CONOSCERE LA CONOSCENZA: LA SCIENZA E LE SUE MOLTE FACCE. IL FUTURO (parte seconda)

  

Abbiamo visto come la scienza classica sia una scienza che si pretende onnisciente, in grado cioè di trovare le leggi fondamentali che reggono il funzionamento della natura. Nell’ultimo post mi sono soffermato sul lavoro multidisciplinare che coinvolge giovani studiosi e premi Nobel a Santa Fe nel Nuovo Messico e sull’elaborazione del pensiero complesso da parte di uno studioso che è stato tra i primi a individuare nuovi orizzonti. In questo capitolo proseguirò proponendo le riflessioni teoriche che maggiormente hanno permesso di cogliere dei nodi importanti nell’elaborazione di un processo epistemologico complesso, citando Gadamer e Ceruti, e l’attività non solo teorica che si svolge nel Nord-Est degli Stati Uniti grazie al NECSI.

Vorrei cominciare riprendendo uno dei passi conclusivi del saggio di Morin citato nel precedente capitolo, dove si introduce un concetto decisivo nell’approccio al mondo della complessità, quello di “strategia”. Come sempre questa parola da qualche decennio è diventata di moda e la sentiamo pronunciare tra i concorrenti delle gare televisive, dove viene usato per indicare un comportamento che si fa per furbizia e trarre dei vantaggi, quasi un sotterfugio. Parole nuove diventano di moda senza capirne minimamente il senso.

Vediamolo e vediamo perché è importante oggigiorno:

“Il problema della complessità non consiste nella formulazione di programmi che le menti possano inserire nel proprio computer. La complessità richiede invece la strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio…La strategia è l’arte di utilizzare le informazioni che si producono nell’azione, di integrarle, di formulare in maniera subitanea determinati schemi d’azione, e di porsi in grado di raccogliere il massimo di certezza per affrontare ciò che è incerto…La complessità non ha una metodologia, ma può avere il proprio metodo…Così il metodo della complessità ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici. E’ la tensione verso il sapere totale, e nello stesso tempo la coscienza antagonista del fatto che, come ha detto Adorno, la totalità è la non verità” (E. Morin, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, pag. 59).

 

STRATEGIA, ORIZZONTE, VINCOLI E POSSIBILITÀ

 

Edgar Morin

Il saggio di Morin che abbiamo preso in considerazione è del 1985 e lo ritroviamo come capitolo (il primo della seconda parte) di un testo più ampio che Morin ha pubblicato nel 1990, ampliando un lavoro precedente del 1982: il saggio in questione è Science avec conscience.

Da questo testo riprendiamo la parte che riguarda il concetto di strategia, cui si fa cenno nel precedente paragrafo.

“Dobbiamo imparare a pensare insieme ordine e disordine. In genere dobbiamo saper lavorare con il caso; è ciò che chiamiamo strategia. Abbiamo imparato, statisticamente, in forma diversa, a lavorare con l’aleatorietà. Dobbiamo andare più lontano. La scienza in gestazione si applica al dialogo sempre più ricco con l’aleatorietà, ma, perché questo dialogo sia sempre più profondo, dobbiamo sapere che l’ordine è relativo e in relazione e che il disordine è incerto. Che l’uno e l’altro possono essere due facce dello stesso fenomeno; una esplosione di stelle è fisicamente determinata e ubbidisce alle leggi dell’ordine fisico-chimico, ma allo stesso tempo costituisce accidente, deflagrazione, disintegrazione, agitazione e dispersione, quindi disordine” (E. Morin,  Science avec conscience, ed. portoghese, p 203. Traduzione mia).

Il concetto di strategia qui introdotto si presenta come componente decisiva nella gestione del rapporto ordine-disordine inteso come costitutivo della materia e della vita degli uomini. Questo concetto è ripreso e sviluppato poco dopo nel capitolo intitolato ‘Per un pensiero complesso’:

La strategia si sviluppa con il perfezionamento dell’apparato neurocerebrale nelle specie animali, principalmente nella linea evolutiva dei vertebrati. La strategia si definisce in opposizione al programma. Un programma è una sequenza di azioni predeterminate che si può realizzare solo in un ambiente con poche eventualità o poco disordine. La strategia si fonda in un esame delle condizioni, a un solo tempo, determinate, aleatorie e incerte, nelle quali l’azione entra in scena mirando a una finalità specifica. Il programma non si può modificare, si può solo fermarlo in caso di imprevisto o pericolo. La strategia può modificare il percorso delle azioni previste, in funzione delle nuove informazioni che arrivano attraverso il cammino che essa può inventare. La strategia può persino usare l’eventualità a proprio vantaggio, come Napoleone usò la nebbia di Austerlitz; essa può usare l’energia nemica come fa il lottatore di karaté che, senza sforzo, rovescia l’avversario. Gli animali montano strategie di attacco e di fuga, di finta e di schivate, di astuzia e di esca contro le sue prede e i suoi predatori. Noi esseri umani, sia nel piano individuale per ottenere un posto, un vantaggio o un piacere, sia nel piano delle imprese, dei partiti, dei sindacati e degli Stati, usiamo strategie più o meno raffinate; cioè immaginiamo le nostre azioni in funzione delle certezze (ordine), delle incertezze (disordine, eventualità) e delle nostre attitudini a organizzare il pensiero (strategie cognitive, piano d’azione) e agiamo, modificando eventualmente le nostre decisioni o percorsi, in funzione delle informazioni che sorgono durante il processo. L’azione, pensiamoci bene, è possibile solo se c’è ordine, disordine e organizzazione. Troppo ordine asfissia la possibilità d’azione. Troppo disordine trasforma l’azione in tempesta e passa a essere una scommessa col caso (E. Morin, op. cit. pag. 220-221)

