Già nel 1948 alcuni studiosi come Seth Arsenian avevano messo in evidenza il ruolo della disseminazione in Medio Oriente di idee naziste coniugate con l’Islam, considerando ciò un vero e proprio spartiacque. In effetti la tendenza alla modernizzazione nel mondo islamico sembrava il dato predominante, ben oltre l’esperienza radicale fatta in Turchia da Kemal Atatürk. Diverse iniziative al più alto livello erano state prese da diversi Sultani nell’Impero Ottomano già nel 1800 e nei primi decenni si era realizzata la scomparsa della Sharia in Turchia e in Iran, e un suo ridimensionamento in Egitto, mentre l’atteggiamento verso gli Ebrei che migravano sempre più in Palestina era in generale positivo perché avrebbero rivitalizzato la società. Nel 1923 nacque addirittura una Società Femminista Egiziana.
Questa fase terminò di fatto con la guerra del 1948 ed è testimoniata dall’esodo di ben 800.000 ebrei dai paesi mussulmani, 800.000 rifugiati di cui l’ONU non si è mai occupato a differenza dei palestinesi che godono dello stato di rifugiati ancora dopo 75 anni. Ma tant’è.
Questa svolta probabilmente ebbe anche altre componenti, ma sicuramente va riconosciuto il ruolo della diffusa propaganda nazista che aveva sposato i principi religiosi dell’Islam.
Molti studi, ma soprattutto molte inchieste e ricerche sul campo mostrano questa comunione in modo chiaro ancora oggi con una tendenza alla sua crescita. Un’inchiesta del 2018 fatta in arabo su Internet produsse i seguenti risultati: alla domanda “Cosa pensi di Hitler?” metà dei partecipanti rispose in modo favorevole con frasi del tipo “Il più coraggioso uomo del mondo; ha fatto un solo errore, non aver bruciato tutti gli ebrei” oppure “Un grande eroe; ha cercato di spazzare via gli ebrei per salvare il mondo” ecc. Alcuni di questi elogi sono documentati a livello di massa nelle riunioni collettive presso le Università palestinesi, come riportato anche nella foto introduttiva di questo articolo. Gli esempi sono numerosi e li possiamo trovare in diversi tipi, ad esempio nella rubrica “Ammirazione di Hitler e del Nazismo” nel sito https://palwatch.org/main.aspx?fi=655
La grande filosofa Hanna Arendt, uno dei massimi studiosi del totalitarismo del XX secolo, quando ci fu il processo a Adolf Eichmann nel 1961 che le ispirò il capolavoro “La banalità del male”, scrisse quanto segue: “I giornali a Damasco e Beirut, al Cairo e in Giordania non hanno nascosto le loro simpatie per Eichmann né il rammarico che non abbia potuto portare a termine il suo compito (di totale sterminio degli ebrei, ndr). Una trasmissione radio del Cairo all’apertura del processo aveva lanciato una frecciatina ai tedeschi, rimproverandoli che “nell’ultima guerra nessun aereo tedesco aveva bombardato un insediamento ebreo”.
Gli studiosi Litvak e Webman hanno pubblicato nel 2009 un libro dal titolo “Gli Arabi e l’Olocausto” dove mostrano come il mondo arabo difendesse l’Olocausto, o ne negasse l’esistenza; e la sua giustificazione è sempre stata espressa apertamente a livello dei circoli più influenti, politici e culturali. Questo aspetto è ormai diventato essenziale dell’identità di quelle popolazioni.
Ci sono tre aspetti che procedono congiunti e che il mondo arabo vive e riproduce regolarmente, come un’eredità genetica: 1) negazione dell’Olocausto, 2) liquidazione di Israele, 3) demonizzazione degli Ebrei. Metterne in discussione uno fa crollare il programma e così il Mondo Arabo procede attraverso menzogne sempre più diffuse e audaci (basta vedere il giudizio sul 7 ottobre 2023 e le reazioni successive).
Se questo è comprensibile (non giustificabile) in un mondo segnato dall’ossessione religiosa, non lo è assolutamente in Occidente dove vivono il pensiero critico, la società aperta, le istituzioni libere; eppure, ci sono studiosi che giustificano quelle idee soprattutto perché “frutto dell’oppressione subita dall’Occidente” (sic!). Ne consegue che l’Olocausto viene relativizzato e cessa di essere uno spartiacque di civiltà, ma un caso come i tanti di oppressione che anche i paesi del Medio Oriente hanno subito ad opera del colonialismo europeo. Così in Germania si propone di dare nelle scuole meno spazio all’Olocausto e affrontare di più il fenomeno colonialista, vista la grande presenza di immigrati. Vera deriva del pensiero: in Germania la grande maggioranza di immigrati è di origine turca, ma i turchi non sono mai stati una colonia, semmai a loro si deve lo sterminio degli Armeni, dei Curdi e l’oppressione coloniale maggiore di quelle regioni.
Deriva del pensiero.
