Nell’epoca attuale grande rumore fa in Occidente la così detta “cancel culture” che esprime un dissenso radicale sulla storia dell’Occidente accusato dei peggiori crimini, dalla schiavitù al colonialismo. A proposito di colonialismo se chiedessimo all’uomo della strada qualche esempio, saprebbe sicuramente citare il colonialismo inglese e quello francese degli ultimi due secoli, ma difficilmente parlerebbe di altri popoli seppur ancor oggi importanti come gli Arabi, i Persiani, i Russi, i Cinesi.

Alla luce del moralismo e dell’anacronismo che caratterizzano gran parte della visione storica dalle nostre parti, colonialismo è una parola brutta e di essa dovremmo vergognarci e chiedere scusa: eppure si parla di colonizzazione greca, ad esempio in Sicilia e nell’Italia Meridionale, difficile da demonizzare. La parola indica la presenza stabile di un popolo o di uno Stato in luoghi lontani dalla madre patria, con evidenti imposizioni che però variano, in modo spesso anche notevole.

Il termine “colonialismo” è diventato ormai uno stereotipo e risponde soltanto a un’istanza ideologica che certa cultura ha preferito condannare piuttosto che affrontare seriamente secondo riferimenti di carattere culturale, soprattutto storico.

E’ comprensibile che ci si soffermi maggiormente sui domini coloniali europei sia perché più recenti sia, e soprattutto, perché coinvolgono gran parte dei continenti; ma questo risponde soltanto al fatto che è negli ultimi due secoli che il mondo si è fatto più unito e meno disperso, diciamo più globale. Il fenomeno è però indipendente dalla sua dimensione territoriale e riguarda una caratteristica comune a quasi tutti i popoli della Terra nelle diverse epoche storiche.

Credere che il colonialismo sia un fenomeno moderno ed esclusivamente occidentale è il modo peggiore per studiare la storia dell’uomo.

E veniamo così al Vietnam.

Il Vietnam non è un caso particolare, ma il mio recente viaggio tra Hanoi e Saigon mi ha permesso di sistematizzare alcune riflessioni sia di carattere generale (in parte espresse nel mio libro sulla Storia) sia per gli eventi che hanno riguardato quel paese negli ultimi 50 anni e che ci hanno coinvolto direttamente. La mia prima uscita pubblica fu un volantinaggio fatto davanti al Cinema Corso di Arezzo nel 1969 contro il film “Berretti verdi”.

Intanto anche il Vietnam ci permette di sfatare il mito del “nativo” così tanto di moda presso certa ideologia che considera i “nativi” o “indigeni” come i veri abitanti di un determinato territorio: anche questo aspetto è stato usato per condannare l’Occidente come se non si sapesse che le prime popolazioni vivevano di caccia e raccolta e quindi erano naturalmente caratterizzate da grandi o piccole, ripetute o occasionali, migrazioni.

Così i “veri vietnamiti” chi erano? Non certo i recenti abitatori del territorio posto tra il Delta del Fiume Rosso e il Delta del Mekong. La ricerca ha mostrato ad oggi che i primi ad abitare la regione erano gli Hoabinhian, un gruppo presente nel sud est asiatico, in Malesia, nelle Filippine e in Oceania, scientificamente chiamato  Negritos.

Dire dunque “vietnamiti” ha senso solo per coloro che sono cittadini del Vietnam o abitano quella particolare regione, perché da un punto di vista etnico e storico le cose sono molto complesse. Non essendo questa la sede per una ricostruzione minuziosa degli eventi storici vietnamiti (su Internet si trovano molti studi), posso dire che intorno al 5000 a.C. cominciano a presentarsi gruppi provenienti soprattutto dalla Cina e dalle regioni vicine (Cambogia, Laos, Siam) e successivamente anche dall’India. Col passaggio al neolitico e dunque alla sedentarizzazione cominciarono a nascere stati veri e propri; come è successo in tutto il mondo, o quasi: gli Egizi, gli Assiri, i Romani, gli Inca, gli Aztechi, i Cinesi, i Mongoli, i Persiani, i Turchi, gli Arabi. Così avvenne anche in Vietnam dove possiamo vedere la presenza cinese a Nord, quella indiana a Sud e un po’ dappertutto quella buddista non certo indigena.