Il concetto di strategia è un nodo cruciale nell’elaborazione del pensiero complesso e nella realizzazione della sfida della complessità. Senza paradigma, senza programma (πρό γράμμα: scritto prima), senza l’univocità tipica della dimensione lineare, senza più il rapporto causa-effetto, la complessità è concepibile solo all’interno di una visione globale, all’interno di un quadro di riferimento. Le vie ricordate nel capitolo 8 hanno senso solo se riescono a proporsi, cioè a pensarsi, non come tecnica, ma come strategia, cioè come visione d’insieme, capace di tenerle insieme, di connetterle e articolarle, di comprenderle, cioè cum-prehendere, prendere insieme.

 

Hans-Georg Gadamer

Prendere insieme una visione è tipico dell’orizzonte. Eccoci, dunque, al concetto di orizzonte così come lo sviluppa H. G. Gadamer in Verità e metodo, concetto che, pur da un altro punto di vista, fornisce una prospettiva ancora più profonda a quanto sinora messo in evidenza.

Il filosofo tedesco parte dal concetto di situazione:

La coscienza della determinazione storica è anzitutto coscienza della situazione ermeneutica. La presa di coscienza di una situazione, però, è sempre un compito carico di una peculiare difficoltà. Il concetto di situazione implica infatti, come sua caratteristica essenziale, che essa non è qualcosa a cui ci si trovi di fronte e di cui si possa avere una conoscenza obbiettiva. La situazione è qualcosa dentro cui stiamo, nella quale ci troviamo già sempre ad essere, e la chiarificazione di essa è un compito che non si conclude mai. Ciò vale anche per la situazione ermeneutica, cioè per la situazione in cui ci troviamo nei confronti del dato storico trasmesso, e che abbiamo da comprendere. Anche la chiarificazione di questa situazione, cioè la riflessione sulla storia degli effetti (il titolo del paragrafo è Il principio della Wirkungsgeschichte,ndr), non è qualcosa che si possa concludere; tale inconcludibilità non è però un difetto della riflessione, ma è legata alla stessa essenza dell’essere storico che noi siamo( Gadamer Hans Georg (1983), Verità e metodo, RCS, Milano: p. 352).

Il concetto di situazione, il situarsi cioè, il trovarsi in un sito, risulta strettamente connesso con quello di orizzonte (Ορίζειν in greco vale proprio porre, segnare un limite), dunque il porre confini; e questa relazione si presenta di particolare significato:

Ogni presente finito ha dei confini. Il concetto di situazione si può definire proprio in base al fatto che la situazione rappresenta un punto di vista che limita le possibilità di visione. Al concetto di situazione è legato quindi essenzialmente quello di orizzonte. Orizzonte è quel cerchio che abbraccia e comprende tutto ciò che è visibile da un certo punto. Applicando il concetto al pensiero, noi siamo usi parlare di limitatezza di orizzonte, possibile allargamento di orizzonte, apertura di nuovi orizzonti, ecc. Il linguaggio filosofico, a partire da Nietzsche e Husserl, ha adoperato in particolare questo termine per indicare il fatto che il pensiero è legato alla sua determinatezza finita e per sottolineare la gradualità di ogni allargamento della prospettiva. Chi non ha un orizzonte è un uomo che non vede abbastanza lontano e perciò sopravvaluta ciò che gli sta più vicino. Avere un orizzonte significa, invece, non essere limitato a ciò che è più vicino, ma saper vedere al di là di questo. Chi ha un orizzonte sa valutare correttamente all’interno di esso il significato di ogni cosa secondo la prossimità o lontananza, secondo le dimensioni grandi o piccole (H. G. Gadamer, Verità e metodo, cit. pp 352-353).

150 anni prima la poesia aveva anticipato questo concetto grazie a Leopardi. Non dispiaccia ricordare quanto espresso nell’Infinito, dove il poeta scrive: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Ciò che è vicino, il colle e la siepe, limitano l’orizzonte, ma sono necessari proprio per aprirsi verso quell’orizzonte: dentro il finito (in-finito) per negarlo e andare oltre (in-non-finito).

