E 2 ECOLOGIA

Nella lingua italiana la parola ecologia compare solo all’inizio del 1900 (Il grande dizionario UTET cita Panzini e Moravia), mostrando che il termine non era particolarmente in uso almeno fino alla fine del secolo scorso. Come è a tutti noto il termine si basa sulla parola greca “oikòs” che vuol dire “casa” e dunque è lo studio dell’ambiente. Con la crescita dell’industria e della popolazione mondiale, con la diffusione della cultura, con il maggiore benessere, alla fine del 1900 è nata una corrente di pensiero che si è posta il problema del rapporto tra uomo e natura in modo nuovo rispetto al passato. Una certa riflessione filosofica di origine marxista aveva già cominciato a mettere sotto accusa la tecnica vista come lo strumento principale del dominio capitalista.

La crisi e poi la caduta del comunismo hanno trovato nell’ecologia e nell’ambientalismo il recupero di un terreno che mantenesse vivo il fuoco dell’anticapitalismo: l’inquinamento in particolar modo era il prodotto dello sviluppo capitalistico e in una prima fase fu l’obbiettivo di critiche al sistema. Non esistevano alternative, ma le solite parole continuavano a funzionare: sfruttamento degli uomini e delle risorse, materialismo, individualismo, profitto, ma a queste si aggiunse un’altra colpa del capitalismo, la distruzione dell’ambiente.

Oggi siamo tutti ecologisti, ma chi non lo dichiara apertamente è un negazionista, uno che non ha coscienza del male cui siamo sottoposti. È curioso, ma poi non tanto, che si usi l’attributo “negazionista” che era nato e usato per coloro che negavano l’olocausto.

La parola “ambiente” è di origine latina e deriva dal verbo “ambio”, “che circonda, che avvolge” (come ambo, due lati), quindi dai romani era proprio ciò che sta intorno a noi e dunque per secoli ha continuato a escludere noi e la nostra presenza.

Come costola del politicamente corretto l’ecologismo-ambientalismo ne riflette tutte le sfumature e ne interpreta i valori: stiamo distruggendo la natura e dobbiamo riflettere, fare qualcosa per i nostri figli e per il pianeta, combattendo i soliti nemici, le multinazionali, i poteri forti, la finanza internazionale, gli Stati Occidentali.

Prima di entrare nello specifico è opportuno impiegare un po’ di tempo a fare il punto su quello che è il concetto di “natura”.

Solo fino agli anni ’70 del 1900 la Natura consisteva nella Flora e nella Fauna. Le riflessioni, come quelle di Leopardi, sebbene più articolate, non vi si discostavano: per lui la Natura era matrigna, completamente disinteressata alle sorti dell’umana specie e fonte soprattutto di disastri per l’uomo. Nella Ginestra ricorda l’eruzione del Vesuvio e la distruzione operata su fiorenti città come Pompei ed Ercolano, mentre in un’Operetta Morale (Dialogo tra la Natura e un islandese) fa l’elenco dei disastri che, senza volerlo, così naturalmente, essa ci procura: tempeste, terremoti, incendi e tante altre cose.

Noi e la Natura: separati.

Da qualche decennio a questa parte si è capito che questo dissidio non esiste e che l’Io fa parte del mondo, né più né meno di un albero. Questo ha portato a una visione più complessa e a una conoscenza sempre più approfondita.

Ogni era di cambiamento ha sempre dato vita a profeti di sventura che, invece di rimboccarsi le maniche perché si potesse approfittare di quel cambiamento e goderne, hanno preferito lanciare anatemi e così sono aumentati i colpevoli e i lamenti, dando vita a un grande esercito di professionisti del risentimento.

Per alcuni il risentimento ha prodotto modeste recriminazioni, mentre per altri si è tradotto in visioni apocalittiche.

Dopo la caduta dell’Impero Romano si è pensato all’anno 1000 come l’anno della fine del mondo, paura che si ripete a ogni piè sospinto, assumendo forme di volta in volta coerenti con le novità: chi non ricorda le preannunciate fini del mondo del 2000 il millennium bug) e del 2012 (profezia Maya)?

L’avvento delle macchine aveva creato tanto spavento che spinse i luddisti a distruggerle, il treno fu visto come Satana, la bomba atomica avrebbe ben presto ucciso la popolazione mondiale trasformando la terra in un deserto, l’AIDS era stata mandata da Dio per punire gli uomini dei loro peccati.