Se passiamo ad analizzare il fenomeno coloniale inteso come presenza di uno Stato allora dobbiamo dire che il ruolo maggiore lo ebbero i Cinesi nelle varie versioni imperiali che avevano fatto del Vietnam una delle loro zone di espansione. I Regni così detti vietnamiti oltre a combattere numerose e cruente guerre civili non rinunciarono a processi di dominazione, il più importante dei quali avvenne nei confronti del Regno dei Cham che era presente nel sud del Vietnam dal VII al XV secolo costituito da un’etnia particolare, i Cham, una delle 54 etnie riconosciute in Vietnam. La vittoria vietnamita (il Dai Co Viet) costò ai Cham 60.000 morti e la schiavitù per 30.000 persone. Gli stessi Cham non erano particolarmente pacifici e oltre ai conflitti con i Viet si spinsero più volte in guerra con i vicini Khmer della Cambogia in una reciproca attenzione (la cosa si ripeterà come vedremo ad opera del Governo comunista).

Qualche informazione per seguire meglio il discorso fin qui fatto.

Cominciamo col termine Viet: dal III secolo a.C. in poi il termine fu usato per le popolazioni cinesi non Han della Cina meridionale e sudoccidentale e del Vietnam settentrionale, con particolari gruppi etnici chiamati Minyue, Ouyue, Luoyue (vietnamita: Lạc Việt), ecc., collettivamente indicati come Baiyue (Bách Việt).

Già alcuni secoli prima di Cristo gli studiosi parlano di una cultura vietnamita Đông Sơn riconducibile al Vietnam del Nord, al Guangxi e al Laos; mentre nel Vietnam centrale prosperò la cultura della gente Sa Huynh predecessore dei popoli Cham austronesiani. Entrambi furono spazzati via dall’espansione della dinastia Han dal nord: la conquista Han di Nanyue portò parti del Vietnam sotto il dominio cinese nel 111 a.C.

Nel Vietnam centrale e meridionale si affermarono Regni Austronesiani: i più importanti furono quello dei Champa, di cui ho parlato sopra, e di Funan (che nella sua massima espansione si estese dalla Malesia al Siam alla Cambogia al Laos e al Vietnam). Entrambi i regni erano indianizzati e diffusero l’induismo in queste regioni. Sebbene è certa la loro origine Austronesiana, è difficile anche per gli studiosi ricostruire una precisa mappa degli spostamenti, ma certamente essi provenivano dalle isole del pacifico e arrivarono fino in Madagascar. Tra i popoli più noti in questo percorso sono i Khmer, etnia dominante in Cambogia, dove si stabilirono relativamente presto rimanendovi fino ai giorni nostri.

Nonostante la presenza di regni di dinastie Viet la regione fu oggetto di conquiste da parte soprattutto dei cinesi come i Song (X-XIII sec.), i Ming (XIV-XVIIsec.), i Manciù-Qing (XVII-XX sec.), ma anche dei mongoli come gli Yuan (XIII-XIV sec.) e dei siamesi.

Come si vede la storia di questa regione lunga più di 1500 km è molto articolata e complessa, ma non risulta molto diversa dalla storia di altre regioni. Basta pensare ai conflitti che caratterizzarono la penisola italiana e il Mediterraneo prima che si affermasse e si consolidasse la potenza romana: in questo senso il conflitto tra Cartagine e Roma è esemplare di una tensione imperialistica in un periodo di forte globalizzazione. Un altro esempio riguarda l’espansione araba soprattutto in Africa e nel Medio-Oriente oppure quella Turca che arrivò fino alle porte di Vienna. Insomma l’esperienza coloniale e imperialistica non è caratteristica dell’Occidente, ma risponde a percorsi che i gruppi umani hanno sviluppato in rapporto alla complessità, maggiore o minore, delle relazioni rese possibili dal livello di sviluppo.