C-CANCEL CULTURE –
La Cultura della Cancellazione è nata negli Stati Uniti e si è diffusa in Gran Bretagna e Canada, ma non ha esitato ad attraversare altri Paesi. La libertà di opinione è uno dei capisaldi delle società democratiche, ma in questo caso si tratta di ben altro: “una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali – sia online sui social media che nel mondo reale, o in entrambi” (da Wikipedia).
Ci furono nei decenni passati forti contrasti, ad esempio, nei confronti di alcuni storici che non erano d’accordo sulla tesi comune dei campi di sterminio tedeschi; furono accusati di “revisionismo” e poi di “negazionismo”, aspramente criticati e anche osteggiati, ma nulla fu fatto contro di loro.
La cancel culture invece approfitta del peso assunto dai social per procedere a condanne senza processo, accusando i sostenitori di opinioni diverse dalle loro in modo violento, creando un clima di terrore che si trasforma spesso in un ostracismo sociale: i casi più noti sono quelli che riguardano giornalisti licenziati o attori estromessi da film e spettacoli televisivi.
Spesso avviene che il processo intentato nei tribunali assolva il malcapitato come è successo recentemente con l’attore Kevin Space. Se è vero che la libertà d’opinione è un caposaldo delle società democratiche è vero che i sostenitori della cancel culture invece i processi li fanno nelle piazze riprendendo fenomeni già noti alla storia, come i processi sommari da parte dei giacobini durante la Rivoluzione Francese o da parte del Partito Comunista nell’URSS e in Cina. La differenza sta nel fatto che in quei luoghi i “rei” venivano uccisi, mentre oggi si procede ad esecuzioni civili (non sono mancati però casi di suicidi).
Il fenomeno non può però esser ridotto a quanto fin qui espresso, perché esso risponde ad un approccio storico di più ampio respiro e di maggiore complessità. Non si tratta di revisioni parziali di eventi storici frutto di documenti e ricerche più approfondite, ma di veri e propri proclami che deformano la storia attraverso meccanismi inaccettabili da un punto di vista storico.
Non si tratta di casi simili ad altri che grazie all’approfondimento hanno permesso di rivedere quanto comunemente accettato fino ad allora.
Casi come la Donazione di Costantino che giustificava il potere temporale della Chiesa sulla donazione di terre da parte dell’Imperatore Costantino: durante l’Umanesimo, grazie allo sviluppo della filologia, lo studioso Lorenzo Valla dimostrò in modo inequivocabile che quell’atto era un falso. Da allora si parla di “Falsa donazione di Costantino”.
Casi come l’Eccidio di Katyn, l’esecuzione sommaria di circa 22 000 tra ufficiali, politici, giornalisti, professori e industriali polacchi per ordine di Stalin nel 1940. Nonostante fosse abbastanza evidente la responsabilità sovietica, la propaganda comunista anche nei paesi occidentali fece sì che fosse attribuita ai Nazisti, che erano colpevoli di altri crimini e avevano perso la guerra. Nel 1990 fu riconosciuta la responsabilità sovietica per ammissione stessa della nuova dirigenza russa, confortata sempre di più dal materiale giacente negli Archivi di Mosca.
Tanti eventi nel corso degli anni sono stati rivisti grazie allo strenuo lavoro degli storici, e difficilmente hanno trasformato nuove informazioni in un giudizio complessivo del tutto nuovo. I nazisti hanno intrapreso azioni criminali e averli sollevati dalla responsabilità di Katyn non ha cambiato il giudizio complessivo sulla dittatura. Lo stesso per l’URSS, una dittatura che ha al suo attivo crimini di vasta portata e che per le riconosciute responsabilità nel massacro polacco non è giudicata diversamente.
Il terreno della “cancel culture” è però completamente diverso, perché è diverso il contesto in cui è sorta e si è potuta diffondere. Infatti, alla base c’è una società caratterizzata da una cultura di massa: grazie all’alfabetizzazione, ai media e in particolare a Internet, oggi ogni singolo individuo si ritiene protagonista, “uno vale uno”, e pretende che la sua opinione si imponga. È chiaro che questa massa si scontra con la scienza, in questo caso storica, ma cerca di farsi largo grazie al numero, all’irruenza con cui si presenta e alla violenza che esprime.
