Nei secoli successivi al XIV il tema dell’amore, ormai codificato nelle forme e nelle dinamiche costitutive che abbiamo visto, si consolida e diventa sempre più il tema di maggior interesse nel mondo della letteratura.
Non è possibile seguire in modo analitico le diverse tappe soprattutto per il fatto che la progressione si fa esponenziale con la diffusione, sempre più ampia a partire dal XIX secolo, di un nuovo genere che diventerà il genere per eccellenza: il romanzo.
E’ un’esplosione che lascia senza fiato.
Così per gioco metto qui di seguito una serie di nomi che vogliono solo essere indicativi di come questo processo sia andato consolidandosi allo stesso tempo che si diffondeva. Dall’Orlando Innamorato del Boiardo all’Orlando Furioso dell’Ariosto alla Gerusalemme Liberata del Tasso ai poeti barocchi spagnoli (Gongora e Quevedo) e inglesi (Shakespeare e Donne) ai poeti italiani come Michelangelo e Marino, alla Pléiade e a Corneille, Racine, Molière, al recupero per il teatro soprattutto delle relazioni “amorose” della tradizione classica fino all’esplosione del romanticismo europeo, soprattutto inglese e tedesco. Da questo momento in poi non ha più senso buttare giù dei nomi se non rilevare il carattere innovativo nelle forme e nei contenuti di una letteratura che si presenta sempre più rivoluzionaria e trasgressiva.
Naturalmente questa è solo una carrellata veloce che insiste sul fatto che sempre di più l’amore entra nella letteratura come protagonista e, se per alcuni secoli è stata la poesia ad affermarsi sulle orme dichiarate del petrarchismo, poi sarà il romanzo a prendere il sopravvento misurandosi sia con tematiche interiori sia presentando al grande pubblico lati non sempre noti della condizione amorosa.
Si tratta di un vero e proprio mare magnum dell’amore, ricco di stereotipi che sono la trascrizione dei comuni comportamenti degli esseri umani quando dalle loro bocche esce la parola amore.
Di tutto e di più.
Desiderio sessuale, farfalle nello stomaco, pensieri, mistero, autonomia, impegno, delusione, noia, angoscia, passione, sogno, incubo, allucinazione, felicità, matrimonio, figli, interessi, investimento, fedeltà, tradimento, vergogna, sensi di colpa, estasi, fantasie, piacere, desiderio, anima, cuore, sentimenti, comunicazione, bellezza, integrità, dolcezza, coerenza.
Poiché anche il cocktail più apprezzato non si può fare con troppi ingredienti, le parole che ho citato sono solo una parte di quello che circola negli animi di chi si dice innamorato e lo fa in modo ora lento ora veloce, ora fluido ora corrugato. Eppure tutto ciò che si manifesta in quelle forme appartiene al quadro nuovo che la parola amore ha disegnato a partire dall’anno Mille della nostra era; e questo è vero sebbene ognuno ci tenga a esaltare la propria specificità e la propria condizione, dichiarata come unica e assoluta. La conseguenza è che, non vedendo la radice comune, la miriade di casi è affrontata come un problema tecnico in termini di causa-effetto: ogni problema ha la sua soluzione.
Ad infinitum.
Possiamo dire dunque che con la fine del XIV secolo il quadro strutturale dell’amore è non solo delineato, ma confermato e conformato; da allora si sveleranno molteplici aspetti che arricchiscono quel quadro rendendolo più com-prensibile e avvicinabile, senza però alterarne la struttura.
Un elemento che forse aggiunge qualcosa di significativo alla creazione dell’amore lo dobbiamo a una certa poesia religiosa che ritroviamo ad esempio nella messicana Suor Inès de la Cruz e nello spagnolo San Juan de la Cruz. Non è una vera e propria novità, perché la nascita dell’amore così come lo conosciamo fu possibile proprio grazie alla dimensione religiosa. La donna angelicata che nella Divina Commedia diventa addirittura un angelo, il continuo riferimento al fatto che l’amore apre le porte del Cielo sono elementi necessari perché l’amore non sia più solo erotismo. Negli autori citati però c’è qualcosa di più: l’identificazione dell’amato con Dio.