E così via.

Tutte queste fantastiche fantasie si sono dimostrate vane e la vita ha ricominciato a fluire: le macchine hanno creato occupazione, i treni comunicazione, l’energia atomica ha favorito il benessere, i peccati sono rimasti ma l’AIDS è stato confinato.

La fine del mondo (dopo il 1000, il 2000 e la distruzione atomica) è oggi evocata soprattutto da una componente significativa di ecologisti-ambientalisti, che da ormai mezzo secolo e in misura crescente ci prospettano un futuro drammatico, in cui la sparizione della razza umana e della vita nella Terra sono presentate come realistiche.

 Si è così passati dalla natura contro l’uomo all’uomo contro la natura.

Il caso del riscaldamento globale è il più significativo. Si è ristretta la visione dimenticandoci che la Terra ha attraversato cicli di abbassamento e innalzamento della temperatura e che i dati raccolti in modo ampio occupano uno spazio temporale abbastanza limitato. Ma, comunque, dando per buona la fase ciclica che ci vedrebbe super riscaldati, è l’immediata accusa all’uomo di esserne la causa che lascia interdetti. Non perché non sia possibile, ma perché è stato necessario nascondere molti studi e giocare sul senso di colpa perché questa verità facesse breccia. Le previsioni si dimostrano sempre più esagerate, si evita di discutere di altre influenze (il ruolo del sole ad esempio) mentre si dà il Nobel al signor Gore e all’IPCC per quanto fatto. Gore è un politico e non interessa, ma interessa mettere in evidenza che l’IPCC (emanazione dell’ONU) è stato oggetto di forti critiche mentre una parte dei suoi componenti si è dissociata dalle conclusioni presentate nel 2009.

Ciò che qui si vuol criticare è la trasformazione della Natura in una nuova Dea, da venerare, fustigando l’uomo per le sue presunte colpe: non abbiamo bisogno di nuovi comandamenti e di parole d’ordine che incitano al conflitto. Abbiamo bisogno di studi seri e di smetterla con l’atteggiamento semplicistico e ideologico che ha procurato danni ingenti alla vita tra gli uomini: l’ecosistema è qualcosa di complesso e per fortuna sono migliaia gli studiosi che lavorano per una vita migliore.

Soprattutto la fretta, sorella dell’ideologia, va evitata, come ogni rivoluzione nella storia ha dimostrato.

La cultura è l’antidoto, l’unico antidoto, come l’etimologia ci insegna: cultura (come coltura) è coltivazione, semina, cure, ancora cure e attenzioni, fino allo sbocciare non immediato dei frutti.

E dunque sarebbe l’ora di tacere prima di sostenere questa o quella tesi ripresa da un talk show o letta in una rivista nella sala d’attesa del medico: fa tanto fico, finalmente crediamo di avere un’idea e invece si tratta solo di slogan, accettabili, forse, in una discussione al bar.

Torniamo alla Natura.

Quasi tutti la pensano come qualcosa di incontaminato e puro, ripetizione del mito dell’Eden o dell’Età dell’Oro ancora ricordata dal Tasso nell’Aminta, ma soprattutto alla base del disprezzo sociale che ha origine in Rousseau: l’homme naît bon, mais c’est la Société qui le déprave, l’uomo nasce (nascere, nato, natura) buono ma è la Società che lo rende cattivo.

Ebbene, oltre alle riflessioni ancora attuali di Leopardi, va detto che non esiste più una Natura pura e incontaminata e che la flora e la fauna che incontriamo sono il frutto di modificazioni avvenute nei millenni, per opera dell’uomo e di altri eventi.

Il cotone, quella soffice pianta naturale, è causa di desertificazione e diffusione di batteri, eppure per noi è più naturale del poliestere. Non parliamo degli OGM, che soprattutto in Italia sono diventati l’Omo Nero, la peste del XXI secolo, dimenticandoci che quasi tutto quello che mangiamo (carnivori o vegani, musulmani o jainisti) è frutto di trasformazioni genetiche avvenute in millenni.

E così la battaglia contro il petrolio, nata (anni ‘70) contro le multinazionali (le Sette Sorelle) si è estesa in modo apocalittico, dimenticando le enormi trasformazioni avvenute in questo settore: si è arrivati così a sostenere l’immediata abolizione del suo uso, come se l’aspetto economico si riducesse al profitto del capitalista. Eco-nomia, da oikòs e nomos, la legge della casa.

