Ciò che segue è una mia recensione al libro di H. Abdel-Samad “IL CORANO: messaggio d’amore, messaggio di odio”, (Ed. Garzanti, 2018). Ho deciso di riportare il testo della recensione perché fornisce in maniera non ideologica e assolutistica un approccio razionale al tema.
Molte persone rimangono confuse da ciò che leggono in merito al Corano e ho sentito più persone dire: devo leggerlo per rendermi conto. Ottima scelta, ma occorre anche comprendere il contesto, la genesi e l’uso di questa importante opera. Il libro di Samad fornisce alcune prospettive utili nella comprensione del testo. Un professore dell’Università pubblica Al-Azhar del Cairo ha dichiarato nel 2013 che l’autore era un eretico e che doveva essere ucciso; nello stesso anno lo sceicco egiziano Assem Abdel Maged ha dichiarato una fatwa contro il pubblicista, un invito cioè a tutti i musulmani a uccidere lo scrittore.
Al termine svilupperò alcune riflessioni, che penso necessarie per una comprensione più ampia e profonda.
Ogni volta che si affronta il tema dell’Islam immediatamente escono fuori due posizioni contrapposte, come se non fosse possibile effettuare una discussione abbastanza serena, senza il bisogno di demonizzare l’altra parte. Parlare dell’Islam porta subito ad affrontare il tema del suo libro sacro, il Corano, voce araba per “Recitazione” come Bibbia è voce greca per “Libri” e Vangeli voce sempre greca per “Annuncio”.
Le posizioni che si scontrano tendono a rimanere abbastanza rigide e chiuse in se stesse.
Da un lato ci sono i mussulmani conservatori che dicono che il Corano è un libro che parla di amore e di pace: citano dei versi del libro e si convincono di avere ragione.
Dall’altro lato ci sono i critici che invece sottolineano che nel Corano domina l’odio e la voglia di distruggere tutti coloro che sono fuori dalla religione diffusa da Maometto: anche questi citano dei passi ed effettivamente sembra che abbiano ragione. Curiosamente questi sono gli stessi passi che l’estremismo islamico rivendica a sé e al mondo per legittimare la guerra santa da loro intrapresa.
Non sono mussulmano, ma come liberaldemocratico sono perché ognuno possa professare la religione che preferisce, mantenendo però separati l’aspetto politico e quello religioso. Mi farebbe piacere che questo avvenisse senza polemiche e serenamente e senza pretendere un incontro che inevitabilmente è impossibile. È impossibile cioè trovare una strada comune dentro le diverse religioni, ma può esserci un terreno comune al di fuori, che ne garantisca l’esistenza e la libertà: è su questo terreno, quello delle regole, che penso il dialogo.
Qui però sorge subito un grosso problema: mentre Bibbia e Vangeli sono libri umani che parlano di Dio, il Corano è un libro divino che parla degli uomini.
Il libro di Abdel-Samad è interessante perché non pretende impossibili condanne né impossibili trasformazioni, ricordando alcuni elementi che possono essere accettati senza compromettere minimamente i punti nodali della religione islamica.
“Le sure furono rivelate a Maometto oralmente e il Profeta le diffuse allo stesso modo tra i suoi seguaci, assieme alla storia della propria vita. Non ci fu alcun documento scritto” (pag. 12). Fu Uthman (Othman), terzo dei califfi successori di Maometto, a raccogliere le narrazioni frammentarie del Corano in un corpus unico. La rivelazione dell’Arcangelo Gabriele a Maometto, comunemente accettata, risale a una biografia di Maometto fatta 130 anni dopo la sua morte e in ogni caso “Il Corano venne rivelato non in un mese, bensì in un periodo durato 22 anni tra il 610 e il 632 d.C. nelle due città di Mecca e Medina” (pag. 13).
Dentro l’Islam si sono avuti pensieri non univoci e non solo con la nascita dello Sciismo, che si presenta ancor più integralista, ma con versioni più aperte come con il Sufismo, o grazie a religiosi come Taha che chiedeva di procedere a una riforma, ma che fu giustiziato in Sudan come eretico nel 1985.
