·       il fatto

·       considerazioni storico-giuridiche.

·       la realtà italiana a confronto e i problemi che la sentenza crea

·       intervista a Mingardi, direttore dell’istituto bruno leoni (pensatore liberale)

 

 

IL FATTO: La Corte Suprema americana ha dichiarato che “il diritto all’aborto” non è un “diritto costituzionale”, rigettando quanto dichiarato 49 anni fa nel caso “Roe vs. Wade” riaffermato nel 1992. Il caso oggetto della decisione è Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, una sfida alla legge dello Stato del  Mississippi del 2018 legge che bandisce di fatto ogni aborto dopo la 15° settimana di gravidanza.

CONSIDERAZIONI STORICO-GIURIDICHE. Come ormai vediamo da decenni e in misura crescente negli ultimi anni in Italia si è scatenata la bagarre degli opposti schieramenti che distorcono la realtà pur di affermare le proprie convinzioni ideologiche.

La sinistra ha gridato allo scandalo, riproponendo il solito antiamericanismo, mentre la destra ha esultato al grido “lo faremo anche in Italia”.

Queste posizioni hanno mostrato ancora (come se ce ne fosse bisogno) il carattere ideologico e non-culturale del dibattito politico nel nostro Paese, quell’ignoranza che è palese in certi casi (es. il millennio della Rivoluzione Francese) e sotterranea in altri (v. gli affitti considerati come parassitismo e non risparmio-investimento, il decreto Zan, la confusione LGBTQ+++…). Ignoranza e arroganza che tengono lontana l’Italia dai Paesi Industrializzati più avanzati.

1)La sentenza non ha abolito il diritto all’aborto, ha detto che questo diritto non gode delle garanzie costituzionali. Per capire questo occorre ricordare che la Costituzione Americana non solo è Federale, ma rappresenta una base praticamente intoccabile di quelli che sono i diritti dei cittadini. Un esempio può aiutarci ad avvicinarci alla questione. In molti Stati produzione e consumo di marijuana sono legali, ma non lo sono a livello federale: ciò vuol dire che in California puoi tenere quanta marijuana vuoi, ma se entri in California dal Messico sei arrestato. Nulla di strano se si comprende il rapporto tra Centro e Periferie: i film dovrebbero averci aiutato, ma qui continuiamo imperterriti a non voler capire.

2)La critica alla sentenza della Corte Suprema deve avvenire solo all’interno del sistema giuridico e istituzionale americano, senza ideologie né moralismi. Non c’è dubbio che le sentenze del 1973 e 1992 erano il frutto di una pressione popolare innovativa, mentre quella emessa in questi giorni risente di una fase conservativa che è andata diffondendosi negli ultimi anni e che non a caso ha visto l’affermazione di Trump anche nelle recenti elezioni, quando ha avuto più voti che nel 2016. Insomma, come nel caso della polizia, delle armi, delle differenze razziali esiste un’America che non pensa che i cambiamenti radicali siano un progresso e che ci tiene a vedere riconosciuto ciò in cui crede. Anche in questo caso immigrati, soprattutto latini, sono nettamente contrari ai radicali alla Sanders e AOC che parlano di abolire le frontiere.

3)Detto questo, entriamo nel merito. Le motivazioni della decisione della Corte Suprema riguardano il fatto che la Costituzione americana non esplicita il diritto all’aborto. Ed è proprio qui l’errore compiuto dalla decisione della Corte Suprema e l’unico che merita una critica ampia e profonda di quella decisione.

 

Una breve ricostruzione della genesi della Costituzione Americana mostra come la decisione presenti forti incongruenze e negatività, proprio dal punto di vista giuridico.

Quando la Costituzione fu ratificata per la prima volta, non conteneva ancora i suoi famosi primi 10 emendamenti, altrimenti noti come Carta dei diritti. Questi emendamenti sono arrivati pochi anni dopo. Sono stati aggiunti in risposta alle feroci critiche mosse contro la Costituzione dagli antifederalisti, che si sono opposti alla ratifica per diversi motivi, uno dei quali era che il documento mancava di una Carta dei diritti, e quindi, a loro avviso, lasciava una serie di diritti chiave non protetti (perché non menzionati).

