AUSTRALIA 2013: Sidney- Gold Coast- Brisbane- Whitsundays Islands- Mission Beach- Cairns (2400 km) – Green Island -Ayers Rock- Kangaroo Island- Coorong N.P. – Great Ocean Road -12 Apostoli- Queenscliff -Sorrento -Philip Island- Ballarat -Melbourne
Premessa
Nonostante Beatrice fosse nata in Francia e avesse vissuto in Francia e in Brasile, il suo primo vero e grande viaggio fu in Australia all’età di 11 anni. Un conto è viaggiare in Europa o vivere anche in posti lontani quando si è bambini, perché in quel periodo non si ha coscienza né dello spazio né del tempo. Per questo motivo abbiamo aspettato che fosse iniziata la sua adolescenza per farle fare un viaggio vero e proprio. Per un adulto è impegnativo vivere all’estero, soprattutto in paesi abbastanza diversi da quello di origine, ma il viaggio è cosa diversa e più pregnante, perché il viaggio, per quanto organizzato, è sempre aleatorio e precario, obbligando a continui spostamenti, a cambiare programmi, a dover improvvisare e soprattutto a convivere, non giorno dopo giorno, ma minuto dopo minuto. In questo senso il viaggio, almeno come lo intendo io, è educativo, ma anche formativo del carattere; esso mette a dura prova quelle che sono abitudini e convinzioni consolidate e fornisce sempre, adulto o adolescente, un eccellente terreno di riflessione e di costruzione.
Ero stato in Australia nel 1988 e nel 1996, in un lasso di tempo in cui quel continente ai nostri antipodi cominciava a essere sempre più frequentato, così quando ci siamo stati nel 2013 l’Australia non era molto diversa da altre parti del mondo, solo un po’ più lontana: più turisti significava anche strutture e infrastrutture migliori. Il viaggio trasse vantaggio anche dal fatto che le stagioni sono invertite, per cui di fatto non subimmo l’affollamento tipico dei mesi per loro estivi: naturalmente non fu una scelta, perché dipendeva dal periodo di chiusura delle scuole, ma comunque, anche questa volta, il Caso ci fu amico.
SYDNEY
Il viaggio per arrivare a Sidney fu abbastanza impegnativo; treno fino a Milano, Emirates fino a Dubai e Qantas fino a Sidney: arrivo alle 5 di mattina dopo 20 ore di volo, essendo partiti nel pomeriggio di un lunedì e arrivati a destinazione all’alba del mercoledì. Naturalmente tenuto conto delle 10 ore di fuso in più.
Comunque, essendo luglio, eravamo in pieno inverno e il cielo era umido, grigio, anzi plumbeo, per fortuna poi il sole venne fuori e nonostante il freddo potemmo goderci la giornata. Troppo presto per il check-in all’hotel, lasciammo i bagagli e ci incamminammo verso il simbolo della città, l’Opera House. 3 km e 30’ a piedi attraversando tutta la parte più antica della città.
Attraversando il vicino Harmony Park ci siamo imbattuti in una colonia di uccelli mai visti, simili agli Ibis e infatti si chiamano Ibis bianco australiano, ma privi della grazia che riconoscevamo in questa specie: quello australiano infatti presenta il tipico becco, ma è completamente sgraziato nel senso che è tozzo, non è slanciato e ha un piumaggio abbastanza raffazzonato. Da quel momento non ci sarebbe mancato in nessun’altra parte da noi visitata.
L’Opera House rappresenta per me un insieme di realtà emotive e concettuali fin da quando cominciò ad apparire nelle foto dei giornali e soprattutto dei rotocalchi. Pur essendo considerato un capolavoro di stile espressionista l’ho sempre trovato un edificio particolarmente complesso, un edificio che, nonostante fosse di grandi dimensioni, esprimeva grazia ed eleganza. In realtà negli anni in cui si cominciava la mia formazione culturale le mie radici erano classiche e razionalistiche, anche per l’influenza di mio padre, urbanista fan di Le Corbusier, ma quegli anni coincidevano anche con una ribellione generazionale che avrei approfondito nel confronto autonomo con la letteratura. Qualcuno direbbe che si trattava di confusione, oggi preferisco parlare, con Baudelaire, di con-fusione e dunque di complessità. L’Opera House di Sidney mi appariva straordinaria perché da un lato mi sembrava qualcosa di fortemente innovativo, soprattutto con riferimento all’arte italiana, ma da un altro punto di vista mi appariva come qualcosa di ordinato e organizzato, un’opera contemporaneamente classica e barocca e per questo, in maniera in gran parte non consapevole, avrebbe alimentato quel senso di contraddizione che mi ha permesso di essere quello che sono. In più il fatto che tutto ciò si trovasse agli antipodi del nostro mondo attribuiva all’oggetto una specie di sacralità e rappresentava un punto di riferimento per la ricerca dell’altrove. Tornerei a Sidney anche solo per rivedere da vicino e da tutti i lati possibili la sua Opera House.
Alle spalle dell’Opera c’è il Royal Botanic Garden un ampio spazio piacevole per una passeggiata e interessante per la flora locale; esso si accompagna bene alla visita del principale monumento della città.
Nell’area dell’Opera ci sono almeno due luoghi di notevole interesse: The Rocks e l’Harbour Bridge.
