Sempre più si fa strada a tutti i livelli la parola “complessità”, ma per molti rimane una terra incognita, tanto che alcuni la scambiano per “complicazione” mentre per altri è sinonimo di “confusione”, un modo cioè per non voler vedere la realtà nei suoi nitidi contorni. Lo si è visto nell’aggressione russa all’Ucraina, quando i filorussi dicevano che la situazione era complessa per giustificare la guerra di Putin: il problema è che i difensori dell’Ucraina aggredita non sapevano andare oltre lo schematismo del giusto e dello sbagliato. Ciò avveniva perché, come ormai purtroppo da decenni, non si riesce ad andare oltre la contrapposizione culturale tra il ricorso a leggi e valori assoluti e, se si riconosce che questi hanno fatto il loro tempo, allora l’unica prospettiva è l’imprevedibilità, che porta automaticamente al relativismo culturale. Nel primo caso data una causa ne deriva necessariamente un dato effetto, nel secondo caso invece ogni fenomeno ha valore di per sé: ricordate il motto grillino “Uno vale uno?”.
In questo blog cercherò di mostrare come esista una via diversa dal determinismo e dall’imprevedibilità e questa via è quanto la Scienza della complessità sta sviluppando da almeno 30 anni. Questa via è la via della complessità, una via che è sempre più percorsa da scienziati e studiosi di ogni disciplina e che dunque non è una delle tante fantasie che popolano la mente umana, ma una visione culturale che parte dallo studio sempre più approfondito dell’uomo e del mondo che lo circonda.
Purtroppo anche gli esperti sanno poco della complessità, che ha un suo statuto epistemologico importante e che rappresenta gli orizzonti scientifici attuali. Da Prigogine a Morin, dal Santa Fe Institute al NECSI, da Laughlin a Barabasi a Mandelbrot ecc. (tutti nomi di cui parlerò in dettaglio).
La maggiore complessità di individui e società di oggi non significa che siano scomparsi aspetti semplici: ci sono momenti in cui devo scegliere, o questo o quello (vedi anche Borges in Saggi danteschi) e la guerra è uno di quelli. La complessità non nega il dato, l’informazione, anzi non esiste complessità senza contenuti e informazioni. La complessità è fatta di reti, di hub, di link, di vision, di strategia, di priorità e richiede un approccio mentale nuovo ed è ciò che manca a persone e istituzioni (in primis la scuola).
Questo blog vuole introdurre elementi di comprensione di una realtà con cui dobbiamo sempre più fare i conti; siamo immersi in un mondo complesso ma lo affrontiamo con strumenti inadeguati perché andavano bene un tempo o con fantasie prive di fondamenti culturali. Complessità non è una semplice parola, ma un universo culturale di cui dobbiamo conoscere e riconoscere le caratteristiche.
Nell’immagine il titolo è “Dubbi, curiosità, fantasmi, certezze e incertezze”. E’ il giusto punto di partenza perché ormai da un secolo si sono perdute le certezze che avevano visto, grazie alla Scienza e alla Tecnica, l’esplosione della modernità. Nonostante le condizioni di vita siano migliorate in tutto il mondo e a tutti i livelli, l’incertezza si è impadronita sia del sapere ufficiale sia dell’approccio esistenziale dell’uomo comune. Il crollo dei valori assoluti, esemplificato dall’espressione di Nietzsche per cui “Dio è morto”, si è accompagnato alla crisi delle leggi assolute che erano state l’anima della Scienza Moderna improntata sempre più a una visione deterministica. Non è casuale che uno dei libri più noti del Premio Nobel Ilya Prigogine si intitoli “La fine delle certezze”: esso entra nelle dinamiche della Natura mostrando come non esistano più le certezze che avevano permesso alla Scienza di svilupparsi in modo enorme. Il discorso dello scienziato è chiaro: la fine delle certezze non significa aleatorietà, vuol dire solo che davanti a noi non abbiamo un punto fermo da raggiungere, ma un orizzonte, uno spazio aperto di possibilità.
Per molti purtroppo la fine delle certezze si è trasformata in un relativismo culturale assoluto che tutto giustifica; allo stesso tempo si è diffusa la moda del “carpe diem” (vivi alla giornata o goditi il momento): così invece di imparare a convivere con l’incertezza si è passati di moda in moda. Insomma, tirare a campare. La confusione maggiore si è vista nel terreno dell’amore, come ho messo in evidenza nel mio saggio “Lascia che il tarlo scavi, lascia la piaga gemere: amore e complessità”.
L’incertezza è sempre esistita, e ci capitava regolarmente, ma noi la inquadravamo nell’eccezione che conferma la regola. Oggi ci troviamo di fronte a una realtà che ci mostra ovunque la sua complessità, ma gli strumenti che abbiamo sono gli stessi di un’epoca diversa: lo scontro tra questi due aspetti porta alla enorme confusione con cui si presenta il vivere attuale.
