del territorio americano e che appena fuori dalle metropoli a più alta densità è facile trovare ampi spazi in cui rilassarsi con attività integrate all’ambiente favoriti anche dalla presenza di enormi quantità idriche presenti in fiumi e laghi. Da Manhattan al Great Swamp National Wildlife Refuge sono solo 50 km. ma la stessa supermegalopoli che va da New York City a Wahington-D.C. passando per Filadelfia e Baltimora è accompagnata a Ovest da centinaia di chilometri di paesaggio non urbano, in parte agricolo ma con ampi territori forestali e genericamente naturali.
Poiché sto procedendo a ritroso cerco di evitare ogni forma di anacronismo sapendo che il piacere di viaggiare è da sempre una caratteristica della nostra famiglia sia come individui sia come insieme. Certo ogni volta che mi trovo a riparlare di un luogo c’è sempre qualche elemento nuovo e diverso e questo resoconto non è lo stesso che avrei potuto fare nel settembre 2014.
Ed ora pensiamo al prossimo appuntamento che si è già verificato, un anno prima di quanto qui raccontato. Il passato che diventa futuro: è meno strano di quel che sembra. Australia! Arriviamo.