I federalisti, che hanno lavorato per la ratifica della Costituzione, hanno respinto questa argomentazione. Perché? Perché, spiegò James Wilson, una delle figure di spicco della Convenzione costituzionale di Filadelfia, “un’enumerazione imperfetta getterebbe tutto il potere implicito nella scala del governo; e i diritti del popolo sarebbero resi incompleti“.

Non solo sarebbe inutile, ma pericoloso, enumerare una serie di diritti a cui non si vuole rinunciare“, affermò James Iredell, un futuro giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti. Ciò “perché implicherebbe, nel modo più forte, che ogni diritto non incluso nell’eccezione potrebbe essere leso dal governo naturalmente“. Inoltre, aggiunse Iredell, “sarebbe impossibile enumerarli tutti. Che a chiunque faccia la raccolta o l’enumerazione dei diritti che vuole, menzionerò immediatamente altri venti o trenta diritti non contenuti in essa“.

James Madison, uno dei principali artefici della nuova Costituzione, l’8 giugno 1789 tenne un discorso al Congresso proponendo il gruppo di emendamenti che sarebbe poi diventato il Bill of Rights. «… una carta dei diritti, enumerando particolari eccezioni alla concessione del potere federale, denigrerebbe quei diritti che non sono stati posti in tale enumerazione; ne deriverebbe implicitamente che quei diritti, che non erano stati individuati, erano destinati ad essere assegnati nelle mani del governo generale e di conseguenza erano insicuri“. Madison riteneva che questo pericolo esistesse ma che poteva essere evitato. Ed è per evitare questo pericolo che è stato sancito dalla Costituzione il Nono Emendamento. Ecco cosa dice: “L’enumerazione nella Costituzione di alcuni diritti non deve essere interpretata come negazione o denigrazione di altri ritenuti dal popolo“.

In breve, i diritti non enumerati ottengono lo stesso rispetto di quelli enumerati.

 

Nel dibattito legale sull’aborto si deve affrontare la questione se i diritti di aborto possano essere considerati tra i diritti non enumerati “mantenuti dalle persone” per la protezione dei quali il nono emendamento di Madison è stato specificamente scritto e ratificato.

L’opinione di Alito in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization non riesce a rispondere a questa domanda necessaria.

Secondo Damon Root, studioso di Storia e Diritto, il modo adeguato per affrontare la questione riguarda il contesto in cui fu scritta la Costituzione.

Quando sono stati fondati gli Stati Uniti e per molti decenni successivi, gli americani hanno fatto affidamento sulla Common law inglese” (American Historical Association e the Organization of American Historians). “La Common law non regolamentava l’aborto all’inizio della gravidanza. In effetti, la Common law non riconosceva nemmeno l’aborto come avvenuto in quella fase. Questo perché la common law non riconosceva legalmente un feto come esistente separatamente da una donna incinta fino a quando la donna ha sentito il movimento fetale, chiamato “accelerazione*”, che potrebbe verificarsi fino alla 25a settimana di gravidanza“. I commentari sulle leggi dell’Inghilterra, ampiamente letti da William Blackstone, pubblicati per la prima volta nel 1765, sottolineavano esattamente questo punto: la vita “inizia nella contemplazione della legge non appena un bambino è in grado di muoversi nel grembo materno“. Secondo la Common law, ha spiegato Blackstone, le sanzioni legali per l’aborto si verificano solo “se una donna è pronta con il bambino e con una pozione, o in altro modo, lo uccide nel suo grembo“.

Il lavoro di Blackstone ha avuto una grande influenza sulla generazione fondatrice dell’America. I fondatori hanno letto Blackstone e hanno ben capito che l’aborto era legale durante le prime fasi della gravidanza secondo la Common law. Inoltre, poiché ogni Stato al momento della fondazione seguiva la Common law descritta da Blackstone, nessuno Stato originariamente possedeva il potere legittimo di proibire l’aborto prima dell’accelerazione.

La stessa intesa originale si estende al nono emendamento. Poiché gli stati seguivano la Common law al momento della fondazione, il popolo americano originariamente capì che i legislatori non avevano il potere legale di proibire alle donne di porre fine a una gravidanza indesiderata durante le sue fasi iniziali. La libertà di porre fine a una gravidanza indesiderata prima della così detta accelerazione rientra quindi nel significato e nella comprensione originali di un diritto “conservato dal popolo”.

