• MARIO GIACCIO: Transizione energetica o transizioni finanziarie? Follow the Money.

Non tutti lo sanno ma la CO2 si compra e si vende.

In Europa la CO2 prodotta è diminuita del 28,7%, mentre le emissioni a livello mondiale sono cresciute del 63,3% (tra il 1990 e il 2022); già questa cifra rende conto della visione utopistica del nostro continente.

Nel 1997 fu fatto un accordo a Kyoto con cui si cercava di sensibilizzare le nazioni sull’emissione di CO2 e ciò avveniva attraverso due canali:

1)Il commercio dei permessi di emettere CO2 (ETS), per cui, fissato un limite di emissioni, le aziende possono acquistare i permessi di emissione da aziende che producono meno CO2: la FIAT Chrysler Automobili, ad esempio, ha acquistato da Tesla nel 2017 crediti per un valore di 280 milioni di dollari e nel 2018 per 103 milioni di dollari;

2)Il meccanismo per lo sviluppo pulito (CDM), che permette ai produttori di CO2 di finanziare progetti di riduzione di emissioni in altri Paesi, in modo da compensare le proprie: per esempio piantando eucalipti in paesi come il Brasile col finanziamento dell’Inghilterra. Questo sistema in effetti non riduce l’emissione complessiva e ha creato problemi a causa dell’inserimento forzato.

Si tratta di certificati simili ad azioni, che possono essere scambiati nel mercato: la Commissione Europea fissa i limiti per ogni Stato e ogni Stato li trasferisce alle imprese attraverso aste. Ogni certificato dà diritto a chi lo compra di immettere nell’atmosfera l’equivalente di una tonnellata metrica di CO2: nel 2023 il valore era di 100 euro, nel 2024 di 60.

Di fatto si tratta di una tassa in più che grava sulla produzione.

L’autore spiega in modo abbastanza dettagliato il fenomeno e i suoi sviluppi; qui io mi limito a un brevissimo riassunto. Negli ultimi anni i risultati sono stati modesti da un punto di vista delle emissioni di CO2 legate a questi strumenti, tanto che è intervenuta la finanza perché vi ha visto una buona opportunità di guadagno: il mercato ha cominciato a sbilanciarsi dal punto di vista dell’offerta mentre l’acquisto di quei buoni non trovava più interesse.

Nel frattempo, le ultime iniziative hanno unito ideologia e finanza. Le varie Conferenze ONU (Parigi, Glasgow e altre) hanno spinto verso una “finanza green” con la sostituzione del mercato con l’intervento dello Stato: “Abbiamo bisogno che i governi aiutino a portare a termine il lavoro, con politiche ambiziose che possano indirizzare gli investimenti dove è necessario” (N. Topping, Governo inglese). Questo è un punto essenziale, perché lo sviluppo delle fonti rinnovabili è legato ai sussidi di stato, senza i quali non ci sarebbe più convenienza all’investimento green, visti gli elevati costi di produzione.

Un metodo per incentivare gli investimenti green e migliorare l’ambiente è stata la creazione degli ESG (i criteri di misurazione delle attività ambientali, sociali e della governance di una organizzazione): più è alto il valore di un’azienda in questi tre ambiti e più l’azienda è green. Il mercato dopo un inizio favorevole si è scontrato con realtà fallimentari: un esempio è dato dall’inevitabile allontanamento dei capitali da imprese legate al petrolio, che non è una buona cosa come sembrerebbe, perché ne hanno tratto vantaggio Russia e Cina con danno conseguente per l’Occidente (economico e di sicurezza). Così negli ultimi anni si è visto un peggioramento, registrato anche dall’ISTAT che segue questo andamento. Nel 2022 si sono registrate fughe di investitori dai principali Gruppi finanziari come Black Rock e Vanguard, mentre l’indice che tratta le fonti energetiche tradizionali è cresciuto del 54%.

Conclusioni

Le energie alternative (eolico, fotovoltaico) sopravvivono grazie ai sussidi forniti dagli Stati e, nonostante ciò, non riescono a decollare: in Italia in 20 anni è aumentata la potenza installata, ma le ore di funzionamento degli impianti sono rimaste le stesse, proprio perché sole e vento non sono costanti.

Lo stesso a livello mondiale: così l’energia elettrica prodotta da eolico e fotovoltaico rappresenta l’11% contro il 70,5% derivata da combustibili fossili e nucleare.

Ignorando la realtà, la Conferenza COP28 a Dubai nel dicembre 2023 ha deciso di triplicare eolico e fotovoltaico entro il 2030; il che per l’Italia significa spendere 100 (cento!) miliardi di denaro pubblico (più la spesa per l’eolico), comunque permanendo scarsità e discontinuità delle due fonti.

Esempio concreto delle prospettive è dato dalla Germania, che dal 2004 al 2019 ha speso 500 miliardi per la transizione energetica, ma il fabbisogno di energia elettrica continua a riferirsi ai combustibili fossili per ben il 76,2%.