Il quartiere di The Rocks si trova ad ovest del porto principale, il Circular Quai, da dove parte la maggior parte dei traghetti sotto l’attento controllo dei gabbiani. Si tratta del quartiere che già alla fine del 1700 vedeva l’insediamento soprattutto di detenuti, marinai e prostitute, oltre che dei magazzini portuali; nel corso del 1900 è stato riqualificato diventando un quartiere alla moda con molti locali e mercatini e ha mantenuto però anche numerosi edifici originali che rientrano nell’elenco del Patrimonio Storico Australiano.
Il Bridge è un’altra struttura iconica della città e ha una caratteristica singolare, il fatto che le due arcate sovrastanti la sede stradale possono essere scalate offrendo un’esperienza atletica e visiva straordinaria. Il Ponte è lungo più di un chilometro ed è tipico degli anni ’30 del secolo scorso sia per l’uso dei materiali sia per la struttura dei piloni che ricorda ponti simili nel mondo anglosassone.
Come sempre non intendo qui parlare di tutti i posti visitati né fornire indicazioni turistiche complete. In centro si possono trovare edifici storici, chiese interessanti, qualche parco anche ampio, diversi musei interessanti, la Stazione Centrale in puro stile anglosassone, il tutto mescolato a edifici moderni e grattacieli che però non presentano, a mio parere, nulla di particolare.
Un aspetto che mi piace sottolineare riguarda l’ambiente marino e in modo specifico le spiagge. Tra queste c’è la famosissima Bondi Beach molto frequentata e che è divenuta un’icona, ma non è la sola che presenta caratteristiche simili: ampiezza, sabbia fine, animazione. Sono almeno una decina quelle facilmente raggiungibili dal centro della città e tra queste a noi è piaciuta Shelly Beach che si trova a Nord-Est, in un quartiere periferico ma vivace e ben fornito, inoltre facilmente raggiungibile con i traghetti.
Per capire invece il fascino dell’ambiente marino basta prendere una cartina (meglio google maps) e rendersi conto delle caratteristiche dell’area. Sidney è nata, e da lì si è sviluppata, quasi al termine di una profonda baia di circa 10 km che la protegge, ma che allo stesso tempo si presenta molto articolata con la presenza di spiagge, colline e promontori rocciosi, tutti visibili tranquillamente dai numerosi traghetti che solcano la baia. Ma non è solo la baia a essere interessante, perché la costa che dall’aeroporto risale oltre la baia presenta cale e calette, piccole e grandi spiagge, alte falesie e parchi, conformazione che nella parte a Nord della baia si fa ancora più spezzettata e articolata, mantenendo gli stessi elementi.
La regione di Sidney è anche montagna e sotto questo aspetto le escursioni al Parco delle Blue Mountains a 80 km a Ovest è tra i must della visita: avremmo voluto recarci, ma non è possibile fare tutto quello che passa per la testa. Diverso se uno vivesse in Australia.
Il viaggio vira così verso Nord.
DA SIDNEY A CAIRNS
Da Sydney a Cairns sono 2.400 km lungo la costa; un viaggio nel viaggio in tutti i sensi, perché si passa dall’inverno a una primavera estiva, dalla pioggia al sole, da una vegetazione temperata a una vegetazione tropicale, mentre la fauna non cambia molto anche se si arricchisce di animali tipici di latitudini più vicine ai tropici. Il Tropico del Capricorno lo si varca dopo 1400 km da Sidney. Gran parte dell’itinerario è accompagnato in mare dalla Grande Barriera Corallina uno dei luoghi più straordinari al mondo per la presenza di una fauna acquatica ricchissima: sono 2.400 km da Hervey Bay sopra Brisbane, un migliaio di chilometri a nord di Sidney, fino all’estremità settentrionale dell’Australia che è Capo York. Una visita in una delle numerose isole che accompagnano la costa non può mancare per chi si trova qui. Le opportunità sono molteplici e i tour non mancano.
Noi siamo stati alle Whitsundays e a Green Island.
Nel primo caso siamo partiti da Airlie Beach con un catamarano che ci ha portato all’isola che dà il nome all’arcipelago, Whitsunday, dove c’è una vegetazione fittissima, spiagge di sabbia bianca, un mare celeste trasparente, palme e iguane di certe dimensioni e non sempre simpatiche, perché con la coda possono dare frustate non proprio piacevoli: a me è successo. Fantastica è, in questa isola principale, la spiaggia di Whitehaven, lunga ben sei chilometri.
Nel secondo caso siamo partiti da Cairns per un’isola che è verde ma anche piccola e molto affollata, visto che la temperatura dell’acqua è molto piacevole. C’ero stato nel 1988 quando i visitatori erano solo poche unità; 25 anni dopo l’isola si era trasformata viste le caratteristiche, compresa la vicinanza a Cairns. Strutture per l’accoglienza di centinaia di persone, ma sempre uno snorkeling notevole, perché la quantità di fauna marina non è diminuita e inoltre comprende una vasta tipologia.
