7 Il sogno diventa un incubo: l’economia

 

Come è sempre successo in tutti i Paesi Comunisti, appena preso il potere, anche in Vietnam il sogno si è trasformato in incubo. Il fallimento nelle scelte economiche non risponde evidentemente a difficoltà oggettive o a imperizia dei dirigenti, ma dipende dal modello economico scelto. Come ha sempre ricordato Marx, l’economia non è qualcosa di astratto ma la sua importanza è legata al fatto che dietro questa parola c’è la vita quotidiana di tutte le persone e soprattutto dei più poveri e svantaggiati. Le riforme agrarie fallite nel Vietnam del Nord dopo il 1945 non poterono che fallire una volta applicate a tutto il paese e in particolare al Sud dove gli elementi di capitalismo e la presenza di un’economia di mercato dovevano essere abbattuti.

La base del modello economico era la pianificazione centrale in stile sovietico che si concentrava sull’industria pesante e sulla collettivizzazione dell’agricoltura. Si trattava di un’economia pianificata centralmente, in cui tutte le fonti di beni e materie prime sono nelle mani dello Stato centrale. Il governo ha coordinato tutte le fasi dell’economia, dalla pianificazione, raccolta, circolazione alla distribuzione all’utente finale (consumatore). Ogni persona riceveva distribuzioni standard che dipendevano dal livello di lavoro, dall’età, dal grado e dalla posizione nel governo. I prezzi di produzione erano strettamente controllati dallo Stato, indipendentemente dalla legge di mercato della domanda e offerta.

Come in tutte le esperienze socialiste questo tipo di economia portò a un drammatico declino: bassissimo livello di produzione e altissimo scontento della popolazione. Impossibile far circolare anche piccole quantità di riso, carne o vegetali dalla propria abitazione ad altre aree, perché tutto veniva controllato, catturato, confiscato dal Governo e i soggetti coinvolti messi in prigione perché era un’attività considerata illegale. Persino agli studenti veniva confiscato tutto ciò che portavano da casa per vivere come riso, fagioli, carne, olio …

Si parla tanto delle condizioni familiari nelle società occidentali che favoriscono i benestanti, in Vietnam, come in tutti i paesi socialisti, questa realtà era legge assoluta:

il retroterra familiare era molto importante per cercare lavoro, per avere promozioni ed entrare all’università e chi aveva un futuro sicuro erano i membri del partito.

Il sistema di razionamento e i buoni alimentari avevano immediate conseguenze: impoverimento generalizzato, lunghe code, scarsità di beni, divisione in 5 categorie in base alle quali erano beneficiati i membri dell’esercito e del partito che avevano a disposizione maggiori quantità di beni. E come in URSS, a Cuba e in tutti i paesi socialisti esistevano negozi specifici solo per alti ufficiali, dove si trovavano persino liquori importati!

La stessa situazione valeva anche per i trasporti. I Dirigenti e chi lavorava per loro non avevano problemi, mentre la gente comune doveva fare la fila 1 o 2 giorni alla biglietteria; durante la notte la coda era normale per ottenere un biglietto.

Gli autisti delle personalità del Partito e dell’Esercito erano uomini molto ricchi e il loro lavoro era tra i più ricercati perché potevano vendere benzina al mercato nero.

Il mercato nero è da sempre una conseguenza naturale in condizioni di imposizioni statali sul mercato (prezzi e quantità dei beni): dall’instaurazione del governo socialista si diffuse subito il mercato nero sia della benzina sia dei beni di prima necessità. Il fatto, relativamente curioso, era che in questo modo la moneta che circolava e che rappresentava un punto di riferimento e di sicurezza era il dollaro americano. Le transazioni a livello della popolazione, che poteva permetterselo, avvenivano in dollari USA.

Strana conseguenza per chi aveva perso la guerra.

