Nella progettazione la lettera “N” doveva essere coperta dalla parola “Natura”, ma avendone parlato, almeno nelle linee essenziali, nel capitolo “Ecologia” ho preferito spostarmi sulla parola “Natale”, perché regolarmente è oggetto di attacchi etnico-religiosi che non hanno sfiorato neanche gli atei più duri e puri negli anni ’70 del secolo scorso. L’attacco al Natale proviene da una fascia colta del “politicamente corretto” che dipana tutta la sua rete ideologica avvalendosi di un termine equivoco, diffuso a ragion veduta da qualche anno: il termine è “Islamofobia”.
Prima di parlare del Natale in un senso ampio che va al di là della polemica, occorre notare che il termine “Islamofobia” ha avuto le sue casse di risonanza, mentre non si sente parlare di “cristianofobia” nonostante le persecuzioni che quotidianamente i cristiani subiscono in Nigeria, Somalia, Sudan, Egitto, Pakistan, Filippine e nonostante l’identificazione tra Occidente e Cristianesimo li ha portati ad essere la maggior vittima degli attentati degli islamisti. Non si sente parlare neanche di “Ebreofobia” nonostante la maggior parte dei Paesi arabi si sia liberata della popolazione ebraica lì residente da secoli, né si sente parlare di “Induistofobia” o di “Buddistofobia”.
Ancora una volta, come per tutto ciò che proviene dal politicamente corretto, non esiste una logica complessa e conseguente, ma esso crea il nemico di cui ha bisogno per quella pretesa superiorità moralistica che di fatto un giornalista-scrittore come F. Rampini ha chiamato “suicidio dell’Occidente”. Esso è chiaramente il prodotto della stessa cultura cristiana il cui attributo umano principale è il senso di colpa.
Dall’idea profonda che occorre combattere parti del nostro essere ci si è fermati a questo dimenticando che fuori di noi esistono persone e gruppi che non solo vogliono combatterci, ma addirittura annientarci.
Perché il Natale è oggetto di questi attacchi che regolarmente subiamo, in genere dal nostro interno? È naturale che la parola Natale sia legata alla nascita di qualcuno e questo qualcuno è per l’appunto Gesù Cristo a cui si deve l’origine del Cristianesimo. Tutta l’arte moderna è lo sviluppo di quella grande arte che si sviluppò in Europa con la nascita delle culture e delle lingue nazionali; e quell’arte, medievale e rinascimentale, ma anche barocca e oltre, ha come riferimento la Natività, cioè il Natale. Non solo ma, indipendentemente da quanti siano i praticanti cristiani, non c’è dubbio che tutte le caratteristiche della nostra società, delle nostre istituzioni, della nostra cultura siano lo sviluppo di quella nascita.
Ma su questo qualcuno potrebbe obbiettare preferendo la rottura alla continuità, nonostante il fallimento delle idee atee del comunismo e pagane del nazismo.
Ciò che trovo curioso, anomalo, bizzarro e difficile da comprendere è come la nascita di un bambino, per quanto importante da un punto di vista religioso, per giunta crocifisso quando diverrà grande, possa offendere qualcuno: offendere, da ob-fendere, ferire. La cultura occidentale, a differenza di quanto succede nei paesi mussulmani, non impedisce a nessuno di ignorare la nascita di Gesù, sebbene l’Islam lo consideri un Profeta, né impone la partecipazione a un rito cristiano natalizio né tanto meno chiude l’accesso alle moschee durante le festività natalizie.
Per questo si può discutere se chiudere le scuole in occasione del Ramadan (in proporzione meno di un giorno, dal momento che le vacanze di Natale sono 15 giorni e i cattolici dichiarati il 70% mentre i musulmani sono solo il 3,5%).
Discutere invece di abolire il Natale, come ha fatto di recente l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, non ha senso da nessun punto di vista. È come abolire la Festa della Repubblica per non offendere i monarchici, o il 4 novembre per non offendere Austriaci e Tedeschi che sono stati sconfitti.
Non capire il carattere ridicolo di quelle posizioni mi sembra preoccupante.
Lo stesso vale per ciò che è successo lo scorso anno al Parlamento europeo quando la Commissione europea propose di sostituire la formula “periodo natalizio” con quella di “periodo di festività per “ragioni di inclusività”; di fronte alle proteste si difese dicendo che non voleva abolire il Natale. E ci mancherebbe.
Ma l’evento e la difesa sono cosa poco seria. Ipocrisia. Vediamo perché.
Le feste intorno al 25 dicembre esistono perché la data decisiva è il 25 cioè il Natale; se si volesse usare la formula “periodo di festività” dovremmo chiederci perché ci sono delle festività e non possiamo negare che le feste siano legate al Natale: la conclusione logica è che, se vogliamo abolire la formula “periodo natalizio” e introdurre la più semplice formula “periodo di festività“, allora dovremmo creare un periodo che escludesse il Natale, ad esempio dal 1° al 15 dicembre o dal 1° al 15 gennaio. Se vogliamo lasciare le feste intorno al 25 dicembre l’unica soluzione è il riferimento al Natale, storicamente e culturalmente l’unico riferimento serio.