In Australia occorre sempre fare attenzione alla fauna perché vi si trova di tutto e di più, non solo per quanto riguarda il numero ma soprattutto per la pericolosità: si va dai ragni agli insetti velenosi come i millepiedi ai coccodrilli ai serpenti mortali, mentre il mare non è da meno. Nelle acque marine si possono incontrare coccodrilli di riflusso, ma il pericolo maggiore è dato dalle meduse, alcune veramente minuscole ma dolorosissime e altre maggiori ed egualmente velenose, le stingray, e per quanto riguarda le forme tradizionali occorre fare attenzione ovviamente agli squali ma soprattutto ai pesce pietra (una specie di tracina) che si mimetizzano tra le pietre dei fondali e con le loro spine portano facilmente alla morte. Naturalmente non è solo in Australia che incontriamo questi rischi, perché ciò vale praticamente per tutti i continenti, meno che l’Europa. Intanto va detto che le informazioni a disposizione nei luoghi turistici sono esaustive sui tempi, il reale pericolo e i possibili interventi curativi, ma anche che la presenza di lifeguard nelle spiagge più frequentate è consistente.
L’Australia ha fatto nei decenni passati da cavia alla politica animalistica basata sull’ideologia, un po’ come quelli che al saluto “in bocca al lupo” rispondono “viva il lupo”: negli anni ’70 del secolo scorso cominciò la campagna per la difesa dei coccodrilli minacciati di estinzione (così si diceva) e dunque fu proibita l’uccisione di coccodrilli; nel giro di 20 anni la diffusione di questi rettili era tale che si potevano trovare nel giardino di casa e si è dovuto correre ai ripari. Per fortuna oggi c’è una visione meno ideologica basata sugli studi della complessità negli ecosistemi: ciò che vale per i coccodrilli vale per tutti.
Detto questo parliamo di animali più graziosi e che sono il simbolo dell’Australia, i canguri, i Koala, gli emù, praticamente degli struzzi, le echidne, i vombati. Per quanto riguarda i canguri e i loro parenti più piccoli, i wallaby, se ne vedono in gran quantità lungo la strada e può anche capitare che ci passino davanti, come pure le echidne, una specie di porcospini. I koala sono timidi e pigri per cui non è facile vederne, ma ci sono aree (come vedremo nel Sud) in cui sembra che non finiscano mai.
Un altro animale è tipico dell’Australia e può capitare di vederlo, come a noi è capitato all’ingresso di un piccolo parco; è il dingo, un cane selvatico che può essere aggressivo e numerose sono le storie, anche vere, sul rapimento di bimbi da parte di questo animale. Occorre fare molta attenzione.
Lasciamo da parte questa digressione faunistica e torniamo al percorso.
Nei 2.400 km che separano Sidney da Cairns incontriamo alcune città importanti, ma tra queste l’unica che merita una certa attenzione è Brisbane, che oltre a qualche palazzo storico del 1800 mostra il suo lato moderno lungo l’omonimo fiume nei cui argini si sviluppa per chilometri la vita dei suoi abitanti nel tempo libero. Brisbane si trova poco a nord di una città formata recentemente, la città di Gold Coast con il suo celebre sobborgo di Surfers Paradise, di fatto diventata città negli anni ’80 del 1900 con lo sviluppo del turismo: grattacieli, hotel, ristoranti, pub, locali notturni, negozi di memorabilia l’animano anche nei mesi invernali nonostante il tropico sia ancora lontano. Da qui siamo partiti per un tour al largo che ci ha permesso di vedere balene e delfini con la skyline della città sullo sfondo.
Alcune caratteristiche di questo lungo percorso possono risultare interessanti perché specifiche.
- La costa merita attenzione perché presenta numerose e varie conformazioni: ampie spiagge isolate, rocce basse, falesie frastagliate, foci di fiumi che creano spazi confusi, alte scogliere, un rincorrersi di forme ora lineari ora frante, e sempre la presenza di campeggiatori che non perdono l’occasione per dedicarsi a un paio di attività molto amate, la pesca e il barbecue;
- Spesso la strada si snoda per molte decine di chilometri accompagnata dagli eucalipti e in questi casi il viaggio può risultare un po’ noioso, perché se è vero che le foglie di questo albero sono il cibo preferito dai koala, di questi animali non si vede neppure l’ombra;
- Molte cittadine cercano di attirare l’attenzione con l’erezione di speciali monumenti che rappresentano il prodotto o la caratteristica tipica del luogo e lo fanno in modo grandioso: abbiamo così la Big Banana, Big Pineapple, Big Prawn, Big Boot, Big Shell, Big Mango, Big Watermelon, Big Lobster, Big Wave e tante altre inimmaginabili figure;
- Mano a mano che ci si avvicina a Cairns nei centri abitati diventa comune la compagnia di una quantità indescrivibile di pappagallini, e soprattutto di kakatua, che dimorano negli alberi a centinaia e quando si levano in volo sono impressionanti, ma carini;
- Allontanarsi dalla costa vale la pena per una visita del bush con alcuni villaggi rimasti alla struttura originaria e dove si respira un’atmosfera country;
- A metà strada si può fare una deviazione a Bundaberg sede dello stabilimento della più nota marca di rum omonima, con l’inevitabile Big Bottle;
- Maryborough, ridente cittadina tra Brisbane e Bundaberg è la città natale di Pamela Lyndon Travers, autrice della celebre storia di Mary Poppins, ricordata in molti luoghi della città e a cui è dedicata anche una deliziosa statua;
- La parte settentrionale del percorso tra Townsville e Cairns si fa molto più mossa con una vegetazione sempre più fitta dove gli eucalipti lasciano il posto alla intricata foresta tropicale e a questo proposito può essere interessante una escursione in treno a Kuranda con partenza dal sobborgo settentrionale di Cairns, Smithfield. Oggi questo itinerario è accompagnato anche da una cabinovia che sorvola le foreste, ma il treno permette di godersi meglio il paesaggio che comprende anche delle cascate;
- La città di Cairns non offre in sé molte attrazioni, ma è stata modernizzata negli ultimi anni con aree di relax, sebbene essa interessi di più per la parte naturalistica, le spiagge e le isole come pure le foreste. Da Cairns la strada prosegue facile per 50 km fino a Port Douglas, mentre per arrivare a Capo York occorre munirsi di uno spirito avventuroso e di mezzi adeguati: 1.000 km percorsi soprattutto da appassionati motociclisti;
10)Tra le città che hanno mantenuto alcuni edifici di carattere storico vanno ricordate soprattutto Rockhampton e Townsville, ma anche le più piccole ci tengono a mostrare tutto ciò che, anche modesto, ricordi le loro origini.