Io credo che il pensiero di Gadamer aiuti a collocare in una prospettiva più adeguata quanto evidenziato da Morin in precedenza: non si tratta solo della storicità degli eventi e dei soggetti, storicità che nutre il nostro presente e lo conforma, ma anche della prospettiva verso la quale tale storicità guarda, una prospettiva che non può che essere inconcludibile. L’opera di Gadamer è del 1960, ma riesce a fornire la qualità del pensiero di riferimento capace di orientare la riflessione posteriore. Certo l’orizzonte di Gadamer non è la strategia di Morin, ma i due concetti aiutano a comprendere la direzione verso la quale guarda la complessità e per la loro prossimità arricchiscono la capacità di lettura dei fenomeni sempre più assimilati dalla loro storicità.

 

Mauro Ceruti

Nella stessa direzione va la riflessione di Mauro Ceruti soprattutto ne Il vincolo e la possibilità, un’opera del 1996, che proprio per questo risente in maniera decisiva degli sviluppi della scienza della complessità e del pensiero complesso.

Il lavoro di Ceruti appare di notevole importanza perché riprende i vari elementi messi in luce da scienziati, filosofi e storici e fornisce una sistematizzazione ampia delle problematiche già affrontate da Morin, sviluppando in modo particolare l’aspetto legato al rapporto continuità e rottura, tradotto nel linguaggio del filosofo in vincolo e possibilità.

Il libro sviluppa concetti che abbiamo già incontrato: li riprenderemo velocemente soffermandoci soprattutto su quegli aspetti che aprono nuove prospettive.

Ceruti mette in evidenza come sia superata la concezione del metodo come ricerca del punto archimedico a partire dal quale definire e costruire l’edificio del sapere. In questo senso si è mossa e si muove la scienza del XX secolo, che ha progressivamente sgretolato l’impianto della conoscenza, non più un tutto visto e compreso dall’esterno, non più sintesi, omogeneizzazioni, uniformazioni, ma pluralità dei punti di vista, dei linguaggi, dei modelli, dei temi, delle immagini che concorrono alla produzione delle conoscenze. Di fronte a una scienza onnisciente si usa nel contesto scientifico di oggi l’immagine della rete di modelli che “mostra come gli approcci scientifici di tipo locale non cooperano armonicamente ad un’immagine unitaria del sapere e dell’universo, ma al contrario si intersecano, si accavallano, si ignorano, si contrappongono, si integrano, si fondono, si scindono (M. Ceruti, Il vincolo e la possibilità, p.12)”.

E’ così che emerge la reintegrazione dell’osservatore e il suo ruolo non può più essere esterno: l’osservatore sa di portare sempre con sé il peccato originale della sua limitatezza. La storia della scienza si presenta dunque come storia evolutiva in cui sono presenti sia la continuità sia la rottura: “Non possiamo percepire un cambiamento senza uno sfondo, senza un’invariante che ci faccia percepire il cambiamento” (op. cit. pag. 15).

La necessità di un metalivello inviolato rimane, ma non è più nel concetto di legge tradizionale, garante di uniformità, invarianza e assolutezza. Per avere cambiamento deve esserci uno sfondo, una invariante (un metalivello) che ci faccia percepire il cambiamento. Oggi il metalivello si presenta come non assoluto e il fatto che esso sia inviolato hic et nunc non garantisce che lo sia per sempre.

Bisogna comprendere quello sfondo come costruito e non come dato. Il metalivello inviolato “dipende dall’universo di discorso adottato…dalla nostra collocazione nello spazio e nel tempo, dalle nostre scelte e dai nostri progetti (op. cit. pag. 16)”: si passa così da una scienza della necessità a una scienza del gioco.

Natura e storia giocano giochi che non posseggono una strategia vincente elaborata all’inizio:

“il decorso del gioco avviene sempre nell’interazione e tramite l`interazione fra le regole poste come vincoli e come costitutive del gioco, il caso e la contingenza di particolari eventi e particolari scelte, e le strategie dei giocatori volte ad utilizzare le regole ed il caso per costruire nuovi scenari e nuove possibilitá” (op. cit. pag. 17)

La legge, quale espressione di vincoli, definisce i limiti del possibile, ma non limita semplicemente i possibili. Il vincolo é anche opportunità. La possibilità si costruisce sul vincolo, ma non necessariamente è da esso deducibile. Esiste dunque una storia del possibile. In conclusione, non si prospetta un punto di vista panoptico, che rinvenga il senso della storia tramite la scoperta di grandi leggi, grandi strutture, grandi regolarità, ma la storia è caratterizzata da una molteplicità irriducibile di tempi, di ritmi, di decorsi evolutivi che si contemplano, si contrappongono, si implicano.

Questo è in sintesi il discorso che viene sviluppato nel libro preso in considerazione: esso ci riporta a concetti che abbiamo incontrato e altri ne sviluppa, sempre in un ambito che possiamo definire epistemologico, nella duplice valenza del termine con riferimento sia alla scienza sia alla conoscenza.

Vorrei ora dilungarmi su due punti su cui Ceruti sente la necessità di soffermarsi.

 

1) L’ultimo paragrafo del capitolo Ambivalenza del moderno sviluppa una riflessione sui tempi della natura, i tempi della storia e i tempi della conoscenza.

