Due premesse si rendono necessarie. E riguardano i due schieramenti della Guerra Fredda.

1)Per l’Occidente la decolonizzazione era un percorso inevitabile. Si può discutere di quanto abbiano pesato anche gli aspetti economici, ma di fatto da tempo si parlava di decolonizzazione, un processo tutt’altro che facile ma la prospettiva era chiara. Lo aveva anticipato il Presidente USA Wilson con i suoi “Quattordici punti” nel 1918 (punto 5). C’era stata poi la presa di posizione del Segretario di Stato Stimson nel 1932, la dichiarazione di Welles nel 1940. L’Atto più significativo però fu la Carta Atlantica, un atto diplomatico in 8 punti, sottoscritto dal presidente degli Stati Uniti  F. D. Roosevelt e dal primo ministro britannico Winston Churchill il 14 agosto del 1941. Seguirono le firme di altri Paesi tra cui la Francia di De Gaulle e l’Unione Sovietica: gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra ed è naturale che gli eventi bellici obbligarono a fare i conti con la realtà, ma la linea di tendenza era chiara. Grazie alla Carta Atlantica si ponevano le basi per la formazione dell’ONU.

2)Per il blocco legato all’URSS l’obbiettivo era quello di allargare il campo dei Paesi comunisti in modo da facilitare una Rivoluzione Mondiale perché il Sol dell’Avvenir doveva sorgere in tutto il globo. Più che Marx il punto di riferimento fu Lenin. I bolscevichi presero il potere in Russia non attraverso una rivoluzione di popolo, ma grazie a un colpo di Stato armato dal momento che le elezioni per l’Assemblea costituente li aveva visti sconfitti e così alla seconda seduta il 6 gennaio 1918 irruppero armati e la dichiararono decaduta.

Per i Comunisti ciò che contava era il potere e le elezioni erano viste come un organo borghese: tutta l’esperienza comunista nel mondo farà delle libere elezioni uno specchietto per le allodole. Dopo i tentativi insurrezionali in Italia e Germania a seguito della I Guerra Mondiale, la propaganda si diffuse creando nuclei armati un po’ ovunque, mentre dopo il 1945 furono instaurati regimi dittatoriali in tutto l’Est europeo comunista. Nel 1949 nasce la Cina comunista, mentre diventa comunista anche la Corea del Nord, la cui aggressione alla Corea del Sud non riuscì.

Nel 1953 l’Europa Orientale, la Russia, la Cina, la Corea del Nord erano diventati regimi dittatoriali comunisti ed è in questo contesto che va inquadrata la situazione vietnamita.

 

Il Sud-est asiatico fu negli anni ’40 del secolo scorso un centro nevralgico per le operazioni militari e vide la preponderanza del Giappone che occupò anche il Vietnam tra il 1940 e il 1941 fino al 1945. La Francia occupata dai Tedeschi rimase in piedi come Repubblica di Vichy e fu essa ad avere la gestione delle colonie; poiché il Giappone era alleato con la Germania (Asse Roma-Berlino-Tokyo dal 1940) non ci furono contrasti con la Francia. La situazione era però estremamente confusa per la presenza di molti soggetti esterni e interni: De Gaulle si concentrava con gli Inglesi in Europa, mentre gli Stati Uniti si fecero coinvolgere solo in un secondo tempo. In più c’era la Cina e il Siam che cercarono di approfittare della situazione. Internamente non esisteva un forte movimento nazionalista e molti erano i gruppi che operavano politicamente e che occupavano i vari punti dello spettro indipendentista: filofrancesi, antifrancesi e nazionalisti con diverse sfumature, comunisti. Il Vietminh era un’organizzazione politico-militare seguace di Lenin e Mao Tse-tung, operando, secondo l’etica leninista, con doppiezza e ambiguità: da un lato si parlava di lotta coloniale per unire il maggior numero di forze, ma dall’altra l’obbiettivo era l’instaurazione di un regime comunista (insurrezione comunista fallita nel 1940 e atti di guerriglia). Non c’è dubbio che militarmente era l’organizzazione più forte anche per gli aiuti che riceverà sotto forma di armi moderne dalla Cina diventata comunista nel 1949 e insieme dal sostegno del mondo comunista che dal 1945 si era notevolmente allargato.