BUON VIAGGIO.
AYERS ROCK-ULURU
In aereo da Cairns a Ayers Rock via Alice Spring.
Lasciando dietro la foresta pluviale entriamo nel centro desertico dell’Australia, soprattutto roccioso e popolato dai dingo. La parte finale del volo è qualcosa di molto intenso, perché la montagna di Ayers Rock si staglia con i caratteristici colori rossastri in mezzo al deserto. La vista d’insieme e dall’alto di un qualcosa che si impone permette di cogliere quella struttura nel suo insieme e nella sua complessità. Sarà compito successivo, una volta messi i piedi per terra, arrivare alla montagna da altri punti di vista e coglierne molti particolari.
Siamo nel sud dello Stato del Territorio del Nord a 2000 km da Adelaide all’estremo Sud e 2000 km da Darwin all’estremo Nord.
Ayers Rock è uno dei luoghi più visitati di tutta l’Australia e c’è anche un villaggio sorto nelle vicinanze, Yulara, che risponde soprattutto alle esigenze turistiche, anche se non manca una popolazione residente, legata ma non solo all’attività turistica. E’ rimasto anche un insediamento aborigeno molto vicino alla montagna, Mutitjulu, di sole 300 persone che vive in funzione del turismo con visite guidate alla regione e manifestazioni artistiche, fermo restando che per accedervi occorre un permesso speciale: l’area è stata infatti riconsegnata formalmente agli indigeni dal Governo.
Il luogo è sacro per gli indigeni e merita rispetto, ma la magia che ispira non ha niente a che vedere con la religione.
Si tratta di un monolite alto più di 300 metri e una circonferenza di diversi chilometri; tutt’intorno è deserto, piatto, arido con la presenza soltanto di erbe basse per cui non si tratta di bush o boscaglia; i colori del deserto sono rossastri, mentre la montagna ha un’incredibile capacità di assumere diverse tonalità che vanno ben oltre il rosso e di tendere ora verso l’oro ora verso il marrone ora verso il violetto ora verso l’arancione, ma le sfumature sono molto più numerose; il monolite è tale perché non ci sono alture nei dintorni, ma la sua superficie è screziata, con scanalature, pozze, cavità ed è ornata da pitture rupestri; il rumore dominante è quello del silenzio, talvolta interrotto dai flussi ventosi che possono creare sia suoni dolci sia forti risonanze; arrivando qui sia via cielo sia via terra si ha la percezione del nulla: da Alice Springs ci sono ben 500 km di questo nulla.
La magia si fonda su questo senso di arcana lontananza, di ritorno alle origini dell’esistenza per nulla malinconico, ma pieno di vita nel fare i conti con parti importanti della nostra persona; ogni aspetto vissuto qui, anche la presenza di altri esseri umani, ci obbliga a guardarci dentro, mentre la natura cruda, dai colori e dalle mosche ronzanti, ci spinge fuori a ricordarci il nostro vissuto. Nessun disprezzo per condizioni primitive, nessun risentimento per la vita moderna, ma solo confronto con la Storia per come ci ha formati, individualmente e socialmente, e di cui siamo parte non cancellabile.
Se fosse solo deserto la magia risulterebbe equivoca perché senza contrasti; la presenza della montagna la trasforma nella siepe leopardiana e crea quella proiezione tra il finito del monolite e l’infinito del deserto e dunque dell’orizzonte. E’ ciò che succede ancora nella regione a 50 km da Yulara con la presenza di formazioni montuose ancora più curiose, i Monti Olga o Kata Tjuta. Si tratta di una trentina di cupole che occupano un’area più grande di Uluru e per questo risultano speciali, se non proprio più suggestive; il termine indigeno significa per l’appunto “Molte teste”. Come ad Ayers Rock anche qui si sente di trovarsi in un posto particolare, ma, diversamente da Uluru, la percezione (sensazione e conoscenza) si presenta in forme ambigue: per alcuni la maggiore complessità dei Monti Olga crea confusione, allontanando dall’infinito, mentre per altri quelle numerose teste arricchiscono quella proiezione.