La libertà di cui si pregia l’Occidente ha provocato non solo il sonno della ragione di cui parlava Goya, ma anche una serie di atteggiamenti privi del benché minimo senso logico. Questi sono frutto di codardia (come a Monaco 1938 quando fu aperta la strada a Hitler), frutto di un moralismo che in nome della libertà rinuncia alla sua storia perché la libertà non è qualcosa di indistinto e invece si basa su scelte; frutto di un equilibrismo culturale che invece di combattere i propri nemici li legittima.
Nonostante l’Occidente, e in particolare le sue radici giudaico-cristiane, siano state l’oggetto, in Israele e in tutte le parti del mondo, di aggressioni, distruzioni, massacri, morti individuali per opera di Stati, Organizzazioni e Individui che dichiarano di agire “In nome dell’Islam”, nonostante tutto ciò l’attenzione istituzionale è rivolta all’islamofobia: follia istituzionale. Se critico il burka sono islamofobo, se invece viene sgozzato un prete o un professore o fatta esplodere una sinagoga (Buenos Aires), un metro (Madrid), un Hotel (Bombay), una discoteca (Bali) o ucciso qualche europeo per strada, e tutto questo è dichiarato “In nome dell’Islam” nessuno parla di cristianofobia o di ebreofobia. Tutti a gara in occidente a dire che “tutto ciò non ha nulla a che fare con l’Islam”. Qualche clerico mussulmano dice che non si tratta di veri mussulmani, ma la maggioranza trova sempre delle giustificazioni: il colonialismo, lo sfruttamento, il razzismo fino alla natura impura degli ebrei.
Molti studiosi, invece di partire dalla realtà della storia e dalla sua complessità, leggono i fenomeni storici alla luce di astratti principi morali, per cui l’Islam è una religione come le altre e si insiste anche quando viene fatto notare che induisti di varie confessioni, buddisti, confuciani, taoisti, shintoisti, fedeli di culti popolari cinesi convivono nei paesi occidentali senza creare conflitti, mentre sono le comunità islamiche quelle che non sanno e non vogliono integrarsi.
Perché?
Küntzel riconosce tre motivi, che chiunque è in grado di comprendere.
1)ASSOLUTEZZA. Solo l’Islam rivendica che ogni parola del Corano proviene direttamente da Allah. Ciò significa che ciò che il Corano dice degli ebrei non è legato al contesto, ma una verità assoluta.
2)SUPERIORITA’. Il Corano è “Il Libro eterno” (43/4) che ha corretto gli errori degli Ebrei e dei Cristiani. Lì è la verità assoluta che non può essere messa in discussione.
3)IL MODELLO SOCIALE. Diversamente da Gesù, Maometto non ha sofferto il martirio ma ha ottenuto il potere. Così mentre nel Cristianesimo Politica e Religione sono separati, nell’Islam sono fusi: la vita sociale e politica deve rispondere al Corano, ispirata ai dettami di Allah (Sharia).
Si potrebbero aggiungere anche altri motivi, ma questi tre sono sufficienti a comprendere le difficoltà dei mussulmani a vivere in paesi laici e la non celata aspirazione a imporre nel tempo la Sharia anche da noi.
Come fa notare uno studioso islamico in Germania, Abdel-Hakim Ourghi, ogni giorno ogni mussulmano ripete nella preghiera per 17 volte la Sura 1/7; è il verso in cui si parla dell’ira di Allah contro gli Ebrei. Beh! Con queste premesse perché sminuire l’antisemitismo islamico?
Pochi sono però gli studiosi che riportano in un contesto storico le parole del Corano ed è soprattutto nelle Moschee che si diffonde l’interpretazione radicale coinvolgendo un numero sempre crescente di aspiranti terroristi, seminatori di odio, grazie all’influenza dei Salafiti e dei Fratelli Mussulmani. Solo la Francia ha avuto il coraggio di espellere quegli Imam la cui predicazione era apertamente incitazione all’odio, mentre la Germania acconsente ancora che gli Imam provengano dai paesi islamici e siano privi di controlli.
Non mancano nel mondo islamico persone che hanno avuto il coraggio di dichiarare che la causa delle sofferenze palestinesi non sta negli Ebrei, ma nel rifiuto degli stessi a una politica di mediazione, col rifiuto persino di una partizione estremamente vantaggiosa come quella del Piano Peel del 1937 che attribuiva agli Ebrei solo il 20 % della regione. Tra questi vengono citati A. Al-Nesf, ex-Ministro Kuwaitiano, M. Al-Sudayri, scrittore Saudita, Z. Al-Muharrami, intellettuale dell’Oman, A. Gargash, Ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, e persino di un Ministro Palestinese e membro di Fatah, Nabil ‘Amr.
Naturalmente hanno sempre trovato un fuoco di sbarramento e continuano a subirlo.
Molti al potere nei paesi mussulmani, infatti, devono rispondere a una massa di persone la cui alfabetizzazione è avvenuta nelle moschee, con pochi concetti e tanti slogan, semplici da comprendere e facili da ripetere.