LA REALTÀ ITALIANA A CONFRONTO E I PROBLEMI CHE LA SENTENZA CREA

La legge 22 maggio 1978, n. 194 è la legge della Repubblica Italiana che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto. La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere alla IVG (interruzione volontaria di gravidanza) in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.

90 giorni sono circa 12 settimane e mezzo. La maggior parte degli Stati americani che limiteranno il diritto all’aborto si baserà sul limite di 6 settimane, ma la Florida ha già introdotto il limite di 15 settimane e, nonostante ciò, ha provocato denunce di Enti e Istituzioni, mediche e religiose, per fermare il divieto. Gli Stati che vietano gli aborti dopo 20 settimane di gravidanza sono considerati pro-life: cosa direbbero dell’Italia?

Al di là dell’entusiasmo ideologico suscitato nei pro-life dalla Sentenza appare sempre più chiaro che questa creerà più problemi di quanto pensa di risolvere e questo proprio perché si è voluto negare come costituzionale un diritto che dalla fondazione della Federazione è sempre stato ritenuto tale.

1°) Un crescendo giudiziario, legato agli interessi e a diritti fondamentali patrimonio di molti operatori, ma anche al rispetto dei diritti individuali che potrebbero essere compromessi da iniziative degli Stati anti-abortisti nei confronti di chi decidesse di spostarsi per l’aborto negli Stati invece favorevoli (ordini esecutivi già emessi dai Governatori di Washington, Michigan, Minnesota);

2°)  Far rispettare sentenze del genere è molto difficile nella pratica. “Una nuova ricerca del Guttmacher Institute mostra che 20 anni dopo la sua introduzione, l’aborto farmacologico ha rappresentato più della metà di tutti gli aborti negli Stati Uniti“. Questo vuol dire che in misura crescente la pratica abortiva si sta orientando verso la soluzione farmacologica e sarà difficile che questa venga fermata come dimostrano alcuni dati: dopo che il limite di sei settimane del Texas sugli aborti è entrato in vigore l’anno scorso, Aid Access, che ha sede in Austria e lavora per aggirare le leggi restrittive in tutto il mondo, ha riportato un aumento degli ordini di pillole abortive. “Nella prima settimana dopo l’entrata in vigore [della legge] (1-8 settembre 2021), le richieste giornaliere medie sono aumentate del 1180% rispetto al solito”, ha osservato uno studio pubblicato sul Journal of American Medical AssociationIl Piano C, gestito dal National Women’s Health Network, offre consigli per l’utilizzo di Aid Access e altre fonti per consultazioni online e farmaci per corrispondenza, e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti afferma che “gli Stati non possono vietare il Mifepristone“.

3°) Come distinguere un aborto spontaneo da un aborto procurato in modo farmacologico? Appare estremamente difficile a meno di tortuose elucubrazioni (una ragazza è in galera per aver abortito con la scusa che il suo uso di droghe ne era la causa).

4°) Dal 1987, più di 1 milione di americani hanno iniziato la loro vita come embrioni creati al di fuori dei corpi della madre. Secondo una stima, ben 1,4 milioni di embrioni rimangono congelati nelle cliniche di fertilità degli Stati Uniti. Non è chiaro quale effetto avrà la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization sugli aspiranti genitori che cercano di utilizzare la fecondazione in vitro come un modo per avere figli. L’opinione maggioritaria afferma che l’aborto distrugge la “vita potenziale” e ciò che lo statuto del Mississippi in questione nel caso chiama un “essere umano non ancora nato”. Tuttavia, non menziona la fecondazione in vitro o altre tecniche di riproduzione assistita. Man mano che i trattamenti di fertilità procedono, gli embrioni vengono spesso scartati quando la diagnosi genetica preimpianto indica malattie ereditarie significative o dopo che i pazienti hanno completato le loro famiglie.

Come esempio di rischi post-Dobbs, viene indicato il disegno di legge 933 del Nebraska che dichiara che “un bambino non ancora nato significa un membro vivente individuale della specie homo sapiens, attraverso le fasi embrionali e fetali dello sviluppo dalla fecondazione alla piena gestazione e al parto“. Si afferma che “questo disegno di legge classifica chiaramente un embrione creato dalla fecondazione in vitro come un bambino non ancora nato“. Secondo il disegno di legge del Nebraska, “causare o favorire la cessazione della vita di un bambino non ancora nato” è un crimine di classe IIA, punibile con fino a 20 anni di carcere.