Anche questa è l’Australia, se riusciamo a non pretendere di ridurre il molteplice e complesso ad unità: la complessità non è la sommatoria di singoli aspetti, repelle l’approssimazione e ricorda che “il tutto è sempre maggiore della somma delle parti”.
KANGAROO ISLAND
Kangaroo Island si trova a 20 km a sud di Cape Jervis da dove parte la nave per l’isola che impiega 45’. Il porto è situato a 100 km da Adelaide nello Stato dell’Australia del Sud seguendo un tratto di strada molto interessante per la presenza di vigneti che producono tra i più noti vini australiani. La traversata è veloce per il bene di chi soffre il mal di mare perché le acque di questa parte dell’Oceano Indiano a soli 2.500 km dall’Antartide non è delle più calme. L’isola è grande quanto metà della Corsica, è poco urbanizzata ed è un vero e proprio paradiso della natura, in termini sia di flora sia di fauna.
Naturalmente siamo andati che era inverno, ma non c’è grande differenza con l’estate (dicembre-marzo) se non per la possibilità di fare il bagno, magari in compagnia delle foche.
Per quanto riguarda la vegetazione essa è un complesso di foreste mescolate a boscaglia e a parti desertiche e l’obbiettivo della comunità e delle numerose fattorie è quello della conservazione, perché il turismo è diventato negli ultimi 30 anni la fonte principale di reddito. Ci sono delle particolarità vegetali nell’isola come la lavanda e una endemica forma di eucalipto che permette la distillazione di un olio molto pregiato in campo salutare. Anche molti tipi di fiori permettono la produzione abbondante di miele che è andata crescendo grazie all’adattamento e integrazione di una specie particolare di api.
Per quanto riguarda la fauna la presenza di canguri e wallaby è notevole, quella dei koala è minore; in compenso si possono vedere delfini e soprattutto foche e leoni marini dei quali troviamo almeno due colonie con specifico habitat, una a Seal Bay e l’altra ad Admirals Arch. Ci sono anche i pinguini in due spiagge dell’isola, ma la loro osservazione è limitata a determinati orari notturni e alla presenza di una guida. Ci sono poi fattorie che oltre a coltivazioni tradizionali allevano animali tipici per la gioia dei turisti che così possono entrare in contatto con tutte le specie presenti nell’isola compresi enormi boa, come si può vedere nella foto di intestazione.
Oltre a questi aspetti e a un ambiente molto tranquillo, anche perché l’urbanizzazione turistica non è esplosa, c’è da notare la presenza di particolari formazioni rocciose che creano curiosi effetti e di una gran quantità di fari ormai datati nei numerosi promontori dell’isola.
Kangaroo Island non è un’isola tropicale e non ha il fascino delle isole della barriera corallina, ma ha un altro tipo di attrattiva, legata a un ambiente che ha mantenuto le forme e la consistenza di un tempo, naturalmente uscendo da quella che è l’unica città vera e propria, cioè Kingscote, che comunque non supera i 1800 abitanti.
AUSTRALIA DEL SUD E VICTORIA
Si tratta dei due Stati che occupano lo spazio sud-orientale e differiscono profondamente dalla corrispondente parte occidentale che è talmente desertica da essere stata chiamata Nullarbor desert (deserto di nessun albero). Qua invece non mancano i rilievi che si fanno maggiori e più intensi a mano a mano che si procede verso Est.
Ritornati sulla terraferma a Cape Jervis intendiamo percorrere la costa fino alla regione di Melbourne nello Stato di Victoria. L’inizio è propriamente collinare, ma l’aspetto più interessante e affascinante è dato dal Coorong National Park che accompagna la costa per circa 160 km anche se per un primo tratto occorre viaggiare nell’interno per aggirare i laghi Alexandrina e Albert: certamente con una barca o con un fuori strada il percorso risulta facilitato.
Vediamo quali sono le caratteristiche di questo parco.
Si tratta di una lunghissima spiaggia sabbiosa accompagnata da dune e cespugli con una ricca e variegata fauna avicola tanto che esiste una delle più grandi colonie di pellicani di tutta l’Australia; inoltre sono presenti molte anatre, cicogne e cormorani. Al di là delle dune si trovano lagune e paludi che favoriscono la nidificazione e naturalmente, trovandoci in luoghi soggetti alle stagioni, la maggior parte degli uccelli migra, per cui il bird watching è più favorevole nell’estate australe. Altra attività comune a tutti gli stati australiani, e che qui è molto favorita, è la pesca anche se, come è comprensibile, essa è sottoposta a regole per la salvaguardia delle specie (tempi, misure, luoghi). Il Parco offre numerose sistemazioni come campeggi e cabine e richiede un accesso controllato e regolamentato dal National Parks and Wildlife Service of S.A.
Con Kingston e Cape Jaffa il Coorong Park si può considerare concluso; la costa prosegue con un paesaggio simile, ma meno continuo con lagune, spiagge sabbiose, dune e la presenza di alcune piantagioni forestali a cavallo tra i due Stati (Australia del Sud Est e Victoria) in prossimità di un Parco Nazionale forestale, il Cobboboonee, non grande ma che offre molte attività e un’ampia varietà di paesaggi. Nelle vicinanze e in alcune isole al largo c’è la presenza di colonie di foche, in particolare per la facilità di approccio nei pressi di Cape Bridgewater.
