- ROBERTO GRAZIANO: I ghiacci si stanno sciogliendo?
Tanta propaganda è stata fatta sullo scioglimento dei ghiacciai a causa del riscaldamento globale di origine antropica, ma è un terreno scivoloso da affrontare. Se si volesse operare polemicamente basterebbe citare la ricerca danese che ha mostrato come in un anno (1922-1923) la calotta glaciale della Groenlandia ha guadagnato 600 miliardi di tonnellate di nuova neve; il punto è che un anno è un tempo meteorologico non climatico. Inoltre, va ricordato come i ghiacciai hanno una dimensione tridimensionale, per cui i dati proposti riguardano in genere la superficie e non la profondità. Significativo il caso del ghiacciaio del Calderone nel Gran Sasso che ha visto una fortissima riduzione, facendo gridare alla catastrofe: recentemente è stato scoperto che il ghiacciaio presenta uno strato non visibile di ben 25 metri.
Le oscillazioni in più o in meno come quelle della Groenlandia e del ghiacciaio italiano sono eventi naturali e ricorrenti che sono sempre avvenuti e sempre avverranno con o senza l’uomo.
Sono significativi i dati dei ghiacciai svizzeri che hanno iniziato a ritirarsi l’ultima volta e a velocità sostenuta già a partire dal 1856-1859. Appare evidente che la CO2 rilasciata dall’uomo non può essere considerata responsabile, dal momento che questo rilascio subisce un’impennata ben un secolo dopo.
Torniamo alla Groenlandia: l’aumento della neve è in linea con i valori dei 4 decenni precedenti e anzi segnano una crescita di 50 miliardi rispetto ai valori del periodo 1981-2010. Le misurazioni satellitari dell’intera regione artica, regolari dal 1976, mostrano che dal 2006 l’estensione dei ghiacci è stabile con un’espansione significativa a partire dal 2018, che ha permesso il recupero di quanto perduto prima del 2006.
Questi dati; eppure, dopo i Nobel ad Al Gore e all’IPCC continuano gli allarmismi catastrofici, basati su proiezioni elaborate su ipotesi e non sui dati reali, come ogni ricerca scientifica dovrebbe fare.
Lo studio dei ghiacci della Groenlandia mette in evidenza altri aspetti che smentiscono le teorie sul disastro di origine antropica: è stato mostrato come il ritiro dei ghiacci (precedente al 2006) non avesse riguardato la superficie, cioè la parte a contatto con CO2, ma le parti periferiche, quelle a contatto con gli oceani che risentono dei movimenti e delle fluttuazioni regolari dell’Oceano Atlantico che risentono dell’attività solare.
Da un lato ipotesi e proiezioni, dall’altro la ricerca sperimentale che usa i dati a disposizione applicando il metodo scientifico sapendo che il clima è uno dei più complessi sistemi; l’individuazione della CO2 di origine antropica come causa del riscaldamento globale non solo è riduzionista, ma è una tesi del tutto infondata e ce lo dicono numerose prove, di tipo sia fisico sia geologico sia astrofisico sia paleoclimatico.
I dati provenienti dalla Groenlandia mostrano come l’andamento delle concentrazioni di CO2 e metano (CH4) è stato del tutto indipendente da quello delle temperature per tutto l’Olocene, cioè da 11.000 anni: all’aumento naturale di CO2 e CH4 corrisponde una diminuzione della temperatura e viceversa.
Altrettanto infondata è la tesi che ci troviamo di fronte a un picco termico che non ha precedenti nella storia umana: l’Oceano Artico fu privo di ghiacci nell’ultimo picco termico (tra 129.000 e 115.000 anni fa), periodo in cui la temperatura era maggiore di quella attuale di 5° e i mari più alti di 6-9 metri. A quei tempi (periodo Eemiano) non si bruciavano combustibili fossili e la CO2 era di 280 ppm (contro i 415 attuali).
