TRISTANE BANON – LA PAIX DES SEXES. Ce n’est pas la morale qui fait la justice (Ed. L’Observatoire 2021. pag. 183 – Euro 17). “La pace dei sessi. Non è la morale che fa la giustizia”. Acquistabile su Amazon.

In un periodo storico in cui il rapporto con la realtà si avvale di filtri ideologici che trasformano l’osservazione, questo libro sviluppa una riflessione sul rapporto uomo-donna che si fonda su principi di libertà e mostra come alcune attuali tendenze nichiliste, come il #metoo e la cancel culture, vadano contro il rispetto della persona, risultando incapaci di fornire orizzonti positivi. L’anacronismo e il moralismo, che sono l’anima di quei movimenti, sono messi in discussione attraverso una riflessione sempre aperta, mai sterilmente ideologica. Tristan Banon ha denunciato per molestie sessuali il potente Direttore Generale del FMI, Dominique Strauss-Kahn: è stato solo il punto di partenza per una riflessione più ampia e attualizzata sul rapporto tra i generi e che trova in questo libro una sintesi, articolata e documentata, ma non certo definitiva.

Come tutti i bei libri anche questo apre delle porte di un edificio che spetta a ognuno di noi lasciare aperto.

Qui di seguito più che una recensione si possono trovare i passaggi salienti del discorso della scrittrice, sintesi che faccio anche perché il libro non è stato ancora tradotto dal francese.

 