Questo aspetto può essere ridotto a un gioco, ma così facendo se ne perde la qualità. Dio è l’amato ed è amato come Dio, senza dubbio; ma le parole usate vanno al di là dell’estasi mistica e mostrano la caratteristica terrena dei due religiosi. San Juan de la Cruz ad esempio scrive una poesia dal titolo “Fiamma viva di amore: Canzoni che l’anima fa nella intima unione con Dio suo amato sposo”.
Ecco alcune strofe:
Oh llama de amor viva,
que tiernamente hieres de mi alma en el màs profundo centro!, pues ya no eres esquiva, acaba ya, si quieres; rompe la tela de este dulce encuentro. Oh cauterio suave! …. Oh làmparas de fuego En cuyos resplandores Las profundas cavernas del sentido, Que estaba oscuro y ciego, con extraños primores calor y luz dan junto a su Querido! … Cuàn manso y amoroso Recuerdas en mi seno, donde secretamente solo moras, y en tu aspirar sabroso de bien y gloria lleno cuàn delicadamente me enamoras!
|
Oh! fiamma d’amore viva, quanto teneramente ferisci la mia anima nel centro più profondo! Poiché non sei più sfuggente finisci ora, se vuoi; rompi il tessuto di questo dolce incontro.
Oh! gentile cauterio! …. Oh! lampade di fuoco nei cui bagliori Le profonde caverne dei sensi, che erano oscuri e ciechi, danno calore e luce con strane bellezze vicino al suo Amato! … Quanto mite e amorevole Ti svegli nel mio petto dove segretamente solo dimori, e nel tuo alito gustoso pieno di bene e gloria con che delicatezza mi fai innamorare!
Da Poesìa completa, Ed. Ambito, 1994, pag 123. Trad. mia
|
In Sor Juana Inès la presenza dell’amato terreno è maggiore, ma essa si nutre dell’amore che l’amato Divino è capace di far sentire, così che non è solo l’essere umano che si apre a Dio per conto proprio, ma ciò avviene perché questo amore terreno è costruito in un modo quanto più vicino all’amore per Dio.
A Cristo Sacramentado, día de comunión
|
A Cristo Sacramento, giorno di comunione
Dolce amante dell’anima, bene sovrano a cui aspiro, tu che sai punire le offese in benefici; magnete divino che adoro: oggi ti guardo di così buon auspicio, che mi favorite nell’audacia di poterti chiamare mio: oggi che in unione amorevole sembrava al tuo amore che se tu non fossi in me non bastava stare con me; oggi che per esaminare l’affetto con cui ti servo sei entrato tu stesso al cuore di persona, chiedo: è amore o gelosia un esame così attento? Perché chi registra tutto dà indizi sospetti. Ma ahimè, barbara ignorante, e di quanti errori ho parlato, come se l’ingombro umano ostacolasse la lince divina! Per vedere i cuori non è necessario assisterli, che per te sono evidenti le viscere dell’abisso. Con un’intuizione presente hai nel tuo registro il passato infinito fino al presente finito. Allora non ne avevi bisogno per vedere il mio petto, se lo guardi con saggezza, entra per guardarlo bene. Dunque è amore, non gelosia, quello che vedo in te.
Da Poesìas escogidas, Ed. Aguilar, 1990- pag.31-32 Trad. mia
|
Troppo spesso negli ultimi decenni si è insistito sul concetto di liberazione sessuale, lasciando in secondo piano il tema dell’amore, anzi mescolando i due campi in modo che un fenomeno che ha permesso alla donna di rompere tabù secolari è diventato qualcosa che ha permesso ai due sessi di liberare pubblicamente (oltre che privatamente) le proprie fantasie erotiche, allargandone sia la gamma sia il coinvolgimento sia l’intensità.
La letteratura, come sempre è successo, aveva anticipato tutto: ha anticipato l’amore, ma ha anticipato anche l’erotismo che spesso si prolunga (secondo molteplici canoni) in un concetto nuovo, quello di pornografia. Ho detto la letteratura, ma andrebbe allargato il riferimento anche all’arte come la pittura incaica, pompeiana, greca, cinese, indiana hanno mostrato.