Probabilmente non avrebbe avuto molto seguito se non fosse corroborata da sedicenti intellettuali che pescano nel torbido pur di avere maggiore visibilità e un numero crescente di “followers”. Magari non si esprimono nei singoli casi, ma forniscono il nutrimento culturale perché masse di ignoranti possano dare libero sfogo alle proprie opinioni.
Vediamo qual è il terreno di coltura.
Il primo e più generale è il relativismo culturale. La fine delle ideologie, la crisi dei valori universali, il riconoscimento scientifico che non esistono leggi assolute per spiegare la complessità della realtà hanno portato a sostenere un pensiero debole che cerca di sostituirsi al dominio della metafisica in filosofia. Questo pensiero tende a relativizzare la conoscenza: dal momento che la metafisica, i valori assoluti (nella scienza e nel contesto sociale) hanno perso la storica funzione di guida occorre fermarsi e comprendere che tutto è relativo. Lo aveva già spiegato Pirandello con il riconoscimento che i lanternoni si sono spenti e che al loro posto vagano le piccole e modeste luci prodotte dai lanternini di ognuno di noi. Per fortuna la scienza della complessità ha prodotto un approccio che non è né assolutista né relativista, ma esso parla di orizzonti (Gadamer, Morin, Ceruti, Prigogine, Laughlin, Neuroscienze, Santa Fe Inst. ecc.).
Molto più semplice invece è stato contrapporre a una visione totalizzante, non più praticabile, una visione relativistica che, con la scusa di confrontarsi con la molteplicità del reale, ne accetta tutte le sfaccettature, con qualche distinguo. Il relativismo diventa giustificazionismo e apre la strada alla pretesa di legittimità di ogni pensiero che passi per la mente di ognuno.
In campo storico esso si trasforma in anacronismo. Se tutto è relativo, allora anche ogni espressione culturale ha il diritto legittimo di sussistere e di richiedere un riconoscimento. Ciò che aveva caratterizzato lo sviluppo della conoscenza in termini evolutivi cessa di essere un punto di riferimento e, con la pretesa di riconoscere a priori il ruolo di ogni tipo di cultura, ci si fa portavoce di qualsiasi idea. Ma come è possibile legittimare un’idea al di fuori del contesto storico e geografico a cui si riferisce?
Ed ecco dunque che l’anacronismo si coniuga con il moralismo. Non si segue più la storia attraverso il concreto, contraddittorio insieme di flussi che l’hanno caratterizzata, ma si procede per scomunica: il Bene contro il Male. Guarda caso, fuori da uno studio evolutivo e da un riconoscimento dei faticosi percorsi che hanno caratterizzato la storia dell’umanità, si lanciano anatemi solo contro la Società Occidentale, criminalizzata per aver partecipato con tutti gli altri popoli al balletto violento della storia umana. Ci si rifiuta di riconoscere come certi valori che vengono richiamati come “il Bene” siano proprio il lento, non semplicistico e non lineare conflitto che ha caratterizzato la storia dell’Occidente: la Pace, il Diritto, la Libertà, la Giustizia, il valore delle persone in quanto individui non sono valori assoluti ma punti di riferimento su cui l’Occidente sta costruendo la propria storia. Essi sono il prodotto della storia del solo Occidente e non di nessun’altra cultura.
Si condanna Colombo, e se ne abbattono le statue, come responsabile del fallimento dei nativi americani.
Si condanna il colonialismo occidentale, dimenticando che esso appartiene alla storia di ogni Paese e che l’Occidente è stato il primo a confutarlo e superarlo.
Si condanna la schiavitù, il razzismo e altri fenomeni simili come se fosse opera esclusiva dell’Occidente, quando invece sono forme di tutti i popoli e che l’Occidente per primo ha voluto mettere in discussione.
Si accusa l’Occidente perché caratterizzato dal Patriarcato (maschilista e bianco) tappandosi gli occhi di fronte a ciò che succede ancora nelle comunità di colore, nei Paesi Islamici, in Cina, Russia, Africa.
Molti popoli indigeni, sconfitti dalle potenze europee, vengono presentati come vittime dimenticando la loro storia di oppressione nei confronti dei propri cittadini e di popoli vicini.
Si propone di cancellare il nome di Università intitolate a uomini che al loro tempo hanno espresso un atteggiamento ritenuto “non politicamente corretto” rispetto a etnie, donne, omosessuali etc., dimenticando che quelle persone hanno contribuito allo sviluppo della conoscenza e al miglioramento della società. Come se fossero tutti degli Hitler o degli Stalin.