Ancora una volta dobbiamo imparare dagli americani, anche se non ci piace: i primi Parchi naturali e protetti furono creati proprio negli USA alla fine del XIX secolo (1872) e su quell’esempio si sono convinti anche altri popoli, talvolta ben un secolo dopo.

Come per il petrolio assistiamo a discussioni da bar riguardo la biodiversità, termine corretto se usato nella sua complessità, ma troppo spesso ridotto a slogan. Un conto è combattere i bracconieri, un altro è fare operazioni di tipo sovietico, dimenticando che ogni giorno vengono scoperte nuove specie, sia della flora sia della fauna. Nei Territori del Nord dell’Australia i coccodrilli in via di estinzione furono protetti e ora sono talmente tanti che se ne favorisce la caccia; una cosa simile è avvenuta da noi con i cinghiali. Gli esempi di queste improvvisazioni sono tanti.

Il carattere complesso del nostro ecosistema, dove complesso vuol dire interconnesso, ha fatto credere che la scomparsa di una singola specie di pesci avrebbe fatto crollare l’intera catena alimentare come se fosse un domino. L’uomo ha sempre saputo superare le diverse crisi che ha dovuto affrontare, non ultimo l’inquinamento e ci è riuscito perché non ha mai fatto prevalere la paura, ma si è sempre impegnato per risolvere seriamente le difficoltà che di volta in volta si presentavano.

Due i fattori vincenti.

La cultura, intesa come coltivazione continua e inesauribile della conoscenza.

L’economia, intesa come coscienza che ogni intervento umano rappresenta sia un costo sia un’opportunità, per cui occorre una visione ampia nello spazio e nel tempo.

È in questi settori che dobbiamo impegnarci, noi, i nostri figli e i nostri nipoti.

Gli slogan, superficiali, generici e apocalittici, sono privi di prospettive e favoriscono soltanto i poteri forti che li lanciano, perché esistono poteri forti nel campo ecologista-ambientalista: quelli economici riguardano grandi aziende, quelli politici gruppi che seducendo e spaventando cercano di attrarre nuovi adepti.

 

È importante favorire e sviluppare la discussione: essa apre, mentre lo slogan chiude.

Purtroppo, i nuovi eco-ambientalisti non vogliono discutere, perché loro hanno la verità in tasca e dunque, come tutti coloro che sanno come e dove andrà il mondo, considerano nemici quelli che non la pensano come loro.

A loro non importa che le grandi compagnie petrolifere siano impegnate, con ingenti investimenti, nel settore dell’energia rinnovabile e pulita.

A loro non importa discutere il costo dell’energia solare che, se diffusa, rappresenterebbe un immediato impoverimento della popolazione (oltre che uno scempio del paesaggio).

A loro non interessa sapere che gli OGM hanno permesso sia di sfamare centinaia di milioni di persone sia di favorire un’agricoltura più pulita.

A loro non interessa sapere che la ricerca bio-chimica unita all’informatica sta disegnando nuovi scenari per una vita migliore e più sostenibile.

Loro sanno tutto. Sono la voce della Natura (che non può parlare). Minacciano. Lanciano slogan semplici e ad effetto. Spaventano. Gridano. Riempiono l’aria di chiacchiere. Sognano il Bene, non fanno nulla per il Meglio. Dio (e l’attuale Papa) è con loro: come non volere il Paradiso in Terra?

La storia ha mostrato ampiamente che chi ha proposto il Paradiso in Terra ha poi realizzato il peggiore Inferno.

Gli errori e i problemi, come la morte, fanno parte della vita. A nulla serve rimuoverli: occorre solo impegnarsi a superarli.

Certo i problemi non si risolvono da sé, ma occorre un impegno serio di tipo culturale, soprattutto nel campo della ricerca, come è già successo in molti campi.

L’inquinamento che avrebbe dovuto distruggere soprattutto le città è stato abbattuto grazie alle multinazionali che hanno creato prodotti migliori e persino fiumi un tempo sporchissimi sono diventati come erano secoli addietro e sto parlando del Tamigi della megalopoli Londra e della Senna della megalopoli Parigi.

Il territorio adibito a foreste è notevolmente aumentato nel corso degli ultimi decenni, permettendo un abbassamento delle temperature e allo stesso tempo un miglioramento generale dell’aria.