Tre piccolissime citazioni per capire di cosa si parla.
Per quanto riguarda la letteratura ecco tre esempi.
Catullo: “Da me lo prenderete in culo e in bocca / passivo Aurelio e Furio brutto cinedo /…da me lo prenderete in culo e in bocca” (Carme 16).
Pietro Aretino: “Ch’io per me nella potta, in culo ho il foco, / e quanti cazzi han muli, asini e buoi / non scemeriano nella mia foia in poco.”
Bukowski: “Barney le prendeva il culo mentre lei me lo succhiava; Barney finì per primo, le mise l’alluce su per il culo, lo dimenò, le chiese ‘ti piace ‘sta mossa eh?’ ma lei non potè rispondere subito. Mi fece arrivare in fondo. Poi bevemmo per un’ora o giù di lì. Poi sul buco di culo mi piazzai io. Barney si prese la bocca” (Compagno di sbronze, pag.169, Ed. Feltrinelli 1979)
Ma lasciamo perdere questo aspetto, perché vorrei parlare di un libro scritto in piena rivoluzione sessuale post-’68, da un autore che andava molto di moda (insieme a Deleuze e Guattari) in quegli anni e che a differenza di teorici dell’antropologia, della sociologia e della psicologia registrava quell’universo di cui ci stiamo occupando, l’amore. Quell’universo era allora simbolo da distruggere perché espressione di cultura borghese e il più grande vincolo alla liberazione delle persone soggiogate in tutte le manifestazioni dal potere: dietro l’amore c’erano il matrimonio, la famiglia, la società patriarcale, l’oppressione quotidiana e storica della donna e tante malefatte simili.
Grazie al crollo di tanti miti (il più grande dei quali è stato certo il comunismo) ormai sappiamo che il rivoluzionario, quello che crede nella rottura storica evitando di fare i conti con la continuità delle radici, non lascia tracce di sé, ma solo rovine.
L’autore in questione è Roland Barthes che, anche in piena era della Contestazione, ha sempre mantenuto una riflessione autonoma, discutibile quanto si vuole, ma difficilmente ideologica. Il libro a cui mi riferisco è Frammenti di un discorso amoroso, pubblicato da Seuil nel ’77 e da Einaudi nel ’79. Ho trovato subito interessante questo libro perché fonde realtà e letteratura, mettendo a nudo in maniera quasi autoptica la realtà delle relazioni amorose. Allora la liberazione sessuale aveva confuso i nuovi passi percorsi con orizzonti da raggiungere per arricchirsi finalmente con le pentole dell’oro che in fondo all’arcobaleno si trovano per definizione. La liberazione sessuale, femminile e maschile, era la strada per il comunismo ideale, mentre il comunismo reale condannava all’obbrobrio e alla galera gli omosessuali e obbligava le famiglie al duro lavoro e all’indigenza.
In questo quadro Barthes scrisse un libro che parla dell’amore, di cui vengono letti i numerosi strati che lo compongono, senza nessuna pretesa, ma di fatto (e forse in modo inconsapevole) obbligando chiunque in seguito avrebbe voluto parlare d’amore a fare i conti con le sue manifestazioni. Il suo è un dis-corso, cioè “un correre qua e là, le mosse, i passi, gli intrighi” (pag. 5), non un’enciclopedia né una Summa: non è Il capitale né la Bibbia né Fenomenologia dello Spirito o il Che fare.
E’ il punto di partenza che dipana la matassa dell’amore, offrendo al lettore il gomitolo pronto per produrre l’abito preferito.
La prima sensazione alla lettura delle numerosi voci, in cui il discorso sull’amore è composto, è abbastanza repulsiva, perché contraddice di fatto tutta l’aureola con cui la relazione amorosa è di norma presentata. Come può essere che l’amore, il fondamento riconosciuto da tutti della felicità, sia ciò che troviamo nelle pagine dello studioso francese? Eppure dobbiamo riconoscere che quanto scritto e descritto corrisponde al vero, lo abbiamo vissuto e ci appartiene.