Dopo aver ribadito che la scienza contemporanea ha posto in primo piano il carattere radicalmente storico ed evolutivo di ogni dimensione del nostro universo e del nostro sapere, Ceruti mette in evidenza come sia mutato il rapporto evoluzione-continuità:

“Le indagini scientifiche del nostro secolo…hanno innanzitutto posto in primo piano gli aspetti di discontinuità, gli effetti soglia dei processi evolutivi e genetici. Ma con ciò hanno mostrato che questi aspetti non si contrappongono semplicemente agli aspetti di continuità, ma sono complementari ad essi(op. cit. pag. 52).

In discussione, e in modo più radicale, sono messe anche la linearità e l’univocità della direzione dei processi evolutivi, e ciò ha a che fare con tutte le discipline: “Questi mutamenti riflettono un mutamento più generale nella concezione e nella rappresentazione del tempo della storia, del tempo della natura, del tempo della conoscenza” (op.cit. pag.53).

Questo mutamento coinvolge oltre alle scienze naturali e altre scienze sociali anche la stessa scienza storica: Il paragrafo in questione, dopo aver evidenziato come ogni momento storico si caratterizzi non solo e non esclusivamente per l’omogeneità, ma anche e forse meglio per l’eterogeneità di molteplici presupposti, si conclude con alcune riflessioni di carattere generale:

“L’immagine della storia come laboratorio epistemologico piuttosto che come memoria della scienza suggerita da Jean Piaget e Rolando Garcia mi sembra ben caratterizzare lo slittamento in corso…da un’analisi in cui grandi paradigmi appaiono come vicendevolmente esclusivi, ad un’analisi il cui oggetto sono le diverse forme di interazione dei paradigmi (o dei programmi di ricerca, delle tradizioni scientifiche, ecc.)….Il mutamento del tempo della conoscenza che caratterizza il nostro sapere porta da un’idea di tempo lineare e cumulativa, ad un’idea di tempo ( o meglio di tempi) stratificata, in cui i vari cicli, ritmi e direzioni interagiscono e si combinano secondo modalità storicamente variabili…Le direzioni di sviluppo del sapere si producono nel momento stesso di produzione delle conoscenze, sono il risultato di un’interazione irriducibile e costruttiva fra le nostre scelte e le molteplici dimensioni del reale, del tempo, della conoscenza. Sempre di più scopriamo la complessità dei giochi cognitivi a cui partecipiamo. Ma sempre di più scopriamo anche di essere soggetti attivi, e irriducibili, in questi giochi” (op. cit. pag. 56-57)

 

2) Il secondo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda il rapporto tra vincolo e possibilità così come viene sviluppato nella parte finale del libro.

Il punto di partenza è la riflessione sul fatto che le scienze dell’evoluzione, pur nate nell’Ottocento, hanno spesso ignorato l’oggetto caratteristico della loro indagine, il cambiamento in quanto fenomeno costruttivo e creativo, in quanto momento produttore di novità reale. Esse hanno privilegiato l’invarianza, cui non potevano non essere legate, perché

“solidali ad una tradizione epistemologica…che si è definita nei termini dell’ideale regolativo di un luogo fondamentale e neutro di osservazione e di spiegazione dei fenomeni…Su questa base…la scienza classica ha potuto operare una serie di scissioni –ad esempio fra generale e particolare, fra natura e storia, fra atemporalità e temporalità, reversibilità e irreversibilità, fra ripetibile e irripetibile” (op. cit. pag. 125).

Per Ceruti appare importante non solo prendere atto della crisi del punto di vista archimedico che è alla base della scienza classica, ma sviluppare le potenzialità che quella crisi è capace di liberare.

Come già aveva messo in evidenza Prigogine le leggi perdono il loro carattere di assolutezza, ma non lasciano all’arbitrio del caso: esse esprimono gli insiemi di possibilità, in continua decomposizione e ricomposizione. Gli errori, i limiti, le difficoltà diventano strumento di conoscenza e partecipano tout court ai processi evolutivi.

“Lo studio delle potenzialità evolutive di un sistema non si identifica con la ricerca di una capacità di previsione puntuale ed esaustiva del suo futuro, e i limiti incontrati dalle nostre capacità di previsione diventano, in positivo, nuove conoscenze sulla storia della natura e sulla natura della storia…Le leggi esprimono gli insiemi delle possibilità entro i quali, di volta in volta, hanno luogo i processi evolutivi. Il decorso evolutivo non è mai dato in anticipo… (Le leggi) sono le regole di un gioco, stabiliscono …una gamma di possibilità, in cui si ritagliano gli effettivi decorsi spazio-temporali dovuti in parte al caso in parte all’abilità o alle deficienze dei giocatori…Ogni processo evolutivo ha a che fare con questioni di scelta. All’interno di un medesimo quadro di partenza, di una medesima situazione storica, dei medesimi vincoli e condizioni preesistenti, esistono diverse strategie possibili…La prevalenza di una strategia rispetto ad un’altra dipende in parte dai vincoli preesistenti, in parte dal caso, dalla storia in senso proprio intesa anche come decorso di eventi singolari, contingenti, irripetibili…Se una direzione prevale, esistono certo nel passato buone ragioni per il suo successo, ma queste condizioni non sono mai tali da sfiorare la necessità. La necessità si costruisce sempre, è sempre a posteriori” (op. cit. pag. 130-132).