Procedendo verso Est la costa comincia a cambiare e ad Allansford inizia la Great Ocean Road che termina a Torquay, praticamente all’ingresso nella Baia di Melbourne, la Baia di Port Phillip. Si tratta di 250 km che affiancano una costa alta, erosa dai venti e dalle maree, che ha dato vita a paesaggi rocciosi molto distintivi: scogli e scogliere, isolotti rocciosi piccoli e alti, con spiagge brevi e in genere situate alla base dell’alta costa.
Nel primo tratto abbiamo la Baia delle isole, con i suoi imponenti faraglioni calcarei che riflettono la luce in modo diverso, offrendo quindi grandi opportunità fotografiche in condizioni nuvolose: il tramonto è il momento ideale per godersi lo spettacolo.
Nel secondo tratto abbiamo i faraglioni più celebrati, i 12 Apostoli, che si ergono maestosi fino a 45 metri e sono l’evidente frutto erosivo che sembra sia iniziato diversi milioni di anni fa: lo scenario è affascinante per l’ampiezza, la varietà, le dimensioni e i colori che assumono diverse tonalità: alba e tramonto sono naturalmente i periodi del giorno da privilegiare. Per chi viene dall’Europa nei mesi di luglio e agosto il sole non è garantito, ma lo spettacolo rimane comunque grandioso e può risultare anche più suggestivo.
Un terzo tratto, nelle vicinanze di Marengo, troviamo uno dei luoghi più fantastici di tutta l’Australia, il Great Otway National Park. Quando siamo stati nell’area ci siamo concentrati lungo una strada percorribile con l’auto in cui abbiamo fatto una scorpacciata visiva di koala, qualcosa che non avevamo mai visto. Qui occorre procedere lentamente alla velocità degli stessi animali, notoriamente poco veloci. Attraversano la strada da soli o con i piccoli, ma la maggior parte si vede sui rami degli eucalipti o ai loro piedi, da soli a brucare le foglie o in intere famiglie. Se all’inizio del viaggio ci siamo dovuti accontentare di qualche koala presso centri di recupero e poi ne abbiamo visti solo alcuni individualmente, ora la soddisfazione è stata grande tanto da farci sentire sazi.
Un centinaio di chilometri e la Great Ocean Road termina lasciando il posto alla regione di Melbourne.
MELBOURNE (e la sua Regione)
A dire il vero non esiste una regione di Melbourne da un punto di vista amministrativo e ciò di cui qui parlo va oltre la Greater Melbourne che riunisce 31 municipalità con 5 milioni di abitanti. Ciò che io chiamo regione di Melbourne ha esclusivamente un valore turistico e se è maggiore della Greater Melbourne è sicuramente più piccola dello Stato di Victoria che comunque è uno Stato ricco, molto ricco di attrazioni turistiche.
Schematizzando esistono due baie intorno alle quali sono cresciute le città, la Baia di Phillip e la minore Western Port Bay che si trova a Est separate dalla lunga Mornington Peninsula. Bisogna prendere in considerazione anche le catene montuose che si trovano a Nord-Est della metropoli che presentano degli scenari mozzafiato, numerose attrazioni e possibilità di percorsi, e dove esistono importanti impianti sciistici.
Parliamo del viaggio che noi abbiamo fatto.
Provenendo dalla Great Ocean Road siamo arrivati alla città di Queenscliff, proprio all’imbocco occidentale della Baia. La città fu un centro turistico di primaria importanza alla fine del XIX secolo e ha saputo mantenere decine di edifici di quel tempo che fanno parte del Patrimonio Storico australiano. Pochi chilometri a Sud si trova Lonsdale che è il vero punto occidentale di accesso alla Baia, ma che ha anche un’importanza storica di non poco conto; infatti il 12 luglio 1906, i rappresentanti della Wireless Telegraph Company di Marconi organizzarono la prima trasmissione wireless oltreoceano dall’Australia, che fu tenuta nella Springs Beach di Point Lonsdale: l’evento è ricordato con un cippo di granito intitolato Marconi Memorial e vale la pena andarci non certo per motivi estetici.
Da Queenscliff si prende una nave che porta dall’altra parte nella penisola di Mornington presso la città di Sorrento (nessuna meraviglia perché poi troveremo San Remo). Sorrento è un centro balneare estivo molto popolare con le sue cabine multicolori ed è il punto di partenza più facile per aggirare la Western Port Bay in direzione di Phillip Island dove ci aspetta un evento straordinario di cui parlerò tra poco. Mentre la parte occidentale della penisola è un susseguirsi di villaggi turistici, la parte orientale è poco urbanizzata e lo sarà sempre meno nel tratto di strada che porta alla Phillip Island collegata alla terraferma da un ponte che parte proprio da San Remo. L’isola è molto selvaggia e si possono ammirare oltre alle scogliere anche molte pecore a pascolare: l’altra isola, The French Island è molto più grande e praticamente disabitata essendo un Parco Marino Nazionale.
E veniamo a Phillip Island dove vive un paradosso evidente, dove passato e presente si fondono e così Cultura e Natura.
L’isola è infatti sede di un importante circuito in cui si sono svolte negli anni Venti del 1900 molte gare automobilistiche di F1, ma che a partire dal 1989 ospita le gare ufficiali di Motomondiale, oltre a gare minori e presenta un percorso spettacolare ai margini delle scogliere.