Gli esempi che potrei fare sono numerosi e basta leggere i giornali internazionali per rendersi conto di cosa sta succedendo in nome del Bene e del politicamente corretto.
Invece di confrontarsi con la Storia degli uomini si distrugge il carattere complesso, fluido, contraddittorio della Storia stessa: si cancella la Storia e la si sostituisce con una Bibbia a senso unico che ha già stabilito chi andrà all’Inferno.
Il semplicismo della cancel culture è evidente proprio in campo storico; si prende un evento, lo si isola, si stabilisce un nesso di causa-effetto e la condanna è pronta. Il fatto grave non sta solo nella pretesa di riscrivere la storia in chiave moralistica, ma nella condanna e nel tentativo di cancellare tutti quei prodotti culturali che hanno dato spessore all’umanità. Molti scrittori vengono messi al bando o le loro opere vengono censurate o addirittura riscritte perché il ruolo della donna o di un nero era di sottomissione. Il fatto che nessun popolo extraeuropeo abbia prodotto uno Chopin o un Michelangelo non viene visto come stimolo alla produzione e alla creatività, ma come un danno che quei popoli hanno subito. E così via.
Riducendo la storia in generale e la storia della cultura in particolare si perde la complessità del reale e si creano categorie che da un lato snaturano le opere stesse e dall’altro le riducono a un astratto moralismo in cui ciò che conta è aderire (Bene) o meno (Male) ai Nuovi Comandamenti. Basti pensare, a solo titolo esemplificativo, che un’opera ricca di riflessioni e spunti, come l’Otello di Shakespeare, sia oggetto di interesse soprattutto per le questioni razziali, le uniche capaci di rendere visibile lo scontro fra Bene e Male.
Distrutta la storia viene distrutta la letteratura e l’arte.
Cosa la scoperta di Colombo abbia innescato rispetto alla realtà odierna diventa privo di significato: contano solo gli effetti immediati sui nativi americani (per la maggior parte morti per malattie da cui erano esenti). Ciò serve a preparare la medaglia d’oro del vittimismo e la richiesta di risarcimento (Quanto? Fino a quando?).
In letteratura solo eroi di colori, donne, bisessuali meritano attenzione e così si evita di studiare il comportamento degli individui espresso dalla letteratura e dall’arte attraverso migliaia di opere e le storie hanno senso se servono a criminalizzare alcune categorie: maschi, bianchi, etero.
La contraddizione è palese e la vedremo in uno dei prossimi capitoli: la diversità nel mondo è data dall’essere individuo e non da categorie che nel processo di astrazione diventano cieche: non tutti gli operai sono comunisti, non tutti i palestinesi sono contro Israele, non tutti i neri sono contro i bianchi, non tutti gli etero sono contro gli omo e così via.
La cancel culture non è una novità. Essa ripropone il desiderio totalitario del pensiero unico, di imporre una visione del mondo e ad essa uniformarsi e uniformare gli altri. Senza andare troppo indietro nel tempo basta pensare al “realismo socialista” in URSS, Cina, Corea del Nord, Vietnam, Germania Orientale ecc. e al rifiuto di un’arte che non aderiva al nazismo e che per questo veniva chiamata “arte degenerata”.
ALCUNI ESEMPI PARZIALI DELL’INTOLLERANTE CANCEL CULTURE
“Trans”, il libro della editor dell’Economist Helen Joyce.
“Material Girls”, della filosofa inglese Kathleen Stock, che insegna all’Università del Sussex.
“La question trans”, Paris, Gallimard di Claude Habib, docente alla Sorbonne, saggista e scrittrice.
La notissima J. K. Rowling, oggetto di una infame campagna per le sue idee (definita feminazi, puttana ecc.)
Alla Rutgers University, una delle più rinomate d’America, la statua del grande poeta americano Walt Whitman verrà rimossa dal campus a seguito delle petizioni degli attivisti e della raccomandazione di un comitato di studiosi, dopo che la stessa fine l’hanno fatta Abraham Lincoln e trentadue statue di Cristoforo Colombo.
In Inghilterra hanno eliminato i ritratti della regina Elisabetta da Oxford, fatto spazio al terzomondismo eliminando “I racconti di Canterbury” di Chaucer, ribattezzato la torre David Hume a Edinburgo e bandito dai curricula “Buio oltre la siepe” di Harper Lee e “Uomini e topi” di Steinbeck…
La casa editrice olandese Blossom Books, per essere “inclusiva” con i fratelli musulmani, ha tolto Maometto dall’Inferno di Dante. Che vuoi che sia allora cambiare nome a una scuola intitolata a Winston Churchill. C’è chi in cattedra lo considera più suprematista di Hitler. E dopo le statue hanno iniziato a cancellare persone in carne e ossa.