L’uso della parola gioco può trarre in imbarazzo, ma intorno ad essa si è ormai da molto sviluppato un ampio dibattito che ha prodotto una larga letteratura e che va al di là della teoria dei giochi e del dilemma del prigioniero; come ricorda lo stesso Ceruti in una nota a pagina 131 Eigen e Winkler-Oswatitsch hanno mostrato come le idee di strategia, gioco, giocatore sono ben più di una metafora e si collocano nel cuore stesso della nostra comprensione della natura.

“Esiste una storia naturale delle possibilità, in cui nuovi domini di possibilità si producono in dipendenza delle grandi svolte dei vari processi evolutivi, date di volta in volta da effetti soglia, punti di biforcazione, amplificazione di fluttuazioni. E all’interno di questa storia naturale si producono processi di fissazione delle possibilità, che diventano vincoli in grado di eliminare talune alternative possibili e di produrne delle nuove”.

Appare dunque chiaro che vincoli e possibilità, lungi dal riproporsi in termini antitetici, aprono interessanti prospettive di riflessione ponendosi come adeguati strumenti di lettura. All’interno di una rete di fenomeni si aprono delle possibilità: esse sono date e determinate dal tipo di rete cui sono vincolate e di cui sono espressione, ed è per questo che il numero delle possibilità non è infinito. A mano a mano che si percorre la rete in una direzione invece che in un’altra, alcune possibilità tendono ad emergere e modificano il quadro d’insieme della rete, modificando i vincoli e ricomponendoli su un altro piano. È a partire da questa interazione e da questo condizionamento, in cui la scelta, la decisione, il taglio assumono una nuova e decisiva importanza, che si deve intervenire; in questo senso non c’è distinzione tra taglio prospettico ed operativo, perché la ricomposizione dell’orizzonte significa immediatamente scelta teorico-pratica di un settore della rete, quindi di un possibile che siamo noi a rendere più possibile.

Le conseguenze da un punto di vista conoscitivo sono notevoli e riconducono a quanto visto in precedenza, cioè alla crisi dei processi conoscitivi classici.

“In particolare il cambiamento decisivo consiste nel porre alla base delle scienze evolutive la nozione di vincolo e non la nozione di causa…Le nozioni di viability, di vincolo, di possibilità, di deriva naturale, di storia naturale dei vincoli e delle possibilità costituiscono una ridefinizione positiva delle limitazioni e della finitezza del punto di vista dal quale studiamo i processi evolutivi che spezza ogni legame con i valori classici e normativi dell’onniscienza, della completezza” (op. cit. pag.  154-155).

Questa prospettiva individua un atteggiamento nuovo che va oltre il determinismo sia nella variante causalistica tradizionale sia nella variante dialettica e si ricollega a quella dimensione che Morin chiama dialogica e di cui abbiamo visto gli sviluppi all’inizio del presente capitolo.

La scienza della natura va oltre il determinismo e scopre il carattere storico dei processi naturali; in questa nuova prospettiva epistemologica si muovono tutte le scienze, più o meno dure, più o meno esatte. Tempi diversi, nuovi orizzonti, reciproche interferenze caratterizzano i diversi percorsi delle diverse discipline.

 

NECSI (NEW ENGLAND COMPLEX SYSTEM INSTITUTE)

 

In questa parte propongo l’esperienza e la riflessione del New England Complex Systems Institute, che arricchisce il panorama di studio e ricerca inaugurato dal S.F.I. andando oltre il primitivo campo quando si occupava principalmente di educazione, apprendimento e insegnamento.

I brani che seguono sono tratti direttamente dal sito Internet del Necsi (necsi.edu) che illustra in modo aggiornato problematiche, studi ed iniziative : la traduzione è mia.

“Il New England Complex Systems Institute (NECSI) è un istituto di ricerca e istruzione accademica indipendente con studenti, borsisti post-dottorato e docenti. Oltre al team di ricerca interno, NECSI ha collaborazioni con università come MIT, Harvard, Brandeis e altre a livello nazionale e internazionale.

NECSI è stato determinante nello sviluppo della scienza dei sistemi complessi e delle sue applicazioni. Studiamo come le interazioni all’interno di un sistema portano ai suoi modelli comportamentali e come il sistema interagisce con il suo ambiente. I nostri nuovi strumenti superano i limiti delle approssimazioni classiche per lo studio scientifico di sistemi complessi, come organizzazioni sociali, organismi biologici e comunità ecologiche. L’approccio unificato basato sulla matematica di NECSI va oltre i confini delle scienze fisiche, biologiche e sociali, nonché dell’ingegneria, della gestione e della medicina”.