Un editoriale sul New England Journal of Medicine rileva anche che gli utenti dei servizi di fecondazione in vitro che hanno completato le loro famiglie generalmente scelgono di distruggere i loro embrioni congelati inutilizzati. “Se questi embrioni vengono dichiarati vite umane con un tratto di penna di un governatore, la loro distruzione potrebbe essere messa fuori legge“, osserva l’editoriale. “Quale sarà il destino degli embrioni abbandonati, delle persone che li ‘abbandonano‘ e, più in generale, dei centri di fecondazione in vitro in queste giurisdizioni?”

 

5°) Le motivazioni giuridiche, tra cui spicca quella di John Glover Roberts, giurista e avvocato statunitense, dal 2005 Presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, nominato da G. W. Bush non certo un liberal.

Egli solleva una domanda cruciale per i legislatori statali mentre decidono come esercitare il nuovo potere che Dobbs dà loro per regolare l’aborto: cosa significa “il diritto di scegliere”?

Il parziale consenso di Roberts sostiene che la maggioranza ha violato “un principio semplice ma fondamentale di moderazione giudiziaria” andando oltre quanto necessario per risolvere il caso

Per la fase precedente approssimativamente alla fine del primo trimestre”, ha detto Roe, “la decisione sull’aborto e la sua attuazione devono essere lasciate al giudizio medico del medico curante della donna incinta”. Dopodiché, “lo Stato, nel promuovere il suo interesse per la salute della madre, può, se lo desidera, regolare la procedura di aborto in modi ragionevolmente correlati alla salute materna“.

Infine, “per la fase successiva alla vitalità, lo Stato nel promuovere il suo interesse per le potenzialità della vita umana può, se lo desidera, regolare e persino vietare, l’aborto, salvo nei casi in cui sia necessario, a giudizio medico appropriato, per la conservazione della vita o della salute della madre“.

La giurisprudenza della Corte su questo tema è un’illustrazione da manuale dei pericoli di decidere una questione né presentata né informata.

 

Come osserva Roberts, alcune giurisdizioni hanno promulgato leggi che “vietano gli aborti dopo 20 settimane di gravidanza, basandosi sulla teoria che un feto può provare dolore in quella fase dello sviluppo”. Anche gli Stati che generalmente consentono aborti elettivi con poche o nessuna restrizione spesso li limitano dopo la “vitalità”, definita da un giudizio medico o da una specifica linea di demarcazione, in genere 24 settimane. Sebbene il primo tipo di legge sia convenzionalmente descritto come “pro-life” (20) e il secondo si qualifichi come “pro-choice” (24), hanno circa lo stesso impatto pratico. Nel 2019 solo l’1% degli aborti negli Stati Uniti è stato eseguito a 21 settimane o più tardi.

Questa realtà sembra chiaramente incoerente con un significativo “diritto di scelta”. Ma Roberts pensa che la Corte avrebbe dovuto semplicemente confermare il divieto di 15 settimane del Mississippi, lasciando per un altro giorno la questione se una legge più severa sarebbe passata anche la raccolta.

Nella maggior parte degli Stati che dovrebbero imporre o iniziare a far rispettare nuove restrizioni all’aborto, le riflessioni di Roberts su cosa significhi “il diritto di scegliere” colpiranno i legislatori come irrilevanti, dal momento che non riconoscono tale diritto. La tendenza generale negli stati in cui il sentimento pro-vita è forte è quella di vietare l’aborto in qualsiasi fase della gravidanza con eccezioni ristrette. Anche i legislatori negli stati in cui il sentimento pro-choice è forte non saranno molto interessati a ciò che Roberts ha da dire, dal momento che generalmente vogliono mantenere o addirittura espandere l’attuale accesso all’aborto. Ma per la manciata di stati nel mezzo, dove i legislatori anti-aborto devono fare i conti con lo scetticismo diffuso nei confronti dei divieti generali, il disegno rimane un problema vivo.