La repulsione si trasforma in disagio, perché Barthes ha ragione, ma noi non possiamo rinunciare alla Fede nella cosa più bella che la vita ci offre: quanti soldati hanno continuato a combattere pensando all’amata, quanti emigranti hanno potuto sopravvivere in terre straniere grazie all’amore!
Le grandi fedi sono difficili da crollare e, quando questo succede, lasciano più un vuoto che un senso di libertà, come l’esperienza comunista dimostra. Non importa che l’argomento riguardi “L’abbraccio” (pag. 13), “L’angoscia” (27), “L’appagamento” (30), “L’assenza” (33), “Le colpe” (49), “La gelosia” (97), “La magia” (132), “Il perché” (154), “Il rimpianto” (170), “La scenata” (176), “Il suicidio” (196), “La tenerezza” (201), “Il voler-prendere” (213) oppure una delle altre voci in cui è articolato il libro. Non importa, perché dobbiamo riconoscere, con Barthes, la complessità dell’amore, ben oltre il dualismo catulliano “Odi et amo”.
Cosa ci rimane dunque? Da giovani vogliamo sfidare l’autore, da anziani ne riconosciamo la verità: il punto non è se concordare o discordare e neppure se nutrirsi di illusione, perché tutti sono convinti che il loro amore non farà la fine di tutti gli altri, per poi accedere al principio di realtà.
Il punto è che la convinzione degli adepti dell’amore è puramente volontaristica, priva di riferimenti culturali e teorici e dunque senza strumenti solidi che permettano di non far morire quel sentimento.
“Passato il momento della prima confessione, il ‘ti amo’ non vuol dire più niente” (pag. 118): ma non facciamo i conti con questa verità e continuiamo anche a 90 anni, e, se ne prendiamo atto, aggiungiamo ‘per sempre’ rendendo l’espressione ancora più insignificante.
“Werther si lamenta del principe***:’Egli apprezza la mia intelligenza e i miei talenti più del mio cuore, che pure è l’unica cosa di cui sono fiero […] Ah, quello che io so, chiunque lo può sapere – ma il mio cuore lo possiedo io solo’ (pag. 63).
Ma cosa so io di me stesso? Chi sono IO? Se è vero, con Rimbaud e Pirandello, che l’IO è un altro, ancora: Chi sono IO?
La verità di Barthes è analiticamente vera e, se a lui non interessa salvare l’amore o qualcosa di simile, vederne l’evoluzione, procedere alla rottura dentro la continuità, questo deve però essere il tema e il compito principale dell’innamorato, di qualsiasi innamorato.
Nell’argomento “Scrivere-Inesprimibile amore” troviamo: ”Illusioni, discussioni e impasses che nascono dal desiderio di esprimere il sentimento amoroso in una creazione, nella fattispecie di scrittura”. (pag. 183), con riferimenti a Socrate, a Goethe (ancora Werther) e al Romanticismo. Analisi perfetta e compiuta, ma di cui si vedono i vincoli e non le possibilità e neppure “la maglia rotta nella rete”: perché creazione si riferisce solo alla scrittura? Non esiste altro?
Nell’argomento “Vagare-Il vascello fantasma” Barthes scrive: “Come finisce un amore? Ma allora finisce! Nessuno -salvo gli altri- lo sa mai; una specie d’innocenza nasconde la fine di questa cosa concepita, propugnata e vissuta come eterna…mi ostino ad agire come se l’amore potesse un giorno appagarmi, come se il Bene Supremo fosse veramente ottenibile…curiosa dialettica che…a un amore assoluto fa seguire un altro amore assoluto, come se, attraverso l’amore, io accedessi a un’altra logica (visto che l’assoluto non è più costretto ad essere unico)” (pag. 207). Giustamente: come fa un essere assoluto a rimanere tale nella molteplicità?
Non posso qui riprendere tutti gli argomenti, che sono 80, e procedere come ho appena fatto attraverso degli esempi, ma l’ho fatto nelle mie altre opere e le conseguenze, problematiche e di orizzonti, sono espresse negli ultimi capitoli di questo mio lavoro. Ad essi rimando.