 

Gli slogan che dominano invece non riguardano le opportunità che il sistema economico (capitalista) può generare, ma si limitano a formule generali che hanno implicazioni pericolosissime.

A livello economico la pretesa di abbassare la produzione di CO2 comporta una deindustrializzazione e un impoverimento globale che danneggerebbe soprattutto quei popoli che stanno faticosamente uscendo dalla povertà e dalla fame. Si è arrivati così all’assurdo di proporre una decrescita felice, dove l’aggettivo “felice” è completamente ironico.

A livello politico quella proposta presuppone una decisione autoritaria che ricorda i paesi dittatoriali dove le decisioni venivano prese a livello centrale e ciò è possibile solo se si prospetta una situazione di emergenza, anzi catastrofica. Il buon senso della gente è sempre stato la base delle democrazie e difficilmente la maggioranza della popolazione, anche nei paesi “ricchi”, è disponibile non solo a vivere in case più fredde, ma anche a diminuire il proprio livello di vita.

Naturalmente gli slogan servono a poco in una società moderna, aperta e di massa, anche se possono avere effetto su quella parte della popolazione maggiormente emotiva. Occorre però creare anche un metodo che giustifichi certe prese di posizione. È stato così creato il principio di precauzione, per il quale prima di prendere una decisione occorre valutare i rischi; è un principio sensato che appartiene alla storia dell’umanità. Ma si è preteso di più e sotto la pressione dei gruppi ambientalisti l’Unione Europea lo ha introdotto tra i Princìpi dell’Unione e poi lo ha articolato, per cui il ricorso al principio di precauzione è giustificato solo quando riunisce tre condizioni, ossia: 1) l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi; 2) la valutazione dei dati scientifici disponibili; 3) l’ampiezza dell’incertezza scientifica.

Dato il carattere fumoso dei tre punti, la difficoltà ad usarli in modo positivo e la facilità con cui possano essere usati per bloccare iniziative, la Commissione ha poi introdotto quello che è il criterio base di ogni scelta, il rapporto costi-benefici. Nonostante ciò, e il fatto che lo sviluppo della scienza ha cessato di produrre leggi universali, il principio di precauzione è diventato lo strumento con cui si cerca regolarmente di impedire la creazione di importanti iniziative.

Per fortuna da più parti si fa notare che quei criteri vanno contro il principio scientifico della falsificabilità, pretendendo che di fronte a un progetto si debba dimostrare la mancanza assoluta di rischi, cosa chiaramente impossibile.

L’Unione Europea è un organo politico che media le istanze provenienti dalla società civile, ma gli eco-ambientalisti mostrano il loro lato estremista, con azioni illegali e con una campagna sui mass media, che attraverso la diffusione del terrore vuole criminalizzare chi ragiona e opera in modo positivo. Così continua la diffusione di notizie generiche che dall’analisi concreta dei fatti vengono regolarmente smentite, mentre si tacciono gli enormi progressi che la vera ricerca industriale ha realizzato.

Non c’è bisogno di essere negazionisti per criticare la propaganda eco-ambientalista, che si trova di fronte a due principali punti di attrito: 1) la pretesa di concentrare gli interventi sulla radicale diminuzione di rilascio del CO2 legata soprattutto all’uso di energia di origine fossile; 2) il costo di questa politica in quanto tale e le esorbitanti spese a sostegno dell’energia solare ed eolica che, oltre ad essere costose, risultano inefficaci.

Si crea panico nella gente e i sondaggi lo dimostrano, perché i dati vengono presentati senza tener conto del contesto, presentando studi spesso non suffragati in campo scientifico o prendendo in considerazione le previsioni più catastrofiche oppure isolando alcune parti. La mancanza di una visione d’insieme ha un effetto negativo perché orienta verso falsi problemi e false soluzioni e soprattutto si concentra su un unico obbiettivo, la riduzione di CO2 di origine fossile, mentre altre strade sono meno costose e più efficienti. È ormai chiaro che questo approccio non porta molto lontano, visti i risultati di 30 anni di bei propositi da Rio de Janeiro a Kyoto a Parigi.

Non solo i summit mondiali hanno mostrato il loro fallimento, ma anche le previsioni fornite a ripetizione relative alla fine del mondo o della civiltà.

 

Vediamo le previsioni del passato.