I nostri precedenti in questo settore fondano il diritto all’aborto nel ‘diritto di scelta’ di una donna“, dice. “La legge in questione consente aborti fino a quindici settimane, fornendo un’adeguata opportunità di esercitare il diritto che Roe protegge. Nel momento in cui una donna incinta ha raggiunto quel punto, la sua gravidanza è ben nel secondo trimestre. I test di gravidanza sono ora economici e accurati, e una donna di solito scopre di essere incinta a sei settimane di gestazione.

A sostegno di quest’ultimo punto, Roberts cita uno studio del 2017 che ha rilevato, sulla base dei dati del sondaggio, che “l’età gestazionale media al momento della consapevolezza della gravidanza era di 5,5 settimane“. Poiché quella era la media, molte donne si resero conto di essere incinte un po’ più tardi. La prevalenza complessiva di “consapevolezza della gravidanza tardiva”, cioè a sette settimane o più tardi, era del 23%. Ma i grafici supplementari dello studio mostrano che la consapevolezza della gravidanza dopo 15 settimane era rara.

Questi risultati sono coerenti con i dati sui tempi degli aborti. Nel 2019, secondo i dati raccolti dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC), solo il 4% degli aborti negli Stati Uniti è stato eseguito dopo 15 settimane. In Mississippi, la quota era inferiore all’1%.

 

 

 

INTERVISTA A MINGARDI, DIRETTORE DELL’ISTITUTO BRUNO LEONI (pensatore liberale)

«Chi rivendica la libertà di scelta della donna sopra ogni altra cosa finge di non vedere che c’è comunque un’altra vita in ballo. Chi sventola manifesti “pro vita” finge di non capire che si tratta di decisioni prese spesso in momenti difficilissimi e in contesti sociali altrettanto difficili, da persone magari giovanissime che vedono franare ogni piano di vita… Mi sembra che l’aborto legale sia nettamente meno peggio del contrario, in ragione delle conseguenze che la sua criminalizzazione potrebbe avere. Ma mi spaventa la retorica dell’aborto come diritto, quella dei meme e delle t-shirt di questi giorni, perché prelude a una sorta di routinizzazione dell’interruzione di gravidanza. La libertà è anche il dolore di certe scelte, cose che non vanno banalizzate…La libertà mi sembra sia solo quella della donna, perché essere vivo e in qualche misura in grado di compiere scelte autonome è una precondizione della libertà. E questa il feto non ce l’ha. Ma c’è il conflitto fra la libertà di usare il proprio corpo nel modo in cui si ritiene e una vita “in potenza”. Nel caso degli adulti, in alcune condizioni noi dichiariamo la “morte cerebrale” e sosteniamo che la vita umana in qualche modo degeneri a vita meramente biologica. Succede il contrario col feto: ma quando? In che momento preciso? Sono tutti dibattiti nei quali, alla fine, si arriva a qualche soluzione imperfetta, perché non ve ne sono altre. Il fatto che un comportamento non sia “proibito” non significa che debba piacere a tutti e a tutte. Prendiamo atto della drammaticità delle scelte e riconosciamole come difficili. È proprio per questo che debbono essere libere».

*Il termine “accelerazione” (quickening in inglese) è usato per descrivere il momento in cui una madre sente per la prima volta il suo bambino muoversi in utero. Un termine più accurato dal punto di vista medico è ” primo movimento fetale.”

La parola radice di “accelerare” significa “vivere”, che — in tempi meno tecnologicamente avanzati — indicava che il bambino nel grembo di una donna era davvero vivo.

Oggi, abbiamo ultrasuoni e monitor cardiaci fetali e altri strumenti disponibili per dimostrare a noi che il nostro bambino è davvero “vivo” ben prima del punto di accelerazione. Ma per le donne in epoche pre-moderne, l ” accelerazione è stata la sua prima vera indicazione il suo bambino era sano e la sua gravidanza praticabile.

I bambini iniziano a muoversi molto presto in gravidanza, quindi il termine “primo movimento fetale” è di per sé un po ‘ fuorviante. Il primo movimento fetale non si riferisce alla prima volta che un bambino si muove in utero, ma piuttosto la prima volta che la madre lo sente.

Per le madri per la prima volta, possono prima sentire il loro bambino muoversi tra 16 a 25 settimane di gestazione. Per le donne che hanno avuto precedenti gravidanze, possono sentire il bambino muoversi già da 13 settimane.