  • NON MI SONO MAI SENTITA VITTIMA DEGLI UOMINI, MA DI UN UOMO.
  • Non sono fiera di essere stata vittima, non provo vergogna e non rivendico nessuno status vittimista, perché questo status di vittima tende a divenire un valore aggiunto, qualcosa che nobilita, ma rinchiude la donna in una prigione. Rifiuto la guerra dei sessi. Sono una donna, non sono una vittima.
  • La battaglia contro la «società fallocratica» è in ritardo di 60 anni e le femministe di nuova generazione si rifiutano di attaccare il solo e unico sessismo sistematico del 2021: il sessismo sistematico religioso.
  • Introdurre sempre più morale nel diritto, poiché la morale è sempre dalla parte delle vittime, va contro l’interesse della democrazia. Ho denunciato il mio aggressore, ma non ho mai pensato che il tribunale avrebbe potuto curare la mia anima.
  • Ho aderito al #metoo perché le donne volevano parlare e perché il silenzio cessasse. Ma poi il movimento è degenerato: ha iniziato una crociata per moralizzare ogni aspetto della vita e, non potendo più dire che le nostre leggi si applicano diversamente secondo i generi, perché non è più vero, è stato inventato il patriarcato implicito della società. Oggi ci si interessa meno ai successi delle donne che alle vittime del dominio maschile e in nome della morale la parola della donna dovrebbe diventare legalmente sacra davanti a quella dell’uomo: invece di educare e far applicare meglio la legge queste femministe cercano di imporre una lotta che opponga le une agli altri.
  • Dal 2017 #metoo e #BalanceTonPorc hanno creato un clima di linciaggio: o porci o vittime. Mancano le sfumature: una persona è comunque un porco sia che stupri sia che parli male (Mr.Brion ha fatto delle avances verbali ed è stato subissato da 000 messaggi di «porco»). Hanno preso la mia storia e mi hanno messo in residenza vittimista: o vittima o carnefice e anche la vittima che non accetta questo schema è complice. Una vittima è per sempre, ma il diritto deve creare una gerarchia tra crimini e delitti e, soprattutto, evitare di sacralizzare lo status di vittima. Così facendo si passa alla difesa della vittima in quanto tale: la così detta «intersezionalità». E persino una modesta manifestazione anti LGBTQ+ scatena l’odio contro il maschilismo.
  • Ma poi fu MILA, una ragazza di 16 anni che ha espresso critiche all’Islam e ha ricevuto più di 100.000 minacce di morte ed è costretta a vivere nascosta sotto protezione. Le nuove femministe, gli intersezionalisti non hanno preso posizione. C’è vittima e vittima, per loro. Questo è il frutto di chi fa battaglie solo ideologiche, perché nella pratica usa due pesi e due misure.
  • «NON E’ LA MORALE CHE FA LA GIUSTIZIA»
  • Si discute se rendere i reati sessuali non soggetti a prescrizione. In astratto sarebbe giusto, ma occorre ricordare che la Giustizia ha bisogno di prove e più passa il tempo e ciò risulta sempre più difficile. In realtà la Legge non può risolvere tutto e in questo senso l’obbiettivo è rendere le donne più libere e non più vittime: parlare, parlare, parlare. Senza timore. Il danno è fatto e prima viene affrontato, anche in Tribunale, prima la donna può ricominciare a vivere.
  • L’idea di alcuni movimenti di introdurre nel sistema legale «la presunzione di verità» contraddice uno dei cardini di una società libera: «la presunzione d’innocenza». La presunzione di verità, cioè il fatto che in mancanza di prove, la dichiarazione della vittima vale come prova è qualcosa di antidemocratico e che limita la libertà di tutti. «Nessuno è colpevole fino a prova contraria».
  • Ultimamente si è creato un nuovo modello vittimista che esula dal diritto democratico: considerare a posteriori il carisma, l’attrazione, la fascinazione come elementi di violenza sessuale, creando l’elemento della «costrizione morale». Ma qui si rasenta la follia. Per essere eguali all’uomo occorre smettere di considerarci vittime. La scommessa consiste nell’affermare forza e capacità delle donne, non nel vedere in ogni donna una vittima. La morale non fa la giustizia; la morale è individuale, tante morali quanti spiriti, religioni, principi educativi, ma la Legge è universale perché s’applica egualmente a tutti e la presunzione d’innocenza è fondamentale. Ci sono femministe dell’ultima ora che vorrebbero vendicare gli anni di sofferenza con un nuovo fascismo: la dittatura della vittima.
  • In questa operazione anche la scrittura ne è colpita: una parola maschile o femminile è solo una convenzione e saranno solo il tempo e l’uso a formalizzare un cambiamento, non certo un’Istituzione. La parola «femminicidio» è riduttiva e ambigua perché riunisce tutti gli omicidi di donne nel campo del «genere» invitando alla «guerra dei sessi»: ragioni sociali, culturali, individuali scompaiono. Molti di questi omicidi avvengono in famiglia e coinvolgono i conviventi e gli sposi, soprattutto donne ma anche uomini. La realtà è molto più complessa. Non si tratta di lanciare anatemi contro uno Stato presunto patriarcale, ma lavorare per migliorare la situazione. L’identificazione delle neo-femministe con la vittima presunta porta a una campagna di linciaggio e così i processi vengono fatti su Internet e non nei Tribunali. L’uguaglianza di ognuno di fronte alla Legge è un prerequisito e non può cadere sotto il pretesto di subordinazione della donna nei secoli.
  • Che esista un sessismo sistemico dello Stato è un’invenzione, anzi un dogma, a cui credere o no; non si può discutere. L’eguaglianza dello Stato di Diritto va al di là del sesso, della religione, del colore della pelle ecc.
  • Un’analisi storica dell’uso del velo e il rifiuto di portarlo mostra come esso non sia semplice moda, ma un codice religioso profondo che viene insegnato nelle famiglie islamiche fin dalla tenera età: racconta che la donna è impura e il rifiuto di portarlo implica decadenza, impurità, perdita di ogni stima, rifiuto della famiglia e della religione, inizio della miscredenza. Altro che libera scelta. E’ il destino dell’intersezionalità (tutti gli oppressi uniti), e per le neo-femministe a opprimere è solo l’uomo bianco anzi lo Stato Occidentale. Dire che la donna islamica è oppressa significa incrinare il campo unito degli oppressi (è per questo che è stato inventato il termine «islamofobia»). E così quando ad agosto sono tornati i Talebani in Afghanistan questi gruppetti si sono rivolti a Macron: nessuna parola contro il nuovo regime. F. Vergès che si proclama «femminista antirazzista anticoloniale anticapitalista” dichiara: «Sulla presenza delle donne in una Conferenza stampa non vedo differenza con l’Occidente»: silenzio su sharia, integrismo, burqa restaurati nel Paese. Giornaliste afgane, scrittrici iraniane e il Premio Nobel Malala hanno raccontato dell’inferno in cui le donne afgane sono ripiombate, ma per le neo-femministe, intersezionaliste, conta il silenzio.
  • «Woke» ovvero «stare svegli». Corretto, dobbiamo stare svegli. I problemi sorgono quando gli adepti del «woke» rivisitano il mondo secondo il prisma della vittima, cancellando la complessità delle cose. E’ una verità assoluta: la donna è SOLO la vittima del dominio maschile. La deriva prosegue: «Essere femminista è anche essere vegana» (PETA, 2018). Si levano anche contro la galanteria in nome del «sessismo sistemico di ieri» come se nulla fosse cambiato. Anacronismo. Dal «woke» alla cancellazione della cultura e poi della Storia il passo è breve. Gli episodi si moltiplicano con un’accelerazione incredibile: vedi il caso di Kevin Space, il cui primo accusatore non lo ha neppure portato in Tribunale. Viene cancellato dalla storia del cinema e una cosa simile toccherà moltissimi altri artisti. La contrapposizione è netta: o con noi o contro di noi. Linciaggio mediatico solo perché donna è vittima, distruggendo persone, anche se poi la giustizia le assolverà (come nel caso del musicista Ibrahim Maloouf).
  • La donna non sarà più forte se trasformata in vittima. Se la Storia ha privilegiato certi punti di vista si tratta di completarla, non di cancellarla: la donna ha una lunga storia e un lungo cammino; cancellare persone ed eventi perché non corrispondono al dogma contemporaneo significa ridurre la donna all’impotenza. Noi siamo in una fase di transizione: dipende da noi donne se vogliamo avanzare con la nostra ricchezza o annullarci nel ruolo di vittima.
  • «FORCE A’ NOUS» sono le parole pronunciate da Mila alla fine del processo contro i suoi aggressori.