- ARTURO RASPINI: Variazioni del livello marino: scompariranno le città costiere?
Negli anni ’70 del 1900 gli ecologisti prevedevano una nuova glaciazione, oggi invece a causa del riscaldamento globale si evocano scenari apocalittici con la scomparsa delle città costiere e di molte isole coralline.
Sarà vero? Si chiede l’autore.
Una premessa: l’Organizzazione Meteorologica Mondiale definisce il clima come la media metereologica su almeno 30 anni.
Le ricerche sui fondi marini hanno mostrato l’alternarsi di fasi climatiche calde e fredde nell’arco degli ultimi 5000 anni. Sinteticamente: 1) fase calda 4500 anni fa; 2) fase fredda 4000; 3) fase calda 3200; 4) fase fredda 2600; 5) fase calda fino al 400 a.C. (è qui che Annibale poté varcare le Alpi con gli elefanti); in questo periodo le acque del Mediterraneo erano più calde di almeno 2° di oggi e i ghiacci della Groenlandia meno estesi; 6) fase fredda fino all’800 d.C.; 7) fase calda fino al 1300; 8) Piccola Era Glaciale tra il 1500 e il 1850; 9) da allora una fase più calda. Nella Piccola Era Glaciale si raggiunse il minimo tra il 1645 e il 1715 quando la diminuzione dell’attività solare portò al minimo termico.
Come il clima anche il livello del mare oscilla da sempre e le comunità evolvendosi vi si sono adattate: durante il periodo interglaciale, tra 129.000 e 116.000 anni fa, il mare era più alto di 6-9 metri e la temperatura di 2-4° con punte di 6°; dalla fine del massimo glaciale, 20.000 anni fa, il mare si è sollevato di 120 metri. Non c’erano industrie né tutto quello che oggi è visto come la causa unica del prossimo venturo disastro: fu la fine di quelle glaciazioni con un riscaldamento globale che permise la nascita di una diffusa agricoltura con tutto ciò che ne consegue, cioè l’avvio della storia dell’umanità.
L’IPCC, cioè l’ONU, prevede un aumento di 1,5° entro il 2050 e un innalzamento dei mari di 20-30 cm; ne conseguono le immagini catastrofiche di coste inondate e, poiché queste aree sono le più densamente popolate, di intere città trasformate in mega-acquari.
Come si è visto, queste previsioni sono solo proiezioni che si basano su modelli che sono incapaci di leggere la complessità del clima, dal momento che non prevedono molteplici variabili.
Come in tutti i campi relativi al clima, anche qui le proiezioni trasformate in previsioni hanno mostrato il loro fallimento: un report commissionato dall’ONU a Oxford aveva previsto che nel 2010 ci sarebbero stati ben 50 milioni di rifugiati climatici, a causa soprattutto dell’innalzamento del livello del mare spingendo intere popolazioni ad abbandonare le coste del Pacifico e dei Caraibi. Curiosamente non solo non c’era traccia di tutta quella gente ma si erano registrati fenomeni inversi: l’aumento di 50.000 unità alle Bahamas, l’aumento della popolazione in altre isole destinate alla scomparsa (S. Lucia +5%, Seichelles +6.500, isole Salomone +100.000). In compenso quegli studiosi hanno spostato al 2020 le loro proiezioni e, come sappiamo, anche queste nuove previsioni si sono dimostrate fallimentari. Lo stesso per le Maldive che hanno un’elevazione massima di 2 m.s.m.: nonostante l’IPCC prevedesse una scomparsa di queste isole, in un’intervista del 2007 sull’EIR (Executive Intelligence Review) il Professor Morner dell’Università di Stoccolma, autorità riconosciuta nel settore a livello mondiale, dichiarava che le proiezioni erano una falsificazione dei dati attuata col computer e non trovavano riscontro nella realtà. I suoi studi hanno mostrato che negli ultimi 30 anni il livello delle acque alle Maldive era sceso di 20-30 cm e che negli ultimi 800-1000 anni gli abitanti delle Maldive sono sopravvissuti a un livello delle acque maggiore di 50-60 cm. Altre organizzazioni come la C40 che riunisce sindaci sparsi un po’ ovunque hanno diffuso uno studio dell’Università di Leeds che prevede entro il 2050 un innalzamento addirittura di 50 cm.
Fino a 7.000 anni fa si è avuto un innalzamento significativo e costante, mentre da quella data la crescita si è drasticamente ridotta assumendo un andamento lineare: risulta impossibile attribuire all’emissione di CO2 da parte dell’uomo questo andamento, costante prima e dopo la rivoluzione industriale.
Se prendiamo ad esempio i dati del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) relativi all’area di San Francisco, questi non evidenziano accelerazioni dal 1850 ai giorni nostri.
Molto spesso vengono presentate proiezioni che non tengono conto delle numerose variabili in gioco sia naturali (sole, vulcani, correnti marine) sia strumentali (miglioramenti tecnologici, differenze tra periferie, coste, satelliti), ma è successo anche che molti dati siano stati falsificati come è successo con il Climategate del 2010, scandalo che ha diffuso il contenuto di e-mail di scienziati IPCC intenti a falsificare verso l’altro i valori delle temperature terrestri.
Come succede anche in molti altri campi, alcuni studi catastrofisti trovano un’enorme amplificazione a livello di mass media, i quali però, quando quelle elucubrazioni vengono smentite, fanno finta di niente.
Nessuno, o quasi, più ricorda la diffusione catastrofista fatta dalla stampa internazionale più prestigiosa negli anni ’70 del 1900 quando si diffondevano gli studi di esperti che parlavano dell’approssimarsi di una Nuova Era Glaciale.
Lo studio delle oscillazioni del livello marino è complesso e ancora più complessa è il suo collegamento con l’immissione di CO2 nell’atmosfera da parte dell’uomo: certo è però oltre a quanto detto in precedenza il livello del mare risulta stabile dal 1800 alle isole Fiji e agli atolli di Tuvalu, mentre dati molto recenti fatti su 13.000 isole sparse nel mondo mostrano un’espansione delle terre sul mare.
Ancora una volta sono i dati che fanno la differenza e questi dati, per quanto non completi, indicano che la strada da seguire più ragionevole e basata sul rapporto costi-benefici non è quella di costringere intere popolazioni ad abbandonare la strada del benessere che lo sviluppo ha permesso, ma è quella che l’uomo ha sempre realizzato, quella cioè della capacità di adattamento. Rispetto al passato ci troviamo con una migliore base di partenza, perché possiamo usare la ricchezza prodotta per interventi mirati a una maggiore protezione della vita delle persone (Nessuna decrescita è felice, ndr).