A meno di 9 km si trova la più grande colonia al mondo di “pinguini piccoli” o “pinguini blu” che ogni sera fanno la loro Parata. Siamo nella punta estrema dell’isola; qui c’è il centro visitatori che permette di accedere alla spiaggia, la Summerland Bay, dove è stata istallata una tribuna in cui ci sediamo in attesa dell’evento senza poterci avvicinare e nemmeno alzarsi: è permesso solo guardare ed è vietato fotografare perché i pinguini sono molto sensibili (così si dice) sia alla luce sia ai rumori come quelli contemporanei di molti scatti. In compenso è permesso di scaricare dal sito foto meravigliose.
Il termine “Parata” è veramente adeguato perché ad una certa ora, verso le 20, i pinguini escono dal mare e in genere lo fanno a gruppi e il loro buffo movimento ondeggiante fa sì che sembri una sfilata. La quantità è enorme e i pinguini risalgono la spiaggia fino a trasferirsi nelle loro abitazioni-tane dove possiamo ancora vederli mentre usciamo.
E’ un’esperienza unica e il costo base non è esagerato, meno di 20 euro.
Dall’isola a Melbourne sono circa 150 km e attraverso i numerosi sobborghi si arriva nella parte meridionale della metropoli. A differenza di Sidney non ha luoghi iconici, ma è una città interessante e piacevole da girare anche se in inverno può risultare molto ventosa.
Melbourne si è trasformata negli ultimi 20 anni passando da grande città di un tempo alla moderna metropoli che le ha meritato il nome di città-giardino. Il fiume Yarra l’attraversa prima di gettarsi nella baia e sulle sue acque si specchiano soprattutto i grattacieli del CBD, il centro finanziario più importante di tutto l’Australia. A Sud del CBD ci sono i Giardini Botanici ampi, ben tenuti, che rappresentano un luogo privilegiato soprattutto nei caldi e umidi mesi estivi, oltre alla flora vi si trova l’imponente Tempio della Rimembranza a ricordo della partecipazione australiana alla Prima Guerra Mondiale. Altri parchi rendono la città piacevole, mentre la costa presenta diverse spiagge e una lunghissima passeggiata dai sobborghi meridionali fino al Porto Passeggeri e alla foce del fiume. E’ qui che si trova St. Kilda, uno dei quartieri storici più interessanti di cui rimangono tracce in numerosi edifici di metà-fine 1800. E’ in questo quartiere che si trovano molte attrazioni turistiche compreso il Luna Park, il St Kilda Pier, il Palais Theatre, l’Hotel Esplanade e c’è anche un Giardino Botanico.
St. Kilda è un quartiere periferico ritornato ad essere il quartiere della borghesia come alle origini dopo che era declinato a quartiere a luci rosse; il centro di Melbourne è più a Nord tra il CBD e St. Kilda. E’ lì che c’è la Stazione ferroviaria principale, Flinders Street, che fu costruita nel 1800; è lì che troviamo il Parlamento, il Palazzo del Comune, la Biblioteca Statale, la Cattedrale, le vecchie prigioni. Il centro pur caratterizzato da edifici storici rimane abbastanza anonimo come quartiere e i luoghi privilegiati riguardano soprattutto degli spazi lungo il fiume dove sono stati costruiti edifici molto moderni per ospitare mostre ed eventi.
Come sempre questa non è una guida turistica, ma un insieme di suggestioni che rispondono all’incontro tra persone definiti e definiti luoghi: ogni visitatore farà le sue scelte e ne distillerà il prodotto.
Per concludere la visita della regione prima di tornare a casa siamo andati a Ballarat, la cui storia ci sembrava interessante, essendo cresciuta sulla corsa all’oro ottocentesca ed essendo considerata la patria del suffragio universale (maschile naturalmente) e della democrazia australiana. La città è piena di statue e di edifici imponenti tipici dell’epoca in cui si impose nel panorama australiana, in stile in parte vittoriano e in parte georgiano. E’ stata un’esperienza positiva e ci ha mostrato l’interesse civico che la popolazione australiana ha per le sue radici e la sua storia.
Un forte vento accompagnò il nostro arrivo all’aeroporto. Eravamo pronti per rientrare nel pieno dell’estate.
CONCLUSIONI (oltre l’Australia)
Nel corso della storia umana sono stati creati e si sono diffusi alcuni termini con i quali si è cercato di entrare più in profondità in ciò che viviamo. Altre parole hanno mantenuto il senso originario e allora si è cercato, con teorie, studi, saggi e quant’altro, di com-prendere meglio.
A me interessano i primi perché anche nel secondo caso si deve far ricorso ai primi per poter scendere in profondità; non sempre è stato così, ma oggi non può essere altrimenti vista la complessità degli elementi coinvolti e la quantità dei soggetti impegnati.
Dovendo parlare di un viaggio nei molteplici aspetti cui un viaggio dà vita e dunque tirare fuori parole che non siano troppo semplici, ma allo stesso tempo neppure vuote o solite, mi trovo a percorrere un sentiero non facile. La letteratura ci ha fornito alcuni strumenti, da un lato la singola parola (solo/pensoso in un celebre sonetto di Petrarca) dall’altro delle immagini che aiutano, o almeno lo si spera, (i più deserti campi, nella stessa poesia).