È impossibile tenere il conto di tutti.
“Puoi essere cancellato per aver citato uno studio scientifico. Puoi essere cancellato per credere nel sesso biologico. Puoi essere cancellato per aver detto che il tuo paese non è razzista. Puoi essere cancellato per il tweet sbagliato. Puoi essere cancellato per aver criticato Black Lives Matter…” È lo slogan che campeggia sul sito “Canceled People”, un nuovo database che raccoglie le vittime della cancel culture che da anni divampa nelle società occidentali. Sono già 217 i nomi e viene aggiornato ogni giorno.
Daniel Elder, un musicista di Nashville, nel Tennessee, Pluripremiato compositore, oggi Elder è così tossico che nessuno è disposto a farlo lavorare. Il suo editore lo ha bandito. I direttori si rifiutano di programmare la sua musica per paura di subire un contraccolpo. … Il suo editore gli prepara una lettera di mea culpa, ma Elder rifiuta e viene cacciato. “Ho scelto di essere quello che non si è scusato. Le cose non sono andate bene”.
Una professoressa della Mount Allison University in Canada è stata appena sospesa senza paga a causa delle lamentele degli studenti che il suo blog personale era “razzista” e “discriminatorio”. La professoressa Rima Azar, originaria del Libano e che insegna Psicologia della salute, dovrà sottoporsi anche a un corso di “formazione su equità, diversità e inclusione” (hanno sempre un vago sentore maoista) per le sue “trasgressioni”, che includono “negare il razzismo sistemico” ed “etichettare Black Lives Matter un gruppo radicale”.
Il direttore di una delle principali pubblicazioni accademiche, Harald Uhlig dell’Università di Chicago, il più noto economista tedesco negli Stati Uniti, dopo che ha criticato Black Lives Matter, paragonando l’organizzazione ai terrapiattisti per via della campagna a favore dello scioglimento dei dipartimenti di polizia, è stato messo in congedo dal Journal of Political Economy, una delle cinque riviste del settore in America.
Un professore della Cornell Law School, William Jacobson, è stato censurato dal suo preside per aver criticato Black Lives Matter. Cosa aveva fatto di così terribile? Aveva chiamato i fondatori di Black Lives Matter “attivisti antiamericani che vogliono distruggere il capitalismo”.
Una ricercatrice del Buffalo State College, Erica Cope, è sotto indagine per aver detto agli studenti di essere stufa di parlare ogni giorno di Black Lives Matter.
Il professor Charles Negy, da ventidue anni docente di Psicologia all’Università della Florida, aveva scritto: “Il ‘black privilege’ è reale, affirmative action, borse di studio speciali e altri posti a parte, oltre a essere protetti dalle legittime critiche, un privilegio”. L’università vuole licenziarlo.
Tim Gordon è stato licenziato dalla Garces Memorial High School, istituto superiore cattolico di Bakersfield, in California, per aver definito “terrorista” Black Lives Matter durante i saccheggi.
Si può criticare il magistero della chiesa cattolica, ma si viene cancellati se si critica l’organizzazione afroamericana.
Un professore dell’Università della California, Gordon Klein, è stato licenziato per essersi rifiutato di concedere più tempo per gli esami agli studenti durante le proteste di Black Lives Matter.
Joshua Katz, un famoso classicista a Princeton, ha pubblicato un appello per la libertà di parola. Katz è sopravvissuto alla richiesta di licenziamento, ma gli è stato tolto un incarico accademico.
Un preside del Vermont, racconta il Wall Street Journal, è stato licenziato dopo aver pubblicato su Facebook: “Solo perché non vado in giro con un cartello Black Lives Matter non dovrebbe significare che sono un razzista.”