Il biologo ambientalista Paul Ehrlich aveva previsto che 1-2 miliardi di persone sarebbero morte di fame alla fine degli anni ’70 e che la fine del mondo sarebbe avvenuta nel 1985.

Altri ancora nel 1974 prevedevano una fine vicina per l’avvento di un’era di ghiaccio, nel 1982 la data di scadenza era il 2000, nel 1989 era il 1992, nel 2006 per Al Gore era il 2016, nel 2009 era il 2017, nel 2019 era il 2020.

Due sono i punti fondamentali che non vengono di norma presi in considerazione: essi riguardano la capacità di adattamento che da sempre ha caratterizzato la nostra specie e l’importanza dello sviluppo economico (facilmente quantificabile in PIL).

In appendice ho riportato alcuni dati utili a meglio comprendere come non si tratta di fare una politica corretta, ma di fare scelte razionali sulla base del rapporto costi-benefici, evitando il panico che nasconde un atteggiamento primordiale e scatena l’emotività, ma le emozioni sono solo il primo stadio della conoscenza e della coscienza dell’essere umano.

 

APPENDICE

Innovazione, ricerca e sviluppo. La storia mostra come i miglioramenti ambientali si sono realizzati grazie alle Nuove Tecnologie.

Es. fine 1800: l’olio per lampade proveniva dalle balene che erano a rischio estinzione; non avvenne grazie all’uso del kerosene.

Es. anni ’60: paesi pieni di smog, ma gli impianti catalitici hanno subito permesso di migliorare l’aria.

Es. anni ’60 e ’70: paesi devastati dalla fame Africa, India, Cina; la rivoluzione verde con nuovi semi, OGM e altre innovazioni hanno permesso di ridurre notevolmente il fenomeno, tanto che ad esempio l’India è divenuta esportatrice di riso.

Oggi: invece di pagare in sussidi al sole e al vento 141 miliardi, basterebbero 100 miliardi nella R&D (Research and Development). Ecco alcune aree di intervento su cui si sta già lavorando ma che rischiano un freno perché la maggior parte delle risorse è rivolta al sole e al vento:

1)il fracking ha ridotto il prezzo di oli e gas, permettendo così agli USA la più grande riduzione nelle emissioni di CO2 nell’ultimo decennio.

2)l’energy storage: la ricerca va oltre le batterie delle auto.

3)il nucleare: Francia e Finlandia stanno investendo per migliorare la sicurezza e il rendimento.

4)la cattura dell’aria inquinata.

5)le alghe trasformate in olio.

5)la fusione nucleare.

 

Adattamento. Nel corso dei secoli abbiamo dimostrato di avere sempre maggiori capacità adattative, grazie anche allo sviluppo e alla tecnologia.

Già l’industria vi provvede (es. in agricoltura la multinazionale Basf sta già intervenendo con le pompe e la Unilever con i gocciolatori).

L’agricoltura si orienterà su prodotti più adatti alle nuove temperature.

Il livello dei mari, cresciuto di 30 cm. negli ultimi 150 anni, può essere controllato con l’aumento delle difese, dove ogni dollaro speso fa risparmiare da 40 a 100 $ di danni; ad es. in Indonesia si sta procedendo al ripristino delle mangrovie che proteggono le coste.

Maggiori piogge richiedono una migliore pianificazione degli insediamenti e possono essere incanalate in aree che, come in Olanda, sono diventate parchi.

Per gli uragani si può procedere a diminuire i danni come è successo in Bangladesh (i morti sono passati da 15.000 fino al 1991 ai 12 dei primi 10 anni del 2000).

Molto si sta già facendo per incendi e colpi di calore come una migliore programmazione abitativa e la diffusione di Aria Condizionata, resa possibile da maggiore ricchezza.

Ingegneria climatica (geo ingegneria). Sull’esperienza dell’eruzione del vulcano Pinatubo del 1991 (biossido di zolfo nell’atmosfera che abbassò per 18 mesi la temperatura di mezzo grado), si propone di spruzzare nell’aria acqua salata che diminuisce il filtraggio dei raggi solari abbassando la temperatura in tempi brevi e non definitivi: secondo lo studio del Copenhagen Consensus la spesa di 9 miliardi di $ per 1900 navi spruzzatrici potrebbe evitare l’aumento della temperatura previsto in questo secolo.