Era la politica proposta da Stalin in Europa del “fronte comune” o “fronte popolare” dopo il fallimento del “socialfascismo”, politica che accusava tutti coloro che non erano comunisti di essere fascisti.

E’ curioso che in questa fase coloro che mostrano maggiori aperture nei confronti della popolazione locale sono i Francesi alleati della Germania Nazista, ad esempio con la creazione di un Consiglio federale Vietnamita e attraverso una politica di grandi opere e di miglioramento delle infrastrutture, oltre allo sviluppo dell’istruzione.

Sempre durante la guerra i Comunisti continuarono con azioni di guerriglia soprattutto nelle montagne, ma vennero facilmente controllati, mentre nel gruppo nazionalista le divisioni sono profonde con la presenza di figure di primo piano dei vecchi regimi aristocratici oltre che delle comunità cattoliche. Di fatto, benché il Vietminh operi in tutto il Vietnam la sua maggiore presenza è al Nord, mentre nel Centro e Sud (Annam e Cocincina) maggior peso hanno le forze storiche.

Nel marzo del 1945 i Giapponesi in crisi per le perdite subite nel Pacifico esautorano i francesi il cui esercito viene smantellato in meno di 24 ore. Poi ci fu la capitolazione dopo la bomba atomica e i più pronti ad agire furono i comunisti che, seguendo gli insegnamenti leninisti e maoisti, avevano mantenuto e rafforzato la loro organizzazione militare in clandestinità. Ho Chi Minh ruppe così con il “governo provvisorio” e creò un Comitato di liberazione nazionale interamente dominato dai comunisti e lanciò uno slogan di insurrezione generale per prendere il potere prima che i francesi potessero tornare. I Việt Minh organizzarono manifestazioni ad Hanoi e sequestrarono edifici ufficiali, innescando l’episodio noto come Rivoluzione d’Agosto.

I giapponesi presenti lasciarono via libera alle forze nazionaliste e nonostante avesse difficoltà a imporre la propria autorità contro altri gruppi nazionalisti vietnamiti, il Việt Minh era l’organizzazione politico-militare più forte, così da creare un Comitato esecutivo provvisorio, dominato dai comunisti. Nonostante Ho Chi Minh avesse stipulato un patto con gli Alleati, facendo pensare a una soluzione diplomatica, nel settembre del 1945 proclamò l’indipendenza del Paese a nome del governo provvisorio della Repubblica Democratica del Vietnam.

Da questo momento, approfittando della confusione legata alla fine della guerra, con la presenza contemporanea di cinesi, inglesi, francesi, giapponesi, i Vietminh svilupparono la guerriglia soprattutto al sud dove erano meno forti: centinaia di europei vengono massacrati o rapiti a Saigon. Al nord il governo egemonizzato dai Comunisti entra in crisi per il fallimento delle riforme agrarie che provocano una drammatica carestia. Di fronte a questa situazione e proseguendo nella doppiezza leninista, l’11 novembre 1945, per rassicurare l’opinione pubblica, il Partito comunista indocinese annunciò il proprio scioglimento. Di fatto, la leadership del Partito continua ad esistere e a controllare il Việt Minh. Nel gennaio 1946 vengono organizzate – teoricamente in tutto il Vietnam, ma in pratica solo nel Nord – le elezioni per formare un’assemblea costituente vietnamita. I Việt Minh – i cui candidati si presentavano spesso senza concorrenza –trionfano, ottenendo la legittimità elettorale nonostante la libertà molto relativa dello scrutinio. Il governo di Ho Chi Min non è riconosciuto da nessuno Stato e per di più le diverse componenti mettono in discussione il ruolo dei comunisti, così Ho Chi Min decise di fare un accordo con la Francia che, come al solito, non rispetterà, continuando a sviluppare guerriglia e presenza armata. Questa volta si muoverà anche contro gli alleati nazionalisti non comunisti come il VNQDD e il Dong Minh Hoï, sottoposti ad una campagna di terrore nei mesi di giugno e luglio; i suoi dirigenti furono uccisi, arrestati o costretti all’esilio e sostituiti da leader nazionalisti favorevoli al Việt Minh.