Parliamo ora del Natale in maniera libera che può risultare accettabile da una mente aperta che non crede all’esistenza di Babbo Natale o di chi per lui, dal momento che l’esistenza di un personaggio che porta doni è patrimonio di quasi tutte le culture. Il “politicamente corretto”, come anche molte persone con “i piedi per terra” sanno bene che Babbo Natale non esiste. Vediamo perché sbagliano.
“Certo la parola felicità ha il sapore arcano del mistero e il profumo ridotto dell’infanzia. Felicità porta Babbo Natale, prima che anche lui si dissolva tra le nebbie di una realtà illusoria, eppure chi ha deciso che Babbo Natale debba soccombere? chi ha deciso che le prime parole del Genesi siano realtà? Chi ha deciso che il destino della vita dell’uomo -la morte- comporti automaticamente una vita di dolore? La storia, non c’è dubbio. E la storia non mente. Guerre, carestie, epidemie, fame, violenze, vita breve, torture, malattie, dolore del corpo e della mente: questa è la storia dell’uomo. Viviamo nella risacca della storia. E non siamo riusciti ad adeguare la nostra mente e la nostra anima a una storia che ha –comunque- abbassato i toni. Babbo Natale è morto, ma nulla impedisce che possa risorgere; dipende da noi creare le forme che ne permettano il ritorno. E le parole diventano centrali in questo lavoro di ricostruzione e resurrezione.
È un po’ la storia di Babbo Natale, di cui molti genitori di oggi si affrettano a dichiarare la non esistenza, non accorgendosi che per salvare una verità ne distruggono migliaia. Non voglio qui negare il carattere ambiguo ed equivoco della frase incriminata, ma la verità che si vuole salvare (in Babbo Natale non esiste) è qualcosa di superficiale e materiale, che nel momento in cui viene affermata, incatena, confina, delimita l’individuo. Babbo Natale, pur nella evidente non-verità materiale, ha dentro di sé verità spirituali che invece di porre limiti e barriere aprono le porte dell’infinito. La loro negazione non corregge il carattere ambiguo ed equivoco di cui ho parlato, come la rivoluzione bolscevica non ha cancellato il sentimento religioso. È da Babbo Natale che invece dobbiamo partire: semplicemente perché ci appartiene come noi apparteniamo a lui e ci con-forma come abbiamo fatto noi.
Come insegnante ho sempre fatto lezioni su Babbo Natale che nascevano dalla comprensione di qualcosa di diverso dai due poli (esiste-non esiste) e ricadevano su quella stessa comprensione, arricchendola. Aprirsi alla dimensione spirituale. Ho impiegato anni a com-prendere, a prendere insieme dentro di me, quale sia il senso della parola “spirituale”. Mi mancavano le basi culturali e la fede assoluta per potermi anche solo avvicinare a questa parola che continuo ancora ad accompagnare con il termine “dimensione” (de-mensus, de-metiri, cioè misurare) pur sapendo che lo spirituale non si misura. D’altra parte, il termine “non misurabile” è “immenso”, ma da troppo tempo a questa parola è stato dato il valore di superficie molto, ma molto grande. Lo spirituale, come l’infinito, non è il numero più alto a cui possiamo arrivare con l’aggiunta di uno. Voglio dire che lo spirituale non è qualcosa di molto, molto lontano dal materiale, né in lunghezza né in altezza né in profondità né in quarte o quinte dimensioni. Ci portiamo dietro, anzi dentro di noi, un filtro che vede soprattutto corpi e materia. Questo vale sia per la filosofia antica occidentale con i quattro famosi elementi sia per quelle culture che il luogo comune crede spirituali come quella indiana. Ed è comprensibile che l’uomo che per secoli ha lottato per sopravvivere abbia sedimentato un non rinunciabile, geneticamente ologrammatico, riconoscersi come corpo e materia. Il punto non è dunque quanto rifiuto della materia e del corpo le diverse culture, cioè i diversi popoli nei diversi tempi, hanno saputo qua e là elaborare. Tutti, indistintamente, hanno saputo affiancare elementi di allontanamento e/o rifiuto rispetto al corpo e alla materia. E non è un problema di pesi e misure o di percentuali: dai sacerdoti greci ai mistici cristiani, dai santoni indù ai sufi e ai dervisci, dai buddisti hinayana alle monache di clausura. In generale però questo percorso al di là della materia significava svalorizzazione del corpo e della materia. Per poter pensare in termini spirituali e valorizzare tutto ciò che potesse leggersi come non materia e non corpo, era necessario combattere il corpo e la materia. Ho detto in generale, con qualche eccezione forse. Gesù, in primo luogo, che essendo Dio e uomo, uomo e Dio ha posto quel rapporto in termini di conciliazione e incontro. Anche se ha lasciato ai posteri il compito principale, quello di sviluppare questo nodo. Aggiungerei infine Nietzsche con il suo “restare attaccati alla terra”. E il suo predecessore-seguace, il Baudelaire de Il viaggio.
Quando in gioco sono differenze come quella che esiste tra volontà di potenza materiale e volontà di potenza spirituale cosciente, allora il dialogo risulta impossibile. È qui che la distanza rispetto all’individuo collettivo può sospingere ai margini. Ma è proprio da questi margini che si possono scoprire cose inattese e spesso stupefacenti. È da questi margini che riprende consistenza la figura dolce di Babbo Natale e l’amore si colora di sfumature intense ed eteree allo stesso tempo.”
Babbo Natale non solo porta regali, ma è lui stesso un regalo.