“La scienza dei sistemi complessi cambia il modo in cui pensiamo alla scienza e al suo ruolo nella società. Va oltre l’approccio tradizionale e riduzionista di concentrarsi sulle parti di un sistema, per integrare la rete di relazioni all’interno e tra i sistemi. Queste relazioni producono i comportamenti “emergenti” che vediamo in tutti i sistemi fisici, biologici, sociali, economici e tecnologici. Questo approccio consente ai ricercatori di affrontare questioni un tempo considerate al di fuori della portata della scienza, tra cui il comportamento umano, le interazioni sociali e le conseguenze delle politiche e delle decisioni della nostra società.

Il New England Complex Systems Institute è all’avanguardia in questo campo. Sviluppiamo nuovi approcci matematici e li applichiamo a questioni importanti per la scienza e la società, come la conservazione della biodiversità, la comprensione delle origini dell’altruismo, il miglioramento del sistema sanitario e la prevenzione della violenza etnica o delle crisi economiche. Combiniamo una base quantitativa in fisica, informatica e matematica con simulazioni al computer e analisi di dati ad alta dimensione per descrivere modelli di comportamento del mondo reale.

Attraverso la sua ricerca, NECSI sta espandendo i confini della conoscenza e riformulando i problemi sociali come problemi scientifici. (vedi: Archivio ricerche)”.

La scuola del XXI secolo deve saper rispondere alle nuove esigenze in termini concettuali e non semplicemente tecnici o tecnologici. In questo senso due direttrici fondamentali vengono proposte nella valorizzazione della componente individuale e nello sviluppo interdisciplinare del curriculum.

Per quanto riguarda il primo aspetto si parla di a)Ability levels and patterns of different abilities; b)Learning styles; c)Personality Characteristics.

Per il secondo aspetto si riconosce che :

“Uno degli sviluppi più entusiasmanti nel mondo della scienza oggi è il crescente coinvolgimento dei ricercatori nelle collaborazioni interdisciplinari e l’aumento della fecondazione incrociata di idee, e attività di ricerca, di persone in diversi campi della scienza… I vantaggi per la scienza interdisciplinare nel lavoro sono inestimabili e le varie possibilità di applicazione sono promettenti non solo per la scienza ma per molti aspetti della vita quotidiana”.

La scuola è sempre più riconosciuta come un sistema complesso e come tale deve essere studiata e dunque pensata. Per questo motivo pensare la scuola significa saper approfittare dei concetti che lo studio dei sistemi complessi ha saputo produrre.

“(Il nostro lavoro) nasce dalle intuizioni ottenute dalle applicazioni delle nuove idee di sistemi complessi che stanno ora comparendo nelle scienze matematiche, fisiche, biologiche e sociali. In effetti, queste applicazioni vengono integrate nel quadro concettuale di lavoro di molte professioni (ad esempio, ingegneria, medicina, finanza e gestione) così come delle scienze. Ad esempio, l’interdipendenza e la coevoluzione negli ecosistemi, con modelli emergenti formati dall’auto-organizzazione, sono ora considerate altrettanto importanti della selezione competitiva nella comprensione dell’evoluzione biologica”.

E’ importante capire che le grandi trasformazioni concettuali che hanno pervaso la scienza e che sono andate consolidandosi negli ultimi decenni, se modificano radicalmente gli orizzonti della nostra vita quotidiana, a maggior ragione incidono in modo determinante nell’ambiente scolastico che ha nel sapere (produzione, diffusione, confronto, diverse forme di relazione e interrelazione) il suo punto identificativo. Ovviamente questo discorso non ha alcun valore per chi ha deciso che la scuola debba essere principalmente un Centro Sociale.

“L’interesse diffuso per le strategie dei sistemi complessi è stato intensificato dalla manifesta complessità dell’economia e della società globali ed è stato accelerato dalla crescita di Internet e dalle opportunità diversificate e decentralizzate di comunicazione e collaborazione nella vita quotidiana dei cittadini e delle organizzazioni di ogni dimensione.

Concetti come organizzazione gerarchica multiscala, interdipendenza, patterning emergente, modellazione basata su agenti, attrattori dinamici, caos deterministico, flussi e vincoli di informazioni, interazione sistema-ambiente, traiettorie di sviluppo, paesaggi di fitness e auto-organizzazione stanno diventando strumenti chiave per un ragionamento qualitativo su sistemi complessi reali e la creazione quantitativa di modelli e simulazione nei contesti di sistemi sintetici”.

Alcuni percorsi sono già stati individuati e alcuni concetti provenienti dallo studio dei sistemi complessi sono già chiaramente assunti come determinanti nell’approfondimento dei processi educativi che dovranno conformare la scuola del XXI secolo.

“La conoscenza dei sistemi complessi poggia su tre fondamenti: Sperimentazione e osservazione nel mondo reale; uso del calcolo per la creazione di modelli e per la ricerca e l’analisi delle informazioni; e la teoria sottostante sulle proprietà dipendenti dal tempo dei sistemi non lineari. È importante che gli studenti comprendano i concetti di feedback in generale e di feedback adattivo in particolare, e le loro conseguenze per l’evoluzione dinamica dei sistemi. Il fatto che i sistemi del mondo reale abbiano molteplici cause ed effetti e siano aperti allo scambio di informazioni, materia ed energia con il resto del mondo ha conseguenze che gli studenti di tutte le età appropriate trarrebbero grande beneficio dalla comprensione….