In molti dentro l’ortodossia riconoscono comunque che il Corano ha molte facce, perché in esso si trovano indicazioni contrastanti e contemporaneamente sono molti gli aspetti che vengono affrontati. Esiste una parte documentaria, una parte legislativa, una parte lirica, principi etici generali e versetti spirituali. Non c’è dubbio, dunque, che la sua composizione non solo non fu incisa nella pietra come le Tavole di Mosè, ma fu il risultato di un processo che vide coinvolti, nell’inserimento come nella sottrazione di paragrafi, sia Maometto sia altri personaggi importanti. Il fatto, che fu il risultato di un processo, ne rileva il carattere storico e per questo Abdel-Samad ritiene fondamentale contestualizzare il libro per potersi districare dentro le evidenti differenze presenti nel testo: queste differenze fanno sì che, per evitare di riconoscerne il carattere umano, si ottenga l’effetto opposto, quello per cui esso diventa strumento di individui o gruppi, che estrapolano le parti coerenti con i loro obbiettivi.
L’invito dello scrittore è quello di sottoporre a una analisi critica il testo seguendo alcune indicazioni che si trovano nello stesso Corano (es. Sura 2,44).
La proposta di Abdel-Samed è interessante perché fatta dall’interno della religione islamica e riconoscendone il valore, non è un Cavallo di Troia per distruggerla, al contrario è un modo per rivitalizzarla.
Egli ricorda che l’ordine dei vari passi del Corano non è di tipo cronologico, per cui ricostruirne la dinamica temporale dovrebbe rappresentare il punto di partenza per una revisione e un approfondimento.
L’analisi dello scrittore egiziano non è nuova e si basa sul fatto che la distinzione di quanto proposto da Maometto prima alla Mecca e poi a Medina comporta un diverso atteggiamento del profeta rispetto all’impegno comunitario.
“Quando era debole e oppresso predicava la pace, la libertà e la convivenza, perché i deboli dipendono sempre dalla tolleranza altrui. Ma, una volta giunto al potere, dimenticò ciò che aveva predicato e adottò un tono aggressivo.” (pag. 70).
“Alla Mecca questa comunità (i seguaci di Maometto) era ancora debole e oppressa: non avendo alcuna possibilità di difendersi con le armi, dovette arrangiarsi per sopravvivere. Lo scenario fu diverso a Medina, dove gli immigrati mussulmani, sotto la guida di Maometto, costituirono un esercito forte e vittorioso. Di qui la mutata considerazione dell’uso della violenza…Le sure dell’ultimo periodo medinese inneggiano alla violenza” (pagg. 11-12).
Questo aspetto è chiarito facendo riferimento al testo. “Secondo il Sahih di al-Bukhari (hadith n.4329) la sura 9 fu l’ultima a essere rivelata. Pertanto, viene considerata una sorta di manifesto nel manifesto…La sura inizia con l’abrogazione unilaterale di tutti gli accordi di pace stipulati in passato con i miscredenti…Al termine dei mesi sacri Maometto e i suoi avrebbero dovuto uccidere tutti gli infedeli “(pag. 101).
Il ricorso a un ragionamento filologico e cronologico permetterebbe di aprire nuove porte e nuovi ponti, come avvenne in campo cristiano durante l’Umanesimo, ad esempio, con la “Falsa donazione di Costantino”. L’Islam recupererebbe il senso della propria fede e della propria missione evitando che singoli individui o gruppi si approprino di questa o quella parte del testo sacro.
“Se si vuole considerare il Corano intoccabile, e giudicare qualsiasi critica nei confronti del testo come un attacco ai propri sentimenti, si aiutano involontariamente i fanatici che in nome del Corano uccidono e perseguitano i cristiani. Se invece si accetta di aprire il Corano alla critica e alla ricerca, allora, forse, c’è speranza di cambiare…Il Corano contiene due messaggi: l’amore e l’odio. Spetta solo ai mussulmani scegliere quale abbracciare. I terroristi credono di essere coraggiosi quando si fanno esplodere in nome di Allah, del Profeta e del Sacro Libro. Ma sarebbero molto più coraggiosi se smettessero di considerare il Corano intoccabile e universalmente valido” (pag. 198).