Un’economia agricola collettivizzata produce sempre gli stessi effetti legati al mancato coinvolgimento individuale delle persone che non sono stimolate ad aumentare la produzione, a lavorare meglio e a sviluppare innovazione. Si viene a creare poi una condizione di discriminazione, a seconda del carattere, tra i diversi lavoratori tra chi lavora sodo e chi opera pigramente, dal momento che la ricompensa è la stessa.

La centralizzazione dell’economia ha creato solo danni. Durante il regime collettivo, la produzione di riso subì una riduzione, soprattutto nel 1977 e nel 1978 e, sebbene l’anno 1979 abbia visto una ripresa della produzione, questa non ha comunque raggiunto il livello che garantiva l’autosufficienza del paese. Questa situazione ha costretto il Vietnam ad importare grandi quantità di riso per soddisfare la domanda interna, mentre molte famiglie dovevano mangiare riso misto con tapioca, banana verde o patate dolci.

La reazione a queste misure fu diffusa e provocò una repressione ampia e sanguinosa da parte delle autorità.

Da un lato si ebbe oltre mezzo milione di internati nei campi di lavoro mentre più di un milione decise di abbandonare il paese con mezzi di fortuna (di questi parleremo nel prossimo articolo): il lavoro di una vita e di intere generazioni veniva annullato dalla politica di confisca delle terre e delle aziende. Circa 300.000 persone, specialmente quelle associate all’ex governo e all’esercito del Vietnam del Sud, furono inviate nei campi di rieducazione, dove molti sopportarono torture, fame e malattie mentre erano costretti a svolgere lavori forzati. Ancora una volta il Regime Comunista disattese gli Accordi di Parigi per quanto riguarda l’art.11 (v. sopra).

Infine  1 milione di persone, per lo più abitanti delle città, si “offrirono volontari” per vivere in “Nuove Zone Economiche” dove dovevano sopravvivere bonificando la terra e disboscando la giungla per coltivare i raccolti.

La repressione fu particolarmente severa per il popolo Hoa, la popolazione etnica cinese in Vietnam. A causa delle crescenti tensioni tra Vietnam e Cina, che alla fine portarono all’invasione cinese del Vietnam nel 1979, gli Hoa furono visti dal governo vietnamita come una minaccia alla sicurezza.  Il popolo Hoa controllava anche gran parte del commercio al dettaglio nel Vietnam del Sud, e il governo comunista ne approfittò per riscuotere sempre più tasse, imporre restrizioni al commercio e confiscare le imprese.

La situazione disastrosa cominciò a mutare solo a partire dal 1986, quando furono avviate riforme in senso capitalistico e piano piano tutto l’impianto collettivista venne smantellato.

 

8 Il sogno diventa un incubo: I boat-people

Già nello stesso anno della “vittoria comunista” si manifestarono i fenomeni sociali più gravi. Problemi di alimentazione legati alle riforme collettiviste, espropriazione e confisca dei beni, anche i più modesti, potere assoluto dell’apparato civile e militare del Partito, dislocamento della popolazione secondo la pianificazione centralizzata, campi di rieducazione per chi non si sottoponeva o per i sospettati di non accogliere con entusiasmo il nuovo corso.

La vita in Vietnam si rivelò durissima.

Cominciò così subito la Diaspora vietnamita

Parecchie decine di migliaia di persone, perseguitate in quanto considerate non sufficientemente aderenti al nuovo sistema, decisero quindi di fuggire dal Paese soprattutto via mare. Il periodo di maggior esodo fu quello tra il 1975 e il 1979, già subito dopo la “vittoria”: il fenomeno interessò un totale stimato di 800.000 persone. 130.000 persone furono invece reinsediate negli Stati Uniti attraverso navi e aerei: si trattava del personale vietnamita più vicino alla presenza americana.

Il fenomeno comunque non interessò solo il Vietnam perché, sempre nel 1975, anche la Cambogia e il Laos divennero regimi comunisti, così che l’esodo coinvolse anche migliaia di cittadini provenienti da questi paesi.