Alcune parole sono specifiche alla letteratura di viaggio, ad esempio “esotico” e “sublime”, ma altre ne possiamo trovare e non è questa la sede di uno studio approfondito.
“Esotico” si riferisce a ciò che proviene da fuori (exo) e, da quando il mondo è uscito dalla chiusura e dall’isolamento della campagna, la circolazione è diventata caratteristica diffusa, di cui oggi anche il più ferreo nazionalista non può fare a meno: la parola (lasciata perire in nome del più moderno “etnico”) ha perso valenza e forza, dunque significato.
Se l’esotismo risale al 1700 il “sublime” è leggermente posteriore (anche se ha un precedente greco) e sta a indicare qualcosa che si pone al di sopra, in senso astratto, senza riferimento al dato concreto, ma a ciò che la persona decide. Oggi siamo talmente abituati a volere un riconoscimento che il termine, soprattutto nelle varianti “esaltante”, “eccelso”, “elevato”, è diventato comune.
Il nodo sta nel fatto che il senso originario di parole come queste si è perso proprio perché il termine è diventato comune. Il soggettivismo debole pretende di essere oggettivo e canonico, mentre quello forte è autoreferenziale.
Il primo dice “sublime” e per lui questa è una verità di cui non si discute, per cui è come parlare del materiale di una statua, qualcosa di oggettivo.
Il secondo dice “sublime” e non pretende che tutti concordino, perché basta quello che lui dice, in fondo ognuno ha diritto alle proprie opinioni.
In entrambi i casi il discorso è chiuso, non tanto con gli altri ma con se’ stessi.
Nella stesura di queste mie note di viaggio non mi sono impegnato molto perché il senso di tutte queste pagine stava nel ricordare a me, a Beatrice e a Daniela quanto abbiamo vissuto insieme in una parte importante della nostra esistenza. Ho solo cercato di evitare le parole più comuni che troviamo nei diari di viaggio, cercando di restare in ambito etimologico grazie al quale è possibile per lo meno recuperare le nostre radici: ho usato “inter-essante” perché mi inter-essa cioè apre uno spazio tra (inter) un ente e me, “com-plesso” perché ne colgo aspetti intrecciati, “di-verso” perché mi volge altrove, “stra-ordinario” perché è fuori (extra) dall’ordinario, “suggestivo” perché suggerisce, aiuta verso qualcosa che non è presente.
Nel mio caso l’uso di questi termini, per come li ho appena spiegati, ha senso non tanto verso gli altri, ma soprattutto verso me stesso, perché essi aprono porte attraverso cui devo passare, cioè trasformano il termine in discorso che come tale non è mai chiuso, perché è dis-corso, un correre senza un movimento e una direzione precisi. Quel per-corso è mio ed è il frutto di usare parole che non mi accontento che siano l’abito delle cose, dei sentimenti, dei pensieri, delle fedi.
Come si vede si tratta di parole che mescolano il sentire e la riflessione, perché le 100 emozioni di cui gli esperti parlano hanno bisogno di parole e ragionamento per poter essere comunicate. Di tutte quelle parole sicuramente due, mai pronunciate, credo siano passate e si colgano facilmente nel corso delle pagine: entusiasmo e curiosità.
In questo senso l’Australia è un potente detonatore, ma nessun tipo di detonatore permette da solo l’esplosione. Ed è qui che interviene la persona.
Entusiasmo e curiosità sono parte della nostra persona non strumenti meccanici pronti all’uso, vanno accolti, educati, innaffiati, fatti crescere. Come nella poesia Il viaggio di Baudelaire, dove l’albero-desiderio cresce e si rafforza grazie al piacere allungando i suoi rami sempre più vicino al sole:
“…Il piacere aggiunge forza al desiderio. / Desiderio, vecchio albero al quale il piacere serve da nutrimento, / mentre la tua corteccia cresce e si indurisce / i tuoi rami vogliono vedere il sole più da vicino! / Crescerai sempre, grande albero più resistente / del cipresso?…”
E così quelle parole rafforzano il viaggio e il piacere e vengono da lontano, e ci nutrono viaggio dopo viaggio: entusiasmo non è qualcosa di generico e di provvisorio, qualcosa che ti agita senza sapere perché; fedele all’etimologia (en-theos/pieno di un dio/divinamente ispirato) l’entusiasmo richiede di andare oltre i nostri limiti, di aprire le porte che ci permettano di guardare oltre, sempre oltre, ancora oltre. E tutto questo va fatto con attenzione, impegno e cura (curiosità non a caso deriva proprio da cura).
Il viaggio non è svago, non è ricreazione, non è allontanarsi dalla routine, ma impegno costante e continuo con cui procediamo alla costruzione della nostra persona. Crediamo di dipendere da un luogo che mostra le sue forme, naturali o culturali, e non comprendiamo che quel luogo esiste solo grazie a noi e per noi, per i nostri esperimenti, per i nostri processi. Noi ci nutriamo di quelle forme e le metabolizziamo, ma quel cibo non scompare quando torniamo a casa, perché ha permesso alla nostra persona di crescere e rafforzarsi.
In tal senso il viaggio è come l’amore, ma tutto ciò dipende solo da noi.