Il libro va letto per ricondurre la riflessione sull’Islam su un binario diverso da quello corrente, un binario in cui possano scorrere entrambi i treni. Non sarà facile entrare in quest’ottica e non solo da parte dei fedeli dell’Islam, ma anche da parte dei cristiani che indubbiamente in questo periodo storico sono i più colpiti per la professione della loro religione. Lasciando da parte le polemiche strumentalizzate per fini politici come quella relativa al c.d. popolo palestinese, esistono principi che possono garantire il libero esercizio della propria fede. Come messo in evidenza dall’autore con una quantità enorme di citazioni, nel Corano si può trovare di tutto, dall’esaltazione dell’amore all’odio più spietato. Non si tratta né di giustificare né di criminalizzare questo libro sacro, ma questo è possibile solo cambiando prospettiva.
Ecco perché tra i numerosi libri che affrontano questo argomento il libro di Abdel-Samed rappresenta un riferimento decisivo e non può rimanere nel silenzio delle nostre anime.
OLTRE IL LIBRO
Quando l’autore scrive che nel Corano possiamo trovare dichiarazioni contraddittorie dice il vero e lo si evince facilmente da una lettura integrale del Testo Sacro. Un esempio è dato dal termine “jihad” che in alcune parti è l’impegno che si richiede al credente per una professione più attenta e responsabile della propria fede, mentre altrove esprime chiaramente la guerra santa contro gli infedeli, ebrei e cristiani in primo luogo.
Discutere quale sia la giusta interpretazione risulta essere un lavoro del tutto inutile che serve solo a giustificare la propria tesi.
Per questo motivo l’analisi filologica fatta da Abdel-Samed è già un buon punto di partenza. Ritengo però importante aggiungere alcuni elementi, di cui si parla poco.
Il comune fedele mussulmano non ha il permesso di interpretare il Corano come meglio crede, ma segue le indicazioni dei vari mullah e imam a cui fa riferimento. Il principio comunitario è fondamentale, per cui la moschea non è solo il luogo di preghiera, ma soprattutto un luogo di riferimento e di identificazione; poiché nella più parte dei paesi islamici la struttura economica è abbastanza primitiva anche se la tecnologia è arrivata ovunque, essa si è inserita in una cultura più che millenaria in cui la subordinazione religiosa si è propagata e rafforzata. Il termine “Islam” significa “sottomissione” e questo è ciò che si chiede al fedele: la sottomissione ad Allah certamente, ma non può che essere mediata dal clero. D’altra parte, la religione non si è mai separata dal potere politico e anzi ne è diventata uno strumento fondamentale: le élite, anche quando si richiamano a principi democratici, non si allontanano mai dalla rete di potere costruita nei secoli nei villaggi e nei quartieri delle città, dove il clero esercita il ruolo di cerniera tra il popolo e le istituzioni. Alcuni fattori storici e culturali esprimono le difficoltà di far nascere quell’islam moderato richiamato da un numero purtroppo limitato di studiosi mussulmani.
A differenza dei Vangeli, scritti dai quattro evangelisti, il Corano è stato dettato da Dio. Metterlo in discussione significa bestemmiare Dio.
Mentre già nel 1300 Dante parlava di due soli, utili ma separati, la Chiesa e l’Impero, nel mondo islamico religione e politica sono sempre rimasti strettamente uniti, fino a sostituire la legge politica con la legge religiosa, la Sharia, come in Iran, a Gaza, in Afghanistan.
A parte qualche intellettuale mille anni fa, la cultura islamica ha sempre ruotato intorno alla religione, frenando la libertà individuale, così che ancora oggi esistono autorità religiose che dichiarano le fatwe, condanne a morte, contro gli studiosi ritenuti non conformi.
In nessun paese islamico c’è stata una rivoluzione femminista tale da mettere in discussione il potere costituito e consolidato.
In questo quadro il Corano come voce di Dio diventa lo strumento con cui si perpetua il potere clericale.
Questa situazione rende estremamente difficile l’affermazione di un Islam moderato e coloro che se ne fanno propugnatori vengono isolati, ma spesso condannati e minacciati di morte. In questo contesto il dialogo è possibile solo a partire da presupposti generali comuni come la separazione tra politica e religione e riconoscere il valore della così detta islamofobia significa cedere a un ricatto che impedisce un reale dialogo: in fondo nei paesi in cui è presente una società aperta e uno Stato di diritto nessuno nega ai mussulmani di esercitare la propria fede. Cosa che non succede a ebrei e cristiani nella maggior parte dei paesi islamici.