Ricapitolando trovo questo libro straordinario, anche se, appena letto la prima volta, mi ha fatto arrabbiare, perché distruggeva il fascino dell’amore giunto al suo millesimo anno di vita; poi ho capito che aveva ragione e che toccava ad altri vedere se era possibile mantenerlo in vita seppur nella sua trasformazione evoluzionistica. Per questo il libro è straordinario: raccoglie, in forma di frammenti, tutti i pezzi che in quei mille anni l’amore ha lasciato in bella vista. Nei decenni successivi all’uscita del libro la Scienza ci ha fornito gli strumenti per riprendere in mano quei frammenti, studiarli e vederne le possibilità evolutive. E’ un po’ come negli incidenti aerei: il Servizio che si occupa di quei fenomeni (ad esempio l’NTSB negli USA) va sul luogo del disastro, raccoglie tutti i pezzetti che trova, li studia uno ad uno, li ricompone, individua la causa o le cause e propone la correzione.
Pur con il dovuto rispetto queste pagine vorrebbero andare in quella direzione.
La maggior parte dei grandi scrittori ha dedicato moltissime pagine a storie d’amore viste in un numero più o meno grande di situazioni, grazie a una lente acutissima che permetteva di ingrandire anche piccole parti di questo corpo sociale. Si va dal pensiero dominante di Leopardi alla crisi di Madame Bovary al carattere anodino delle donne di Zeno ai turbamenti erotici di Lady Chatterlay alle complesse situazioni proposte da Proust nella sua cattedrale e via discorrendo, rendendo impossibile una esposizione dettagliata. In fondo, in maniera ondivaga, questo lavoro lo fa lo stesso Barthes anche se “I dolori del giovane Werther” di Goethe occupa uno spazio maggiore.
Tra la fine del ‘700 e la fine del ‘900 abbiamo un materiale sterminato, mentre successivamente il tema è diventato prerogativa della psicologia nelle sue diverse varianti, sia per opera dei grandi fondatori della disciplina sia per l’intervento dei professionisti, a cui i media hanno dato visibilità e lustro.
L’analisi del singolo caso clinico ha lasciato il posto alla teorizzazione dell’amore, fatta soprattutto per dare peso e valore alla riflessione sul caso specifico. Queste esposizioni sono spesso acute e capaci di illuminare la situazione presa in carico, ma presuppongono una visione dell’amore che in genere non si discosta da quanto sempre affermato, con aggiustamenti legati a una valorizzazione dei cambiamenti che la società moderna ha prodotto.
E’ successo anche nell’amore ciò che sta succedendo nella Chiesa Cattolica: di fronte all’urgenza del mondo terreno e al crescente distacco dei fedeli, è stato abbandonato il Catechismo fondamentale per rivolgersi a temi di maggior comprensione, come le condizioni economiche, la famiglia, l’accoglienza. Allo stesso modo l’amore come si è sviluppato ha lasciato il posto a tematiche contingenti, come la sessualità, l’unione civile, la diversità di genere, la contraccezione e l’aborto, la libertà individuale e la scelta del compromesso.
Ciò è il naturale prodotto della crisi dei valori: una volta che i lanternoni si sono spenti, sono migliaia i lanternini che occupano lo spazio lasciato vuoto.
In questa crisi di valori assistiamo alla rottura di molti argini che permettono la fuoruscita di ex-sistenze che si fanno in-sistenze, dando al termine con-fusione quel valore positivo che in Corrispondenze Baudelaire aveva voluto proporre.
Una fusione ormai accettata è quella tra poesia tradizionale e poesia moderna, un’altra tra prosa e poesia e oggi siamo di fronte a due importanti novità: la con-fusione tra saggio e letteratura e la con-fusione tra vita e scrittura. Si tratta di confusione perché un tempo quei due mondi erano separati, ma allo stesso tempo si tratta anche di con-fusione perché è dall’incontro di diversità che si producono novità. E sappiamo bene di quanta novità abbiamo oggi bisogno.
