MARIO VARGAS LLOSA – SCIABOLE E UTOPIE. Visioni dell’America Latina (Ed. Liber libri 2020. Originale 2009, pag. 297 – Euro 20)
Ancora oggi, nonostante il crollo del comunismo e la dimostrazione storica e planetaria dei disastri delle esperienze rivoluzionarie ispirate al marxismo, non pochi sono coloro che continuano a sognare il Sol dell’Avvenir, in salsa sudamericana. Dopo Cuba, e nonostante Cuba, è stata la volta del Venezuela, ma anche di paesi come Ecuador e Bolivia nei quali la lotta di classe è stata sostituita dalla lotta di razza; non più gli operai ma gli indigeni. E come è successo per le esperienze comuniste che si richiamavano al popolo per il mantenimento del potere, così è stato per Castro, Maduro e dintorni.
In questo periodo storico in cui si continua a guardare alle esperienze rivoluzionarie sudamericane anche da parte di sedicenti intellettuali, questo libro di Vargas Llosa, Premio Nobel peruviano per la letteratura e instancabile sostenitore della liberaldemocrazia, offre dall’interno un quadro lucido ed esauriente delle radici e dei riferimenti che stanno alla base di quella fascinazione.
E’ un libro serio che non indulge ad astratte formulazioni ideologiche così care alla sinistra radicale e che guarda dall’interno, un interno personale e sociale, quella realtà e le sue allucinazioni. Per far questo l’autore non nasconde niente del suo passato e mostra come sia stato possibile aprire gli occhi e non cadere nella trappola ideologica in cui, ancora oggi, molti rimangono invischiati. In questo senso il libro è la biografia intellettuale di una persona, ma anche una riflessione a viso aperto su cosa sia stata la fascinazione anticapitalista, antiliberale, che ha colpito molti intellettuali occidentali.
Al centro del libro è l’esperienza intellettuale di Vargas Llosa mostrata attraverso lettere, interviste, viaggi in tutti i Paesi del Sudamerica, che gli hanno permesso di sviluppare un quadro sempre più nitido, profondo e complesso di quel continente che era, ed è, il suo continente. Dai primi sguardi affettuosi verso le esperienze rivoluzionarie degli anni ’60 del secolo scorso, lo scrittore ha visto in prima persona come le speranze di quegli avvenimenti si siano trasformate in deliri, incubi e crimini.
La riflessione dello scrittore non è solo un’analisi storica su cui oggi la maggior parte degli studiosi concorda, ma soprattutto uno scavo interiore che gli ha permesso di portare alla luce un bisogno essenziale degli esseri umani, che è quello della libertà. In questo senso, proprio perché il libro è composto di esperienze personali che vanno dal 1960 al 2009, seguiamo la messa a fuoco sempre più precisa e motivata di una realtà di cui lo scrittore non rinuncia mai a vedere i dettagli, dettagli che piano piano cessano di essere tali per diventare componenti di un quadro più generale.
La critica che emerge non riguarda solo i dittatori rivoluzionari, da Castro a Ortega a Maduro, ma anche gli intellettuali, scrittori e politici, soprattutto europei, che hanno sempre guardato al Sudamerica con lenti ideologiche, che hanno loro impedito di osservare gli avvenimenti in modo realista.
Tra gli intellettuali dell’Occidente Gunter Grass, per il quale i paesi latinoamericani dovevano seguire l’esempio di Cuba, R. Debray, Danielle Mitterand e molti prof universitari di Parigi Londra Harvard pronti ad ascoltare il comandante Marcos contro il liberalismo.
Tra i sudamericani Garcia Marquez da sempre amico e sostenitore di Fidel Castro, Neruda, disciplinato militante al servizio di Stalin, Alejo Carpentier, funzionario della Rivoluzione, i pittori messicani e in genere la stragrande maggioranza di artisti.
Vargas Llosa cita alcune eccezioni come Paz, Edwards, Sàbato e pochi altri.