L’immagine riporta due elementi chiave di questo nuovo mondo.
I versi di Montale portano alla luce un aspetto che troverà sempre più conferme a tutti i livelli: non esistono certezze, non esistono più valori assoluti, non c’è un percorso sicuro e preferenziale. La formula, simbolo della scienza deterministica, è fuori dalla portata degli uomini; non esistono comandamenti da seguire, ma possiamo solo escludere le parti negative, lasciando aperte le prospettive non di punti fermi ma di orizzonti, più o meno ampi. Questo tema è tipico della poesia montaliana e ne troviamo ovunque in diverse forme.
L’altra frase è invece l’enunciazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, frutto della ricerca quantistica, per il quale “Non si può determinare la misura simultanea della posizione e del momento (quindi della velocità) di una particella”.
Questo principio, come molti altri legati alla fisica quantistica (entanglement, ruolo dell’osservatore), mette in crisi la fisica classica e non si riferisce solo a un semplice fenomeno, ma ribalta i principi fondamentali su cui era cresciuta la Scienza dal 1600 in poi. Anche Einstein, pur vicino alla rivoluzione quantistica, non riconobbe il valore epistemologico del principio e finché visse sostenne insieme a Podolsky e Rosen (EPR) l’esistenza di variabili nascoste ancora non note che avrebbero fatto salva la fisica classica. La ricerca scientifica negli anni Cinquanta e Sessanta mostrò attraverso vari esperimenti che EPR si sbagliavano.
Come si vede intercorrono solo quattro anni tra i versi di Montale e il Principio di Heisenberg. Con questo non intendo dire che le nuove acquisizioni siano merito della poesia, ma solo che gli studi di diverse discipline (fino ad allora viste in contrapposizione) procedono nella stessa direzione e occupano territori fino ad allora inesplorati.
I teoremi di incompletezza e indecidibilità di Gödel andranno oltre per il loro carattere di generalizzazione: siamo nel 1930.
Di questo legame tra la produzione letteraria moderna e gli sviluppi in campo della scienza ho parlato in maniera più dettagliata nel mio saggio “Corso di letteratura non deterministica”.
Tornando al tema generale voglio qui mettere in evidenza come le due frasi riportate non sono semplici punti di vista, mattoni isolati di un edificio fantasma. La loro portata poteva apparire tale negli anni Venti del secolo scorso, ma, per quanto è stato prodotto nei decenni successivi, possiamo dire che il nuovo edificio ha ormai basi solide, ha preso forma, risponde bene alle numerose sollecitazioni e diventa un punto di riferimento importante per tutti coloro che si accingono a intraprendere ogni tipo di studio. Ogni disciplina ha proseguito secondo caratteristiche proprie, ma procedendo a sempre maggiori contaminazioni, tanto che oggi possiamo parlare di un nuovo approccio epistemologico, completamente diverso da quello che ha dominato per quattro secoli con i risultati straordinari che conosciamo. Ogni settore della vita umana, con maggiore o minore consapevolezza, non può esimersi dall’affrontare i propri interessi secondo paradigmi che si rifanno alla complessità. A molti manca certamente il quadro generale, ma nella vita di tutti i giorni (comune e accademica) i paradigmi tradizionali, fatti di leggi, valori universali e di una visione deterministica, risultano inadeguati. Lo vediamo non solo nella fisica, nella chimica, nella medicina, nella meteorologia, ma persino nell’industria, nell’amore e addirittura in campo religioso. Talvolta i tentativi con cui si cerca di affrontare le situazioni della vita (comuni e accademiche) cercano di mantenere in piedi la ricerca di “un centro di gravità permanente”, ma nell’evolversi dello studio vengono portati alla luce elementi molto specifici e provvisori, tutt’altro che permanenti e tanto meno assoluti. E’ facile trovare ancora, persino nelle proposte filosofiche più recenti, l’affermazione di un “vero IO”, un “vero Amore”, un “vero comunismo”, un “vero tutto”, l’affermazione dunque di una verità che secondo tradizione si impone su tutte le altre affermazioni e le esclude. Si oscilla così tra la convinzione che sia possibile raggiungere un luogo fondamentale di osservazione della conoscenza (il punto archimedico) e le infinite certezze che accompagnano il cammino e di cui non si può fare a meno: talvolta queste certezze diventano quel centro talvolta contribuiscono a comporre un quadro sempre più confuso in cui trovano legittimità solo per il fatto di esistere.
Nello sviluppo di una Scienza della complessità molto si deve alla fisica, ma importante se non decisivo è stato il ruolo delle neuroscienze che hanno permesso di esplorare in modo unitario quello che era il dualismo alla base della scienza moderna, la separazione tra soggetto e oggetto, tra IO e mondo, tra “res cogitans” e “res extensa”, per usare la terminologia cartesiana.