Queste fusioni-con-fusioni non sono più osteggiate come avveniva anche solo pochi decenni fa: la letteratura ha ormai stabilito una rete tra poesia, prosa, saggio, vita sociale ed esperienza personale, pur con i differenti pesi specifici dovuti alla consistenza individuale.
In questo quadro di ricerca e allo stesso tempo di affermazione e riconoscimento individuali l’amore occupa uno spazio privilegiato, diventando l’hub delle relazioni personali. Da esso e grazie ad esso parte la luce sull’esistenza umana che si è sbarazzata di ogni prerogativa morale, religiosa e ideologica, e illumina i nodi a cui quell’hub è legato. Si tratta di migliaia di flash che hanno valore, solo per il fatto di esistere, ma il loro valore è quello del dettaglio, della contingenza, del lanternino: cercare di ricomporre un quadro meno disgregato non è però possibile a partire dalla somma di quei flash. Occorre qualcosa di più. Riferimenti culturali, di metodo e personali, per cui il tutto è maggiore della somma delle parti.
Per quanto riguarda i riferimenti culturali il punto di partenza è il libro sull’amore di Octavio Paz: La doppia fiamma. Per questo motivo il prossimo capitolo sarà dedicato a quest’opera.
Per quanto riguarda i riferimenti di metodo essi rinviano alla scienza della complessità, che è impensabile proporre anche in sintesi qui e per la quale rimando a https://www.emiliosisi.it/complessita/. Per quanto riguarda i riferimenti personali occorre saper discernere tra le migliaia di flash (parole colori suoni) quelli che si trovano al margine del caos e rappresentano le emergenze informative che fanno intravedere nei vincoli del sistema le possibilità che gli stessi vincoli individuano.
P.S. Il titolo di questo capitolo indica un intervento sulla letteratura dal XIV secolo ai giorni nostri. Nel corso del suo sviluppo ho spiegato che non è possibile entrare in tutti i luoghi letterari creati in questi otto secoli, perché sono troppo numerosi e non solo rispetto allo spazio a mia disposizione. Vorrei qui insistere però su un elemento che ho messo in evidenza e che vorrei fosse tenuto ben presente.
L’amore moderno, espressione dell’Occidente e della Società Borghese, l’amore che ci prende fin da giovani e con cui dobbiamo fare i conti per tutta la nostra vita, coinvolgendo nei suoi colori e nelle sue dinamiche sempre più persone in ogni area geografica, ebbene quell’amore è tutto nelle caratteristiche evidenziate, mentre nei secoli successivi la letteratura (e l’arte in generale) si sono impegnati a portare alla luce mondi sempre più microcosmici.
Se passiamo dalla letteratura alla vita quotidiana ci rendiamo conto di come le difficoltà che dobbiamo affrontare siano cresciute in modo esponenziale: le realtà specifiche sono aumentate e con esse le relazioni che tra queste intercorrono rendendo evidente la non semplicità dei problemi con cui misurarci.
La crisi dell’idea di amore che ci appartiene da mille anni è solo in queste dinamiche? O esiste una crisi dell’idea stessa di amore?
Io penso che la crisi stia mettendo sotto una luce nuova le dinamiche specifiche e che non è possibile un aggiustamento tecnico-meccanico di queste dinamiche, come dimostrano i numerosi tentativi di compromesso interni alle coppie. Quelle dinamiche specifiche non sono la causa, ma, seppur in una dimensione reticolare, rappresentano la conseguenza della comparsa di nuovi elementi fondanti, in particolar modo il ruolo nuovo assunto dall’Individuo. Esso è comparso nell’ultimo secolo in relazione al formarsi della società di massa e alla liberazione della donna: il ruolo dell’individuo modifica profondamente la relazione e l’idea d’amore che conosciamo.
L’idea d’amore non è morta (e tanto meno sbagliata): parlare d’amore oggi ha bisogno di entrare nelle profondità più oscure dell’individuo e di entrarci in modo complesso, attraverso rotture che non rinuncino alla continuità.
Il prossimo capitolo sarà per questo dedicato all’opera di Octavio Paz sull’amore, La doppia fiamma: lì sono i fondamenti necessari da cui ripartire.