Lama Abu-Odeh, giurista della Georgetown University, assistendo a questi episodi ha avuto un deja-vu. “È un fenomeno che ho sperimentato personalmente in Giordania, dove sono cresciuta. Ho assistito all’entrismo degli islamisti in tutte le sfere culturali e accademiche. Quando frequentavo l’ultimo anno di giurisprudenza, ho scritto articoli sul giornale studentesco per denunciare questa presa. Un giorno, un amico di mio padre venne a dirci che il mio nome era stato pronunciato alla moschea durante il sermone del venerdì. Mio padre si è spaventato e mi ha fatto lasciare il paese.”. … L’ideologia del “risveglio” ha tutti i crismi di una intolleranza religiosa. “L’islamismo iniziò così, reclutando dalla classe media istruita ed entrando nel sistema educativo prima di diffondersi nelle sfere del potere. Accademici neri della costa occidentale sono venuti a farci lezione. Fui l’unica, insieme a un altro insegnante, a esprimere riserve. Un collega mi ha detto: ‘Ma come osi interrompere una donna di colore?’.
Nei giornali mainstream. Donald McNeil era un famoso reporter del New York Times, per cui ha lavorato cinquant’anni ed era stato appena nominato per il Pulitzer per i suoi articoli sulla pandemia da Covid-19. Il direttore del Times, Dan Baquet, ha messo alla porta McNeil.
E non è certo il primo caso. Bari Weiss si è dimessa dal New York Times con una lettera che ha fatto furore e in cui scriveva: “L’autocensura è diventata la norma.
Non passa molto tempo che James Bennett, capo degli editoriali del New York Times, si dimette sotto pressione della direzione. La sua “colpa”? Aver pubblicato un editoriale del senatore Repubblicano Tom Cotton, che chiedeva l’intervento dell’esercito per fermare il vandalismo a seguito dell’uccisione di George Floyd.
Cambiamo paese e “bibbia” dell’intellighenzia progressista. “Siamo nel marzo 2020. Da vari mesi provo a scrivere qualcosa – qualunque cosa – sul cosiddetto ‘dibattito sui trans’”. Così scrive Suzanne Moore, ex giornalista del Guardian costretta a lasciare il quotidiano per le sue tesi giudicate offensive sui trans. “
Cambiamo di nuovo paese e altra “bibbia” progressista. “Annuncio la mia immediata decisione di non lavorare più per Le Monde, una decisione personale, unilaterale e definitiva. La libertà non si negozia”. È con questo tweet che Xavier Gorce, famoso vignettista del giornale della sinistra francese, ha rassegnato le dimissioni.
Gli intolleranti cambiano le parole e poi le usano per lapidare i dissidenti. Marion Millar, nota femminista scozzese, è stata accusata di “crimine d’odio” per presunti post “transfobici”. Rischia fino a due anni di carcere. Millar è stata accusata ai sensi del Malicious Communications Act per tweet pubblicati nel 2019 e nel 2020. Millar è stata arrestata e rilasciata su cauzione dalla stazione di polizia di Coatbridge dopo un’interrogatorio di due ore, accolta dagli applausi di un gruppo di sostenitrici, molte delle quali indossavano magliette con le parole con l’hashtag “#WomenWontWheesht”, le donne non staranno zitte. Millar era stata molto attiva nel dibattito sulla riforma del Gender Recognition Act scozzese, opponendosi all’autoidentificazione di genere.
Un libro di settecento pagine, costato dieci anni di lavoro a Richard Cohen e intitolato “The History Makers”, è stato censurato dalla casa editrice americana Random House, in quanto conterrebbe “riferimenti insufficienti a storici, accademici e scrittori neri”.. Ma nonostante la revisione, la casa editrice ha deciso di mandare al macero il libro di Cohen. Ma anche corsi di greco e latino, perché Aristotele, vero antesignano di Himmler, giustificò la schiavitù.
A Princeton gli studenti non saranno più tenuti a imparare il greco e il latino per favorire un ambiente “più inclusivo ed equo”. La decisione è stata presa per combattere il “razzismo sistemico”.
A Princeton insegna non a caso Dan-el Padilla Peralta, professore di Storia romana che ha fatto notizia augurandosi la “morte” della propria disciplina. Così, nel paese i cui Padri Fondatori erano grandi studiosi dei Classici (anche se per la verità neanche George Washington se la passa benissimo, cancellato dalle scuole di San Francisco), la Howard University, frequentata anche dalla vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, ha cancellato il Dipartimento di studi classici. Una scuola nel Massachusetts, a Lawrence, è arrivata a bandire Omero. L’Università di Wake Forest nel North Carolina ha costretto gli studenti a un corso chiamato “Classics Beyond White”, i classici oltre il suprematismo bianco. Va da sè che non importi che i Greci ci abbiano dato la democrazia e i Romani il diritto. In America ormai vedono razzismo anche in Cicerone… Se non fosse già abbastanza irritante, quel che è peggio è che lo chiamino anche “progresso”. Lo ha detto chiaramente la docente di Studi classici della Brown University, Johanna Hanink: “Se i Classici non cambiano, che brucino”.
