IL PASSATO DI UN’ILLUSIONE – L’idea comunista nel XX secolo- di F. Furet
(Mondadori 1995)
Ritengo utile parlare di questo libro perché affronta soprattutto “la storia dell’illusione del comunismo”, visto soprattutto che, nonostante le informazioni a valanga sugli orrori dell’Unione Sovietica, ancora molte persone continuano a vagheggiare il comunismo, nelle forme ideali che si sognano o nelle forme reali tipo Venezuela. François Furet è stato uno storico di fama internazionale che, come quasi tutti gli intellettuali francesi, è stato affascinato dal comunismo, con il quale si è identificato tra il 1949 e il 1956.
Come storico Furet si è formato sulla Rivoluzione francese e per questo i suoi studi sul comunismo sono ancora più precisi e pertinenti, perché un altro dei suoi tanti meriti è stato quello di aver collegato l’esperienza giacobina con quella sovietica.
Il libro è ricco di informazioni e riporta fatti, spesso già conosciuti ma nascosti, e altri ottenuti di prima mano grazie all’apertura degli archivi dopo il crollo del comunismo. Furet inserisce questi avvenimenti dentro un quadro più ampio che coinvolge il pensiero e i sentimenti delle persone chiedendosi come sia stato possibile che un sistema così cruento e criminale abbia potuto avere un seguito nelle menti e nei cuori di milioni di persone. Se si tralascia la violenza con cui il comunismo si è potuto reggere in Unione Sovietica e altrove, l’aspetto più inquietante è nel fatto che abbia avuto un numero sterminato di sostenitori in Occidente, dove erano presenti quella libertà e quel benessere che nei regimi comunisti mancavano del tutto.
Come già aveva scritto Hanna Arendt, il fenomeno non può essere visto in modo isolato, ma nell’insieme dei regimi totalitari che sono sorti nello stesso periodo e in relazione alla Prima Guerra Mondiale. Come per la studiosa tedesca anche per Furet i punti di contatto più significativi sono tra nazismo e comunismo, tanto che, come metteranno in evidenza altri storici, Hitler per i suoi campi di lavoro si sarebbe ispirato ai gulag sovietici. Il fascismo italiano fu meno rivoluzionario, salvando il ruolo della Monarchia (che poi avrebbe destituito Mussolini) e della Chiesa, con cui stipulò un Concordato. Ancora oggi purtroppo, anche se soprattutto a livello popolare, si tende a fare di tutta l’erba un fascio, dimenticando che, come alla fine quasi tutti gli studiosi riconoscono, quello fascista fu un “totalitarismo imperfetto”.
Intellettuali e popolo si sono ritrovati uniti intorno a un sentimento che spira da secoli: l’odio per la borghesia. Si tratta di un odio che è andato di pari passo con la crescita della borghesia stessa e si è potuto diffondere proprio grazie a quella libertà di cui la borghesia era portatrice. “La borghesia è l’altro nome della società moderna”. Contro di essa si erano mossi già rappresentanti importanti come San Francesco e non c’era stato secolo che non avesse visto i suoi grandi alfieri. L’esplosione dell’industria e del mercato nel 1700 se da un lato ha permesso lo sviluppo della democrazia, dello Stato di diritto, di un crescente benessere, ha visto anche un’opposizione sempre più marcata, a cominciare da quei giacobini che inaugurarono un regime dirigista e repressivo a cui le dittature del 1900 si sono ispirate.
La paura contro la speranza, l’odio contro la costruzione. La rivoluzione come incapacità di gestire razionalmente gli eventi della storia. E qui comincia a depositarsi la mistificazione, di cui non solo Marx è il principale responsabile: la diffusione della cultura e l’aumento dell’alfabetizzazione hanno permesso una maggiore consapevolezza, ma, col progredire di questa, ne cresce una di segno opposto: il mito da sempre evocato di un’Età dell’oro, di un Paradiso Terrestre porta all’esaltazione della Rivoluzione purificatrice. Il movimento, la trasformazione, l’individualismo di cui la borghesia è portatrice sono attaccati da chi sogna il ritorno al passato e da chi illude di un futuro radioso, dove l’Età dell’oro è sostituita dal Sol dell’Avvenir. Bastano poche parole: da un lato Dio, Patria, Nazione e dall’altro Uguaglianza, Popolo, Felicità. Il Nazismo sarà al potere per poco più di 10 anni il comunismo in URSS per 70 anni con propaggini in altri Paesi. Due dittature, ma una limitata al particolare mentre l’altra propugnatrice del Bene Universale: è su questo che l’inganno si compie. Come non essere d’accordo con la Pace, la Libertà, la Democrazia, la Felicità, l’abolizione dello sfruttamento? Solo che mentre queste sono le virtù pubbliche i vizi privati, cioè la vita quotidiana degli individui è terrore e abominio: Guerra, Oppressione, Dittatura, Tristezza, Miseria, Catene è ciò che è riservato alla stragrande maggioranza del popolo che sopravvive. La dittatura del proletariato di cui parla Marx lascia il posto alla dittatura del partito. Come è possibile che milioni di europei siano caduti nel tranello? Obbedienti ai loro leader intellettuali non sono abituati a discutere e quegli intellettuali giocano su due piani consueti: le difficoltà della vita e la speranza della salvezza. E’ un po’ come la lotteria, con la differenza che nella lotteria dei premi reali ci sono, mentre nella Rivoluzione nulla è certo. Non mancarono voci dissonanti, di persone che avevano visto con i propri occhi, ma furono criminalizzate con lo stesso sistema usato per combattere i critici in patria. La fede appartiene all’uomo e chi ne è dotato non può dubitare, perché anche una sola crepa fa crollare l’impalcatura. Bolscevismo e nazismo si sovrappongono: “Il potere politico ingloba ogni sfera dell’esistenza, dall’economia alla religione, dalla tecnica all’anima”. In Francia, in Spagna si ripete quanto è successo in Germania e in URSS: l’illusione che la presenza popolare nelle strade sia una valorizzazione degli oppressi. Come dice persino Simone Veil “con la rivolta gli operai si sono riappropriati della propria umanità” e ne identifica le fonti cristiane e democratiche.