Negli anni successivi la politica di espansione del Vietnam comunista prosegue cercando di minare la relativa stabilità del sud attraverso omicidi del personale anticomunista e azioni di guerriglia. Nonostante si cerchi una soluzione diplomatica a livello internazionale questo quadro rimane e si rafforza dopo il 1949 quando Mao Tse-tung dichiara la fondazione della Repubblica popolare Cinese che fornirà sempre più armi moderne ai vicini compagni vietnamiti. Anche l’URSS parteciperà al sostegno militare del governo di Ho Chi Min. Al Nord fu adottata una costituzione, la prima nella storia del Paese, che non faceva menzione né della Federazione indocinese né dell’unione francese (nonostante gli accordi Hô-Sainteny). Il 14 novembre, tuttavia, l’assemblea rinviò l’attuazione della costituzione e dette al governo di Ho Chi Minh il potere di governare per decreto, stabilendo di fatto un potere dittatoriale nel Nord.

In sostanza, mentre le diplomazie internazionali faticano a trovare un accordo per la presenza di molti soggetti politici, culturali e religiosi, gli unici ad aver ormai chiaro il percorso da portare avanti sono i Vietminh che attraverso la voce di Ho Chi Min dichiarano la guerra totale. Tutto questo nonostante le forze in campo comprendano molti soggetti non comunisti come le sette caodaiste (movimento religioso sincretico tra buddismo, cristianesimo e razionalismo), il movimento buddista Hoa Hao e le truppe Bình Xuyên, ex-fuorilegge ed ex-comunisti, oltre ai cattolici vietnamiti.

Da questo momento il Vietnam è di fatto diviso in due: al Nord il regime dittatoriale comunista che ha pretese nei confronti del Sud, sostenuto con armamenti moderni e basi da Cina, URSS e blocco comunista e il sud dove si forma lo Stato del Vietnam sostenuto dalla Francia, dagli USA, dalla Gran Bretagna e di fatto indipendente.

Il Fronte Indocinese è ormai un avamposto della Guerra Fredda e così i Partiti Comunisti Europei fanno campagne per Ho Chi Min, costituendo di fatto una quinta colonna dell’espansione comunista nel mondo. E’ in questo quadro che si collocano gli eventi della Guerra di Corea.

Gli stessi comunisti vietnamiti cercano di sviluppare le insurrezioni laotiana e cambogiana, il Pathet Lao e il Khmer Issarak, che sostengono e controllano, per estendere il conflitto a tutta l’Indocina francese. La Francia è decisa a uscire di scena e alla Conferenza di Berlino del febbraio 1954 si decide di risolvere i problemi in campo in una successiva Conferenza da tenere a Ginevra: questa inizia ad aprile ma il 7 maggio il generale Giap sferra un attacco decisivo a Dien Bien Phu, realizzando una vittoria militare che segnerà le sorti della guerra e che ancora oggi è celebrata come “una vittoria del popolo vietnamita contro i colonialisti bianchi”.

L’insistenza con cui le potenze internazionali e soprattutto la Francia cercavano una soluzione diplomatica attraverso Trattati e Conferenze fu presa come un segno di debolezza e portò a una prima parziale stabilizzazione.

Come sempre la Storia non guarda in faccia nessuno e a vincere è sempre chi esprime maggiore volontà di potenza non rinunciando alla “dissimulazione”: come ricordava Machiavelli ne Il Principe.

E’ solo questo il merito di Ho Chi Min e dei Comunisti Nord Vietnamiti.

Nel prossimo articolo si parlerà della Conferenza di Ginevra e delle sue conseguenze.