Tanti libri in questi mesi sono scomparsi alla velocità con cui sono a malapena apparsi. La biografia definitiva di Philip Roth a firma di Blake Bailey per leso MeToo; il libro di Julie Burchill contro la censura per Hachette dopo l’accusa di “commenti islamofobi”; le traduzioni catalane e olandesi delle poesie di Amanda Gorman, che oggi è più considerata del Nobel nigeriano Wole Soyinka; “When Harry became Sally” di Ryan Anderson, un best seller critico del transgender, fino a un volume della popolare serie per bambini Capitan Mutanda. Il caso Anderson è rivelativo: Amazon lo ha bannato dalle vendite, sebbene non abbia mai preso provvedimenti simili per libercoli nazisti e islamisti.
Se continueremo a rileggere tutto il passato con le lenti di questo presente intossicato di ideologia, non si salverà niente. Perché come ha detto l’editrice Teresa Cremisi sul Journal du dimanche: “È il momento di celebrare Voltaire? Figurarsi, un islamofobo e antisemita. Rousseau? Impossibile, abbandonò i figli. Richelieu? Un traditore nato. Baudelaire? Un drogato misogino e depresso. C’è da domandarsi se almeno Santa Teresa di Lisieux potrebbe sfuggire al cattivo umore dei nostri contemporanei”.
Bruciano i Classici e i libri critici della teoria del gender.
“Centoquarantasei persone ad Halifax, nella Nuova Scozia canadese, aspettano su una lista di prendere in prestito un libro dalla biblioteca. Una domanda incombe su di loro: gli attivisti gli permetteranno di leggerlo? Il libro è mio – ‘Irreversible Damage’ – ed è un’indagine su un mistero medico: perché il numero di ragazze e adolescenti che richiedono (e ottengono) la riassegnazione di genere è alle stelle negli Stati Uniti, in Canada, in Scandinavia e in Europa? In Gran Bretagna, è aumentato del 4.400 per cento nell’ultimo decennio”. Lo racconta Abigail Shrier. Il libro ha ottenuto il plauso di una rivista come l’Economist, eppure, è in corso una campagna per toglierlo dalla circolazione. “Un importante avvocato dell’American Civil Liberties Union ha chiesto che venisse bandito. Potenti organizzazioni come GLAAD hanno fatto pressioni contro di esso e sulle società – Target e Amazon tra le altre – per rimuovere il libro dai loro scaffali”. Su Science-Based Medicine, la dottoressa Harriet Hall ha appena condiviso le critiche di Shrier all’identità di genere applicata ai minori. “In un giorno, l’articolo della dottoressa Hall è stato inondato di mille commenti, per lo più, dice, da attivisti che chiedevano che l’articolo fosse rimosso dal sito, ma anche da alcuni lettori che esprimevano il loro apprezzamento. Le email arrabbiate degli attivisti hanno sommerso gli editori. Nel giro di due giorni, quegli editori avevano dato a Hall un ultimatum: ritrattare, riscrivere o consentire loro di aggiungere un disclaimer. Così ha deciso di far aggiungere un disclaimer degli editori che non erano d’accordo”. L’American Booksellers Association si è scusata per una pubblicità al libro.
Se i dipendenti di Amazon hanno chiesto al proprio datore di lavoro di censurare il libro, Halifax Pride, il festival LGBTQ annuale, ha annunciato che avrebbe tagliato i rapporti con il sistema bibliotecario della città per voler anche solo dare in prestito il libro di Shrier. Ci sono anche scrittori che hanno deciso di non mettere più piede nella biblioteca fintanto che avesse tenuto il titolo negli scaffali. “Vogliono che il libro sia cancellato dall’esistenza. Due copie in una biblioteca di quasi 1,2 milioni di volumi sono due di troppo”. E come racconta l’autrice sul Wall Street Journal, Grace Lavery, professoressa all’Università della California, è andata persino oltre: “Incoraggio a bruciare il libro di Abigail Shrier su una pira”.
Bisognerà ripristinare i Bücherverbrennungen, i roghi libreschi di Goebbels.
(da un articolo di G. MEOTTI su Il foglio)