La critica a Cartesio è diffusa in tutti gli ambiti del pensiero complesso e, a titolo semplicemente esemplificativo, si può citare un neuroscienziato americano di origini portoghesi, Antonio R. Damasio, ricercatore e professore universitario, che ha intitolato un suo libro proprio “Descartes’ Error. Emotion, Reason and the Human Brain”.
Con il termine complessità si intendono oggi molte cose: si parla di teoria della complessità, di pensiero complesso, di sistemi complessi. Anche i contesti di riferimento risultano i più svariati: per alcuni si tratta di qualcosa di esclusivamente matematico-fisico, per altri essa attiene alle scienze sociali e per altri ancora è qualcosa che si colloca al di fuori, oltre, trattandosi di una dimensione metascientifica.
In realtà la complessità è un filtro che ci aiuta a comprendere moltissimi aspetti della realtà e in tal senso coinvolge la fisica, le scienze dure, le scienze umane, la storia, la letteratura, la medicina, il quotidiano vivere di noi gente comune. Vedremo tutto questo nel corso dei miei interventi, con i quali cercherò di chiarire sia i nodi teorici che informano il pensiero complesso sia gli elementi più specifici che possono aiutarci a capire come la complessità ci riguardi direttamente nelle scelte di ogni giorno. Parlerò di quel passato che ha contribuito alla nostra formazione soprattutto grazie alla scuola; parlerò anche di elementi nuovi come le reti, i frattali e tanti altri aspetti che, pur entrati ormai nel linguaggio comune, sono privati del loro status epistemologico, risultando sviliti e privati della loro fecondità. Citerò fisici, filosofi, poeti, storici, scienziati cercando di fare in modo che nella descrizione di ogni elemento specifico si riesca sempre a vedere l’insieme.
Non si tratta solo di informazione o di riflessione che in qualche modo rimarrebbero circoscritti, ma di orizzonti, cioè di prospettive, che per essenza rimangono sempre e comunque qualcosa di aperto.
Per concludere questo primo approccio devo chiarire che spesso userò il termine “problema”, ma lo farò in un modo che è radicalmente nuovo rispetto all’uso comune, così come la scienza della complessità mi ha abituato a fare.
In una visione basata sulla ricerca di leggi e valori assoluti problema è qualcosa che ha una soluzione, chiara netta e precisa: come siamo stati abituati a fare fin dalle elementari con i problemi di aritmetica e geometria (la vasca, il treno, il campo ecc.).
Nella prospettiva aperta della complessità viene recuperato il significato etimologico della parola che deriva dal greco pro-ballein che significa gettare avanti cioè affrontare l’oggetto che vogliamo studiare e raggiungere chiarimenti successivi che comportano non una soluzione, ma che rappresentano sia un punto di arrivo sia un punto di partenza. A maggior ragione non userò il termine come spesso si fa oggi nel senso di difficoltà, ad esempio dire che l’amore è un problema non vuol dire evidenziare la crisi delle relazioni, ma solo affrontare le dinamiche che lo caratterizzano.
Concludo questo primo capitolo con un passo di Edgar Morin tratto dal libro La sfida della complessità (Feltrinelli 1985) a pagina 59.
“Il problema della complessità non consiste nella formulazione di programmi che le menti possano inserire nel proprio computer. La complessità richiede invece la strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio…La strategia è l’arte di utilizzare le informazioni che si producono nell’azione, di integrarle, di formulare in maniera subitanea determinati schemi d’azione, e di porsi in grado di raccogliere il massimo di certezza per affrontare ciò che è incerto…La complessità non ha una metodologia, ma può avere il proprio metodo…Così il metodo della complessità ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici. E’ la tensione verso il sapere totale, e nello stesso tempo la coscienza antagonista del fatto che, come ha detto Adorno, la totalità è la non verità.”
Nei prossimi post comincerò con tre aspetti abbastanza comuni che non risolvono il tema della complessità, ma aiutano ad entrarci dentro: 1) il rapporto tra le parti e il tutto; 2) la geometria euclidea come approssimazione; 3) l’effetto farfalla.
Successivamente parlerò della crisi della logica classica per poi seguire cronologicamente i momenti salienti che rappresentano dei salti e un nuovo status epistemologico della complessità. A questo punto sarà necessaria una riflessione sul concetto di scienza, culturalmente e storicamente, per poi concludere con un approfondimento su come tutti gli elementi portati alla luce nei capitoli precedenti permettano di affermare che ci troviamo in un mondo completamente nuovo che ha bisogno di nuovi strumenti.
Buona lettura. Ben accetto qualsiasi tipo di osservazione.