Si tratta invece di macchine ed esperimenti sociali che portano alla più piena disumanizzazione; si cerca di sopravvivere e di non essere stritolati e ci si convince che il Sistema è inattacabile. In Occidente gli intellettuali fanno a gara per esaltare “le magnifiche sorti e progressive” e Charlot ironizza sul capitalismo con l’operaio alla catena di montaggio, ironizza sulle velleità di Hitler che gioca col mappamondo, ma nulla ha da dire sull’Unione Sovietica. Eppure intellettuali come Aron aveva criticato “le possibilità offerte dall’universalismo rivoluzionario, che non consente di comprendere le rivoluzioni contemporanee, siano esse fasciste o comuniste, ma anziché chiarirle le travisa. Sul piano pratico invece di preparare alla lotta gli uomini delle democrazie, li disarma, spingendoli alla retorica e al moralismo e, allontanandoli dalle realtà economiche e militari, impedisce la riforma delle istituzioni”.
Stalin detta la linea e in Occidente si ubbidisce, tanto che a un certo punto chi non è comunista è fascista: se ne accorgeranno in Spagna e l’accusa di fascismo sarà il marchio che continuerà a bollare chi si rifiuta di riconoscere il glorioso futuro preparato dal comunismo. Non solo ma il termine “antifascismo” diventa la medaglia di cui fare sfoggio per nascondere la natura oppressiva e criminale del comunismo.
Come dirà Orwell: tutti antifascisti, ma nessun antitotalitario.
Dopo la guerra le voci crescono, come quella determinante di Hanna Arendt sulla natura del totalitarismo, ma gli intellettuali, pur abituati al ragionamento, non riescono proprio a capire. Un netto dissenso si avrà, ma parziale, solo dopo il 1956, anno dell’invasione dell’Ungheria: evidentemente gli inganni in Cecoslovacchia, le rivolte operaie a Berlino Est non erano stati sufficienti. Sotto accusa è lo stalinismo non il comunismo e addirittura pregiati filosofi come Sartre inneggeranno alla Rivoluzione Culturale Cinese.
Il libro di Furet sfiora le 600 pagine e accompagna il lettore negli avvenimenti storici mettendo in evidenza il sostrato culturale che ha portato alla loro legittimazione. Il crollo dell’Unione Sovietica e in generale del Comunismo è la fine di un’illusione, di un fantasma, di una scommessa che ha riportato gli uomini con i piedi per terra. Forse come con la morte di Dio anche con la morte del comunismo gli uomini si ritrovano soli a dover fare i conti con se stessi per dare un senso sia alla propria esistenza individuale sia alla propria dimensione sociale. Mai come ora gli uomini si trovano più liberi, autonomi e responsabili: sempre più individui e sempre più esseri sociali.
Il fallimento del comunismo “obbliga a ripensare vecchie convinzioni della sinistra, a cominciare dal famoso senso della storia con cui il marxismo-leninismo aveva pensato di fornire una garanzia scientifica”. Alcuni intellettuali, come Popper, avevano illustrato “le miserie dello storicismo”, ma solo dopo il crollo del comunismo l’idea che la storia vada in una determinata direzione cessa di avere quel successo di pubblico che ci ha portato al disastro.
Il fallimento del comunismo obbliga a fare i conti con la realtà, che è fatta di tutti quegli elementi che l’ideologia comunista aveva demonizzato: la proprietà privata, il mercato, i diritti dell’uomo, il costituzionalismo formale, la separazione dei poteri: qualsiasi cambiamento deve partire da questi elementi. Non esiste nessuna scorciatoia.
Il fallimento del comunismo fa crollare anche quella visione messianica che anima l’uomo da sempre, creando miserie danni dolori e ritardi: “l’idea di un’altra società è diventata quasi impossibile da pensare e d’altronde nel mondo di oggi nessuno avanza la minima traccia di un nuovo concetto sul tema.”
Il libro parla del comunismo, ma rappresenta una lezione profonda anche per tutti coloro che si fanno portavoce, dentro la società globale, di ansie e fantasie, di sogni e purificazioni, caratterizzate da una visione estremizzante.
L’integralismo islamico è una forza che va combattuta, ma che non ha spazio. I rischi maggiori vengono da una visione ecologica astratta, da una visione economica che criminalizza lo sviluppo, da quelle forze politiche (in parte anche al governo) che considerano superato il sistema parlamentare.
Il fallimento del comunismo ci ha insegnato questo, soprattutto, a diffidare dei grandi proclami e dei salti nel buio.