Se poi ci spostiamo nell’emisfero meridionale i dati ci dicono che i ghiacci antartici sono in aumento. Quando si parla di riduzione si evita di mettere in evidenza che, come nell’Artico, essa riguarda alcune periferie dove il riscaldamento è provocato dai movimenti delle acque profonde, mentre per quanto riguarda i ghiacciai occidentali la loro riduzione è il frutto dell’attività di circa 150 vulcani attivi sottostanti. I dati recenti sempre più precisi mostrano che la superficie dei ghiacci antartici nel loro complesso sta aumentando da più di 40 anni a una media di circa 22.250 kmq. Anche la regione occidentale nei recenti dati (2022) evidenzia un aumento seppur in misura minore: nel periodo 2009-2019 di circa 5.305 kmq.
Nonostante ciò, si continua a recitare il vecchio mantra allarmista e catastrofista.
Il Premio Nobel per la pace, il politico Al Gore, affermò nel 2008 che la calotta polare artica sarebbe scomparsa entro il 2013 a causa della CO2 immessa dall’uomo nell’atmosfera: anche questa previsione non si è verificata. I dati mostrano che la banchisa artica si è ritirata tra il 1969 e il 2009 per poi fermarsi e cominciare a crescere. Al Gore e i catastrofisti hanno ignorato la complessità e ciclicità dei fenomeni legati al clima e si sono limitati a immaginare che la linea iniziata nel 1969 proseguisse regolarmente negli stessi modi e con gli stessi tempi.
Purtroppo, scienziati e politici sanno che tra il 2000 e il 2020 si è registrato un “warming slowdown”, cioè un rallentamento del riscaldamento globale e sanno anche che tra il 1940 e il 1980 in corrispondenza della massima accelerazione di immissioni di CO2 le temperature del pianeta andarono a picco facendo temere l’inizio di una nuova piccola Era Glaciale, analoga a quella registrata tra il 1500 e il 1800.
Ancora una volta l’allarmismo e il catastrofismo sono scelte politiche senza un riscontro sui dati. Il Segretario dell’ONU, il tristemente famoso Guterres, nel luglio 2023 dichiarava che ormai non si doveva parlare di riscaldamento globale ma di ebollizione globale, con “bambini spazzati via dalle piogge, famiglie in fuga dalle fiamme, operai che crollano sotto il caldo” (sic!).
La parte finale del breve saggio riguarda la contrapposizione tra una pseudoscienza che si basa su una visione semplicistica e riduzionistica, partendo da alcuni dati statistici per elaborare previsioni e tendenze univoche e la scienza che opera in modo sperimentale tenendo conto di diversi fattori che devono essere visti nel loro insieme. Viene ricordata la differenza tra la meteorologia che opera sul breve e brevissimo periodo e lo studio del clima che agisce sulla base di decenni e oltre. La ricerca scientifica ha dimostrato ad esempio che sul lungo periodo non solo le variazioni di temperatura sono indipendenti dalle variazioni di CO2, ma che hanno preceduto e innescato, non seguito e subito, quelle della CO2. Troppe variabili non vengono prese in considerazione, trascurando gli sviluppi della ricerca scientifica in campo astrofisico e astronomico per quanto riguarda la regolare variazione dell’attività solare; allo stesso tempo si tralasciano i contributi della geologia che ha scoperto da tempo le tracce dei processi climatici di natura ciclica nel profondo passato della Terra, e anche il potente influsso sul clima e sulla vita di enormi processi interni alla Terra come il vulcanismo e il magnetismo.
Forse sarebbe giunto il momento di prendere atto di tutto ciò e avviare serie, credibili, praticabili politiche di intervento per aumentare le difese dell’uomo invece di demonizzarlo proponendo uno stravolgimento dei suoi comportamenti: l’uomo è sempre riuscito a superare i fenomeni naturali più distruttivi attraverso una politica di adattamento che ha permesso di migliorare le condizioni di vita per la maggior parte della popolazione.
Per un riferimento dettagliato alle tesi citate ci pensa la bibliografia al termine del saggio: cinque pagine e mezzo con ben 57 lavori usati per lo sviluppo del testo.