Prosperità. Rendere i paesi più ricchi. Come si è visto per l’aria condizionata e per la crescita di paesi un tempo sottosviluppati, la ricchezza permette un miglioramento delle condizioni di vita e migliori interventi protettivi.

Nel 1953 in Olanda ci furono più di 1800 morti per inondazioni che ruppero i sistemi di protezione allora in uso; lo sviluppo economico ha permesso di investire in un sistema più sicuro. Il Bangladesh è un paese che affronta inondazioni disastrose, se diventasse più ricco potrebbe investire e migliorare la situazione.

Studi sulla Tanzania del 2018 hanno dimostrato che tra le famiglie povere quelle che, pur rimanendo povere, hanno migliorato le proprie condizioni sono riuscite anche a proteggersi meglio dagli eventi climatici dannosi.

 

*Le emissioni di CO2 sono diminuite nei paesi ricchi, ma crescono nei paesi poveri: se gli USA realizzassero emissioni 0 nel 2100 la temperatura scenderebbe di 0,33°F=0,01°C.

*L’inquinamento dell’aria di casa è diminuito grazie all’aumento del benessere.

*L’inquinamento dell’aria esterna aumenta con l’aumento del PIL per poi diminuire grazie all’aumentata ricchezza. Lo stesso per le foreste, abbattute nei paesi poveri e aumentate in quelli ricchi.

*Si dice che il RISCALDAMENTO GLOBALE porterebbe più piogge, ma questo allevierebbe i paesi caratterizzati dalla siccità, mentre più acqua non necessariamente porterebbe a inondazioni perché verrebbe usata per l’agricoltura e l’industria.

*L’immagine dell’orso polare su un isolotto di ghiaccio non è più proposta: il problema sta nella caccia, indiscriminata fino al 1981 e poi regolata, con conseguente aumento del numero degli orsi polari.

*Le ondate di calore che uccidono: colpiscono di più il pubblico perché avvengono in poco tempo, mentre le ondate di freddo uccidono in più giorni; d’altra parte, muoiono più persone per il freddo che per il caldo (negli USA i primi sono il 6,5% del totale dei morti, i secondi lo 0,5%). La ricchezza ha permesso di installare condizionatori facendo diminuire anche i morti per caldo.

*Il pianeta sta diventando più verde grazie al RISCALDAMENTO GLOBALE: le piogge, il rilascio di CO2 e le scelte dei governi (in Cina, per esempio, in 17 anni le aree verdi sono raddoppiate).

*Uno studio belga ha mostrato come il trend dei morti annuali per disastri sia in continuo calo dal 1920 (800.000) al 2019 (20.000) con un calo del 96% in cifra assoluta ma del 99% tenuto conto dell’aumento della popolazione.

*Tutti gli sforzi ufficiali dal 1992 per riparare il cambiamento climatico si sono dimostrati vani: da allora la produzione di anidride carbonica è andata regolarmente aumentando. La crescita economica di molti paesi per uscire dalla povertà è alla base di questo insuccesso.

*Le auto elettriche sono zero emissioni solo quando viaggiano e la ricarica in genere avviene su base di elettricità da petrolio o carbone.

*Gli aerei emettono molto meno di prima (sia per il carburante sia per altre soluzioni tecnologiche e ingegneristiche) e chi rinuncia alle vacanze via aerea cade nel “rebound effect”, il risparmio porta a nuovi consumi che incrementano le emissioni.

*I governi spendono ogni anno 140 miliardi di sussidi per energia solare ed eolica che rappresenta solo l’1%. Nei paesi poveri questo tipo di energia è infinitamente meno efficiente della fossile, fornisce poca energia, in modo volubile e dunque incapace di favorire lo sviluppo produttivo (esempi in India e Fiji) e se si avvale di sussidi sono capitali sottratti allo sviluppo.

*L’Accordo di Parigi nel limitare l’aumento della temperatura di 2C°/1,5C° è un fallimento: ha un costo la riduzione nell’uso di fossili che viene tolto allo sviluppo tecnologico. EU= -320 miliardi. Cina=-200. US=-160. Messico=-80. [totale è -760 miliardi di US$] entro il 2030. Si tratta poi di promesse che è impossibile mantenere come ha dimostrato la Nuova Zelanda.

Diminuire il PIL significa diminuire lo sviluppo e anche la ricerca che è ciò che invece aiuta anche i miglioramenti dell’ambiente.