Nell’esodo chi poteva pagava profumatamente per poter fuggire in grandi navi, mentre molti vietnamiti, i più poveri, lasciarono il loro paese segretamente senza documenti e su imbarcazioni fragili, e questi erano i più vulnerabili ai pirati, al sovraffollamento e alle tempeste mentre erano in mare. Come è facile aspettarsi, molti pagavano un extra per corrompere i funzionari governativi, che chiudevano un occhio o procuravano documenti falsi; molti salivano a bordo di barche da pesca (la pesca è un’occupazione comune in Vietnam) partendo in questo modo, spesso alla deriva. La pianificazione di un viaggio del genere richiedeva molti mesi e persino anni ed era facile che si registrassero ritardi o che la fuga fallisse per il ripensamento dei funzionari governativi. Il governo vietnamita e i suoi funzionari hanno approfittato del deflusso di rifugiati, in particolare la comunità cinese benestante Hoa. Il prezzo per ottenere i permessi di uscita, la documentazione e una barca o nave, spesso abbandonata, per lasciare il Vietnam è stato segnalato per essere l’equivalente di $ 3.000 per gli adulti e la metà di quello per i bambini. Questi pagamenti venivano spesso effettuati sotto forma di lingotti d’oro.

Nulla di nuovo: succedeva ciò che era successo in tutti i paesi socialisti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il carattere altamente drammatico del fenomeno dei “boat people” commosse l’opinione pubblica internazionale e anche la Marina Militare Italiana si mosse per soccorrere queste persone, portandone un migliaio in luogo sicuro.

I boat people hanno dovuto affrontare tempeste, malattie, fame ed eludere i pirati. Le barche non erano destinate alla navigazione in acque aperte e in genere si dirigevano verso rotte di navigazione internazionali trafficate a circa 240 chilometri a est. I più fortunati sarebbero riusciti ad essere salvati dai mercantili o a raggiungere la riva 1-2 settimane dopo la partenza. Gli sfortunati continuarono il loro pericoloso viaggio in mare, a volte durando alcuni mesi, soffrendo la fame, la sete, le malattie e i pirati prima di trovare salvezza.

Il numero di boat people vietnamiti morti in mare può essere solo stimato. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, tra i 200.000 e i 400.000 boat people sono morti in mare.

Il fenomeno non si fermò mai e, dopo una breve pausa a metà anni ’80 nel 1987, il numero di boat people ha ricominciato a crescere. La destinazione questa volta era principalmente Hong Kong e Thailandia.

Il dramma di boat people si complicò perché i paesi della regione spesso “respingevano” le barche quando arrivavano vicino alle loro coste e i boat people vagavano in mare per settimane o mesi alla ricerca di un posto dove poter sbarcare. Soprattutto la Malesia e l’Indonesia ostacolarono l’accoglienza, mentre di fatto furono i paesi più sviluppati a farsi carico della loro destinazione e sistemazione, compresi gli Stati Uniti d’America.

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9 Il sogno diventa un incubo: I conflitti con i paesi vicini

 

Come abbiamo visto la politica nord-vietnamita a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale risponde all’esigenza di allargare il campo comunista foraggiata prima dalla sola Unione Sovietica poi anche dalla Cina. Eppure, le divergenze in campo comunista non sono mai mancate, come è naturale in una visione politica che ha come base l’ideologia; l’ideologia proprio per il suo carattere astratto e le possibili diverse interpretazioni si presta facilmente allo scontro. Questo fenomeno è stato caratteristico di tutto il movimento internazionale fondato sull’ideologia marxista. Ne sanno qualcosa i partiti socialisti europei in preda a continue scissioni, ne sa qualcosa l’Unione Sovietica in continua epurazione dei suoi membri e con la gulaghizzazione del Paese, ne sanno qualcosa i movimenti comunisti di tutti i continenti (talvolta con 3 partiti di ispirazione marxista).

Il fenomeno non poteva rimanere estraneo al movimento comunista internazionale nel suo complesso.

La prima grande rottura si ebbe nel 1956 quando Krushev denunciò i crimini di Stalin, per cui la Cina reagì accusando l’URSS di revisionismo e non rinunciando alla figura di Stalin tra i grandi del movimento: enormi manifesti e grandiose bandiere presentavano i 5 grandi: Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao Tse-tung.