Gli studenti, a un’età appropriata, e attraverso l’uso di osservazioni e tecnologia appropriata possono arrivare a comprendere flussi e vincoli di informazioni, organizzazione gerarchica multiscala, interazione sistema-ambiente, traiettorie di sviluppo, strumenti selettivi, paesaggi di fitness e altri strumenti concettuali di sistemi complessi”.

 

Gli strumenti di cui abbiamo bisogno, i “tools”, non sono qualcosa di tecnico o tecnologico, ma riguardano un atteggiamento mentale, una pre-disposizione spirituale e astratta, sono cioè strumenti concettuali nuovi, aperti e flessibili: essi sono gli unici in grado di permetterci di entrare in contatto e di confrontarci con la nuova  realtà dei sistemi complessi o con la nuova comprensione complessa che abbiamo dei sistemi reali.

“In effetti, le persone devono capire che non solo hanno a che fare con la realtà di sistemi complessi, ma in realtà hanno a che fare con modelli di quei sistemi, che ne siano consapevoli o meno. Ad esempio, i governi e le imprese prendono decisioni finanziarie sulla base di modelli economici che tentano di indicare loro le probabili conseguenze di tali decisioni. A loro volta, tutti i cittadini, consumatori e lavoratori affrontano le effettive conseguenze di tali decisioni basate su modelli. Quando gli individui prendono decisioni economiche, di carriera e di altra vita, tali decisioni devono essere basate su un modello (a volte non formulato esplicitamente, ma comunque un modello) che presenti le probabili conseguenze delle loro azioni individuali. Anche le cose più cariche di emozioni che le persone fanno, come il corteggiamento e l’interazione con i membri della famiglia, si basano in una certa misura su modelli di dinamiche interpersonali; cioè, una serie di ipotesi che tentano di prevedere come le persone risponderanno a varie azioni. Capire come funzionano i modelli e cosa possono e non possono fare è un enorme vantaggio in tutti gli aspetti della vita, non solo per le persone che svolgono professioni quantitative come la scienza, la tecnologia, gli affari e l’economia…

Tutti comprendono che gli individui e i sistemi sociali modificano il loro comportamento sotto l’influenza di varie pressioni. Queste modifiche di solito sono adattive e tendono ad aiutare l’individuo o il sistema a far fronte: questo è un feedback adattivo. Ma a volte qualche grande perturbazione sposta l’individuo o il sistema oltre qualche soglia verso un nuovo stato – o verso qualche grave danno o addirittura distruzione (generalmente il risultato di un “circolo vizioso”, nel linguaggio comune)”.

 In questa direzione, cioè su quali fondamenti dei sistemi complessi valga la pena imparare, vengono messe in evidenza alcune difficoltà che gli studenti incontrano.

“C’è motivo di credere che molte delle idee fondamentali associate a nuovi modi di pensare alla complessità possano essere difficili da apprendere per gli studenti. Numerose ricerche hanno documentato una varietà di difficoltà che gli studenti hanno con l’apprendimento di concetti rilevanti per la comprensione di sistemi complessi che sono attualmente insegnati nei corsi di scienze esistenti. Ad esempio, molti studenti, anche a livello universitario, credono che le reazioni chimiche si fermino all’equilibrio (Kozma, Russell, Johnston e Dershimer, 1990), o che l’evoluzione sia il risultato dell’uso o del disuso dei tratti e che i tratti acquisiti siano trasmessi da un individuo all’altro, da una generazione alla successiva (cioè, visione lamarckiana) (Bishop & Anderson, 1990; Samarapungayan & Wiers, 1997). Inoltre, è stato suggerito che concetti importanti relativi a sistemi complessi possono essere controintuitivi o in conflitto con credenze comunemente condivise (Casti, 1994). Molte persone credono che esista una relazione lineare tra la dimensione di un’azione e il suo effetto corrispondente: un’azione piccola ha un effetto piccolo, mentre un’azione grande ha un effetto corrispondentemente grande. Tuttavia, è ormai comunemente riconosciuto che nei sistemi complessi e dinamici, una piccola azione può avere interazioni nel sistema che contribuiscono a un’influenza significativa e su larga scala, il cosiddetto “effetto farfalla”. Altri ricercatori hanno proposto che le persone tendano a favorire spiegazioni riduttive che presuppongono il controllo centrale e la singola causalità deterministica e che ci sono resistenze profonde nei confronti delle idee che descrivono vari fenomeni in termini di auto-organizzazione, processi stocastici e decentralizzati (Feltovich, Spiro e Coulson , 1989; Resnick, 1994; Wilensky & Resnick, 1999). Coerentemente con queste prospettive, recenti ricerche suggeriscono che potrebbe esserci un diverso “modo di pensare” impiegato da individui con una comprensione avanzata dei sistemi complessi (ad esempio, scienziati che lavorano in questo campo) e novizi (studenti universitari) quando risolvono problemi che riguardano esempi familiari o “quotidiani” di fenomeni di sistemi complessi (ad esempio, in che modo le formiche cercano cibo, una farfalla in Brasile può influenzare il tempo in Alaska o come progettare una città in modo tale che beni e servizi siano massimizzati) (Jacobson, 1999) . Ad esempio, una soluzione degli studenti proponeva una città con alloggi centralizzati e distribuzione alimentare; mentre uno scienziato di sistemi complessi ha descritto una soluzione che modellava le interazioni decentralizzate delle persone in una città. Nel complesso, gli studenti universitari tendevano a risolvere i problemi utilizzando affermazioni riduttive, assumevano il controllo centrale, descrivevano un’unica fonte di causalità, erano prevedibili e si concentravano sugli oggetti, mentre gli esperti di sistemi complessi tendevano a risolvere i problemi con affermazioni che consideravano l’insieme sistema, hanno descritto il controllo decentralizzato e molteplici fattori causali, hanno notato la natura probabilistica delle soluzioni ed erano orientati al processo”.