Il problema di un Islam riformato non si pone solo in Asia e in Africa, ma anche nel cuore dell’Europa dove soprattutto i giovani, che trovano nelle moschee un forte elemento di socializzazione, rimangono invischiati nella propaganda islamica radicale. Numerose inchieste e continui sondaggi mostrano che la narrazione di questi giovani mussulmani si limita a ripetere gli slogan che abbiamo visto finora: dobbiamo uccidere gli ebrei perché hanno ucciso mussulmani, come è scritto nel Corano; gli ebrei vogliono impadronirsi di tutto il Medio Oriente e dobbiamo fermarli. La mancanza di un’analisi storica e la precedenza data alla religione rispetto alle norme di un paese libero creano un circolo vizioso da cui non c’è uscita. La comunità mussulmana in Europa ha approfittato delle maggiori opportunità economiche, ma è rimasta ferma, rigidamente ferma, sui propri dogmi estremisti, avvantaggiati dall’attitudine di paesi liberali e democratici a permettere la libertà di parola e organizzazione. E, nonostante i risultati spesso drammatici del terrorismo islamico in Europa, solo da poco e in modo molto debole ci si pone il problema, anche se non si sa come affrontarlo.
Esemplare in questo senso la libertà di espressione che esiste nei paesi occidentali e la sua assenza in tutti i paesi islamici: da noi critica, satira e ironia sono parte del tessuto sociale e culturale, mentre, pur con diversi gradi, tutto ciò non è riscontrabile nei paesi islamici del Nord Africa e del Medio Oriente. E le trasmissioni che provengono dalla Turchia, dall’Iran, dal Libano, da Gaza ecc. continuano a riproporre il semplice schema che nell’etere si diffonde e raggiunge i giovani mussulmani in Europa. Abbiamo visto reporter di Al-Jazhira essere membri di Hamas, come pure i discorsi sulla TV di Gaza Al-Aqsa che continua col ricordare che l’Olocausto è una cospirazione degli Ebrei che così si sarebbero sbarazzati degli ebrei vecchi e malati.
È un continuo incitamento all’odio che non ha mai smesso di propagarsi dall’epoca di Radio Zeesen e che coinvolge paesi che non hanno mai avuto storicamente problemi con Israele come la Turchia e l’Iran e che in varie forme finanziano i movimenti terroristi anche nel centro dell’Europa dove i governi evitano di controllare e favoriscono la crescita di Moschee e Centri Culturali Islamici.
In nome dell’Islam si compiono massacri e atrocità e molti governi e uomini politici europei continuano a predicare un dialogo che, quando è da una sola parte, non è un dialogo, ma come molti cominciano a dire solo “sottomissione”.
6) EPILOGO
Abbiamo visto nel corso dei precedenti 5 capitoli come l’odio per gli ebrei risale al Corano e che nessuna riforma è stata da allora applicata, con un incremento esponenziale a partire dal 1937 quando è uscito il libro “Islam e Giudaismo”. Dal 1937 al 2009 l’odio per gli ebrei e la necessità della loro distruzione non si è interrotta; in questo anno del XXI secolo il leader religioso islamico arabo-egiziano Mohammed Hussein Ya’kub, molto presente su Internet, ha dichiarato alla televisione egiziana Al-Rahme TV: “Se gli Ebrei dessero indietro la Palestina, dovremmo cominciare ad amarli? Certamente, no! Li combatteremo, li conquisteremo e li distruggeremo finché non un solo ebreo rimarrà sulla Terra”.
Naturalmente non esistendo libertà di espressione a nessuno è permesso criticare le tanto meno su un tema come questo: chi non fosse d’accordo deve stare attento a tenerselo per sé.
Come fa notare lo storico Küntzel espressioni così forti non si riscontrano nel XIX secolo e rappresentano l’eco e la lunga scia della propaganda nazista avviata a partire dal 1937. Uno studio del 2014 fatto dalla Lega Anti-diffamazione ha mostrato che il 75% degli intervistati in Medio Oriente e Nord Africa era d’accordo con le posizioni antisemite. Nelle regioni asiatiche non raggiunte da Radio Zeesen la cifra scende al 37% e lo stesso avvenne in Bosnia-Herzegovina che non ebbe quelle trasmissioni.
L’ossessione, la paranoia, il circolo chiuso della religione assolutista evitano, come è ovvio, un confronto con la storia: si nega la storia di Israele e la sua presenza in Palestina, nonostante i resti anche archeologici oltre ai documenti scritti; si diffondono le pagine dei Protocolli dei Savi di Sion, che gli studi hanno da decenni mostrato che si tratta di un falso creato dalla polizia zarista.
La storia del Medio Oriente poteva andare diversamente, ma ha seguito un percorso che non è stato né necessario né casuale, ma il frutto di scelte del mondo arabo, comprese le sue élites che hanno accettato di farsi infettare dall’odio per gli ebrei.
In Occidente si continua a parlare di dialogo, di bilanciamento, di mediazione, ma, si chiede lo storico, come è possibile mediare o bilanciare o dialogare quando è in gioco l’antisemitismo? E conclude con una frase profetica di Thomas Mann nel 1941: “Chi non è contro il male, con passione e tutto il proprio essere, è più o meno a favore del male” (lettere, 1937-1947).