Le divergenze ideologiche non potevano nascondere la volontà di potenza che era la reale manifestazione del potere che anche il movimento comunista esprimeva. Lo scontro tra URSS e Cina si limitò a un conflitto di frontiera tra il marzo e il settembre del 1969, ma non andò oltre per la deterrenza nucleare che riguardava anche i due grandi Paesi comunisti.

In Indocina le cose presero una piega diversa.

Nel 1975, dopo la nascita dello Stato comunista in Vietnam, anche i vicini Laos e Cambogia dettero vita a due regimi totalitari di ispirazione socialista. Il Vietnam del Nord aveva già invaso sia il Laos sia la Cambogia creando dei veri e propri santuari dove le forze comuniste si ritiravano dopo le incursioni guerrigliere nel Vietnam del Sud. Il Laos era soprattutto un paese di transito perché i suoi limiti meridionali andavano di poco oltre il 17° parallelo, linea di separazione tra il Vietnam del Nord e quello del Sud. La Cambogia invece divenne il luogo privilegiato dove potersi esercitare, da dove partire e dove tornare: la frontiera cambogiana dista solo 60 Km da Saigon. C’è però da ricordare anche che antiche rivalità segnavano i rapporti tra gli Khmer cambogiani e i vietnamiti, quando l’Impero Khmer occupava l’estremità fertile del delta del Mekong.

Così, nonostante gli stessi riferimenti ideologici, i comunisti vietnamiti e i comunisti cambogiani dettero vita a costanti scontri di confine e alla decisione che portò il Vietnam nel 1978 a lanciare un’invasione su vasta scala del territorio cambogiano, a conquistare Phnom Penh, la capitale cambogiana, deponendo il regime comunista di Pol Pot, istituendo lo stato fantoccio della Repubblica Popolare di Kampuchea e avviando una prolungata occupazione militare del paese che si concluse solo nel 1989, ma le truppe vietnamite si ritirarono solo nel 1990.

Dodici anni di fraterna amicizia.

Ma l’espansionismo vietnamita non si fermò qui dal momento che, essendo i Khmer rossi fedelissimi alleati della Cina Comunista, questa si risentì e ciò provocò uno stato di tensione militare. Nel febbraio e nel marzo del 1979, la Cina rispose all’occupazione del Vietnam in Cambogia avviando una limitata invasione del Vietnam, ma l’incursione cinese fu rapidamente respinta. I rapporti tra i due paesi rimasero tesi per un certo tempo. I disaccordi territoriali lungo il confine e nel Mar Cinese Meridionale, che erano rimasti latenti durante la guerra del Vietnam, ritornarono a galla alla fine della guerra, con frequenti combattimenti su piccola scala lungo la linea di frontiera. Inoltre, una campagna progettata nel dopoguerra da Hanoi per limitare il ruolo della comunità etnica cinese del Vietnam nel commercio interno suscitò una forte protesta di Pechino.

La guerra si concluse con un nulla di fatto, e ad essa fece seguito una serie continua di scontri di confine durata per un decennio. Solo il ritiro dei reparti vietnamiti dalla Cambogia all’inizio degli anni 1990 portò a un rasserenarsi della situazione internazionale del Vietnam.

Il Vietnam non aveva più bisogno delle armi cinesi e, visti i rapporti ormai deteriorati, si schiacciò sull’URSS da cui continuò a ricevere aiuti economici e militari e condusse la maggior parte dei suoi scambi commerciali con l’URSS e gli altri paesi del Comecon (Consiglio per la Mutua Assistenza Economica).

 

Come vedremo, i rapporti tra Cina e Vietnam si normalizzarono a partire dagli anni ’90 grazie alle riforme in senso capitalistico e all’adesione alla globalizzazione che ha permesso ai due Paesi di superare i gravi problemi sociali ed economici e di fare un salto nel XXI secolo.