 Dunque se la conoscenza è una proprietà emergente, colui che conosce e l’oggetto della conoscenza non possono risultare separati; al contrario oggetto del conoscere diventa principalmente il conoscere, l’attività stessa del conoscere. Questo vuol dire non solo che conoscere si presenta sotto forma di spirale, ma anche che non si può parlare di conoscenza se nel processo non entrano in gioco, non vengono coinvolti anche i fondamenti conoscitivi, quelli che chiamo i fondamenti epistemologici.

“Un importante principio per la progettazione di ambienti e strumenti di apprendimento che si occupano di sistemi complessi è rendere espliciti allo studente i concetti fondamentali. Ad esempio, anche i bambini molto piccoli sono stati visti muoversi con le formiche, portando pezzi di cibo e in genere “girando” intorno ai formicai. Tuttavia, nonostante questa esperienza di osservazione del mondo reale piuttosto dettagliata delle formiche, si può sostenere che pochi bambini piccoli – per non parlare dei bambini più grandi o persino degli adulti – hanno sviluppato una comprensione di importanti concetti fondamentali di sistemi complessi come i movimenti casuali delle formiche nell’ambiente, feedback positivo relativo alla generazione di ferormone quando si trova il cibo, all’autorganizzazione come caratteristica del formicaio e così via. Pertanto, sarà importante che i concetti di sistemi complessi relativi a vari fenomeni siano resi salienti ed espliciti agli studenti…”.

Applicare concetti derivati dai sistemi complessi alla scuola deve dunque richiedere un salto di qualità: quei concetti non devono essere appresi in termini di nuovi e più moderni contenuti, ma proposti attraverso percorsi che sappiano attivare nello studente una riflessione più profonda. Si tratta cioè di dotarsi di strumenti concettuali nuovi.

Le ultime citazioni sono tratte dal sito di NECSI di15 anni fa quando l’Istituto aveva iniziato da pochi anni e quando accompagnava le nuove scoperte nel campo della complessità con il tentativo di dar vita a progetti di studio che, nei contenuti ma soprattutto nel metodo, creassero un modo nuovo di porsi di fronte alla conoscenza.

Da allora NECSI ha formato, sviluppato e consolidato questo nuovo approccio, come si può constatare dalle numerose attività di cui si parla nel sito. Non è importante qui riportare uno ad uno i progetti, i percorsi, le iniziative che permettono di collocare il NECSI tra le esperienze migliori nel campo della complessità e della formazione alla complessità. Può però essere interessante ricordare sia il Corso Internazionale di questo luglio sia avere un’idea del bacino di utenza:

 

1)Corso intensivo sulla complessità: estate 2023 (https://necsi.edu/summer-2023-complexity-course)

La dimostrazione dell’applicazione dei metodi dei sistemi complessi sarà effettuata attraverso studi di:

Sistemi sociali: sistema educativo, sistema sanitario, sistema militare;

Sistemi psicosociali: modelli di comportamento sociale, mente, creatività;

Sistemi biologici: fisiologia, cervello, sistemi cellulari, reti genetiche;

Sistemi fisici: meteorologia.

 

2)I partecipanti ai programmi educativi dei NECSI hanno incluso individui provenienti da 10 aziende di Fortune 500 (le 500 aziende più importanti), molte agenzie governative e organizzazioni non profit/ONG, nonché studenti o docenti di 150 università di tutto il mondo. Il top è dato da MIT, Università di Cambridge, Stanford, università di Oxford, Harvard, Istituto di tecnologia della California, University College London, Università di Tsinghua. Dall’Italia solo quattro Università: La Sapienza di Roma, la Bocconi, Ca’ Foscari di Venezia e l’Università di Milano.

Si conclude qui il percorso da me proposto per avvicinare all’universo della complessità.

Nel prossimo e ultimo capitolo mostrerò come la comprensione di questo nuovo approccio in termini di orizzonti possa servire a ognuno di noi nella vita di ogni giorno e nella costruzione della nostra persona.