In generale l’intellettuale marxista sceglie la strada breve con un atteggiamento poco realista e che affonda le sue radici nella storia dell’America del Sud, impregnata di miti nella popolazione indigena.
Dai Mapuche che credevano che l’uomo fosse giovane e immortale alle cronache di Antonio Leòn Pinelo che “dimostrò” che in Amazonia c’era il Paradiso Terrestre fino al così detto “realismo magico” del 1900, in America del Sud la dimensione mitica è inseparabile dalla realtà storica di una comunità.
Vargas Llosa riconosce la grandezza della letteratura e dell’arte del suo continente e la modestia dell’innovazione sociale e politica. In questo senso riconosce l’importanza artistica di personaggi che invece sul piano civile si sono sempre schierati dalla parte di varie dittature, soprattutto di origine marxista. Ciò che rende grande un’opera d’arte, l’invenzione la fantasia la magia l’andare oltre lo spazio e il tempo, se applicato in politica si trasforma in disastri e incubi. E’ ciò che è successo in America del Sud.
Nonostante quanto detto sinora, il libro non è un saggio che segue uno schema in cui le idee vengono sviluppate capitolo dopo capitolo, ma al contrario si tratta di un insieme di idee che si formano e si arricchiscono attraverso la riflessione, quotidiana e sul quotidiano, del Premio Nobel peruviano. L’autore di romanzi celebri come Conversazione nella Cattedrale e La guerra della fine del mondo ci propone il suo percorso intellettuale che lo ha portato a confrontarsi con la realtà storica in modo non astratto né ideologico, ma attraverso la propria testimonianza di scrittore. Questo percorso ci viene proposto attraverso cinque capitoli che costituiscono l’ossatura del libro.
1)La peste dell’autoritarismo;
2)Auge e declino delle rivoluzioni;
3)Ostacoli allo sviluppo: nazionalismo, populismo, indigenismo, corruzione;
4)Difesa della democrazia e del liberalismo;
5)I benefici dell’irrealtà: arte e letteratura latinoamericane.
Chi non ama i romanzi può leggere questo libro come una cronaca, una testimonianza nel corso di alcuni decenni; chi non ama i saggi può riscoprire il piacere di una lettura delle idee e scoprire come per essere filosofi non occorrono le centinaia di pagine dei filosofi laureati, ma basta saper portare la propria esperienza di vita su un piano più astratto senza che questo abbia la pretesa di ergersi come verità universale, ma come orizzonte del pensiero e dell’azione.
Il capitolo che sintetizza in modo eloquente e complesso l’orizzonte di Vargas Llosa è senz’altro il quarto in difesa della democrazia e del liberalismo. In quelle pagine siamo riportati con i piedi per terra, a fare i conti con la storia e la realtà in cui viviamo. Contrariamente alle semplificazioni che negli ultimi decenni hanno criminalizzato il liberalismo, ci troviamo di fronte a richiami necessari se vogliamo fare un discorso serio, sia economico sia politico. Non si tratta di scegliere tra “umanità e neoliberalismo” come nel referendum proposto da un comune andaluso, ma riconoscere con Vaclav Havel che “il mercato è l’unica economia naturale…l’unica che riflette la natura stessa della vita”. Per quanti sforzi facciano i suoi detrattori il liberalismo “non è, a differenza del marxismo o del fascismo, una dogmatica chiusa e autosufficiente, ma una dottrina che partendo da una sintesi ridotta di principi basilari, come la libertà politica e la libertà economica, accoglie al suo interno un’ampia varietà di orientamenti e di sfumature” (pag.170).
In tal senso non si può sfuggire alla realtà e, come ricorda lo stesso Vargas Llosa in Storia di Mayta: “Quando si insegue la purezza, in politica, si arriva all’irrealtà”.
P.S. Il libro si avvale di una pregiata Introduzione (ben 67 pagine) di Alberto Mingardi, Professore di Storia delle dottrine politiche all’Università IULM di Milano e Direttore Generale dell’Istituto Bruno Leoni.