Nei nove capitoli precedenti il discorso è stato sviluppato soprattutto a livello teorico, in modo da comprendere come l’approccio con cui ci siamo avvicinati alla conoscenza per tanti secoli è ormai entrato in crisi e richiede prospettive e orizzonti nuovi. Il rapporto tra teoria e pratica è quasi sempre stato unidirezionale, con le acquisizioni culturali che hanno modellato anche i comportamenti dei diversi strati della società. Questa è stata la norma perché la società è sempre stata fortemente polarizzata, da un lato ceti alti alfabetizzati e dall’altro grandi classi popolari semianalfabete.

Da un secolo il quadro delle relazioni e dei flussi all’interno di ogni società si è modificato: esiste un terreno comune tra i diversi strati grazie alla nascita di una società di massa e di un’alfabetizzazione di massa. Internet ha poi accelerato e reso universale questo nuovo amalgama.

Il legame, anzi l’intreccio, tra i diversi elementi che costituiscono una società è diventato talmente complesso, non dico inestricabile, che occorre dotarsi di strumenti nuovi.

Nei nove capitoli precedenti ho riproposto in modo sintetico e personale il nuovo percorso teorico che si sta imponendo in rapporto alla conoscenza, un percorso molto fluido, che coinvolge tutti gli aspetti portando alla luce il protagonismo di ogni individuo. Fino a qualche decennio fa il protagonismo dei più era legato all’adesione a un gruppo (partitico, sportivo, filosofico, religioso, etnico ecc.), adesione generica che si basava su una convinzione fortemente ridotta, idealizzata, semplificata dell’ideologia elaborata in modo ampio e compiuto dalla componente che l’aveva creata e sviluppata. Una specie di Bignami delle idee forti permetteva anche ai ceti più sprovveduti di sentirsi protagonisti.

Il protagonismo passivo ha lasciato il posto a un protagonismo attivo, per cui ognuno si sente legittimato a esprimere con forza, e anche violenza, le proprie opinioni e lo fa servendosi di tutti gli strumenti mediatici presenti, cresciuti in modo esponenziale. Lo abbiamo visto recentemente quando è emerso il fenomeno di massa dei NO-VAX che, in genere privi di competenze mediche, hanno fatto irruzione da protagonisti attivi nella scena sociale. Gli esempi che si possono fare ormai riguardano tutti i campi del vivere civile, al di fuori del proprio ruolo, delle proprie conoscenze, delle proprie competenze. Medicina, astronomia, clima, diritto, storia tanto per fare qualche riferimento. Non si tratta più di opinioni che possono arricchire il dibattito pubblico, ma vere e proprie prese di posizione minacciose capaci di sfociare in atti violenti e vandalici. Ci si sente protagonisti attivi in alternativa ai medici, agli astronomi, agli scienziati, chimici e fisici, che indagano l’atmosfera, ai giudici, agli storici di professione: l’anatema è immediato, perché i nuovi protagonisti attivi lottano contro i “poteri forti” e poiché siamo cresciuti nel mito della “rivoluzione” ottengono un certo credito.

C’è poi il moralismo dilagante, di chiara origine cattolica e comunista, che, lasciato l’ambito religioso-ideologico, si è diffuso a macchia d’olio nel tessuto sociale. Tutto si riduce allo scontro tra Bene e Male. Un tempo le cose erano facili e semplici, ma oggi, in una realtà che si fa sempre più complessa, le sfumature abbondano e ci si può ergere a fautori del Bene solo se riduciamo la complessità di eventi e persone a due modesti microcosmi. I nuovi protagonisti attivi hanno alla base della loro azione la convinzione che stanno agendo per il Bene, il Bene del pianeta, il bene del Paese, il bene della salute, il Bene della Storia, il bene dell’individuo. Senza questo atteggiamento moralistico che affonda nella cultura che ci ha nutrito per secoli questi protagonisti attivi perderebbero seguito mostrando tutta la loro evanescenza.

Complessità: l’atteggiamento complesso nel costruire la nostra conoscenza e la nostra esistenza è l’antidoto al protagonismo attivo, semplicista superficiale moralistico idealista e ipocrita, privo di orizzonti e prospettive.

Nei nove capitoli precedenti c’è un aspetto che spero non sia sfuggito al lettore e riguarda la maggior parte dei brani riportati. Se si escludono le parti specifiche, gli autori, filosofi o scienziati, non si limitano ad un’affermazione teorica frutto di corrette deduzioni logiche, ma si riferiscono sempre a situazioni specifiche che riguardano i contesti in cui siamo immersi tutti noi. Si parla di previsioni atmosferiche, di economia, di atteggiamenti più adeguati da tenere in situazioni critiche, di scuola e educazione, di violenza, di comunicazione, insomma di tutto ciò che ci appartiene e con cui siamo quotidianamente obbligati a confrontarci.

Per la prima volta nella storia degli uomini gli strumenti teorici non sono lontani dalla vita delle persone presso le quali cadevano sotto forma di briciole; per la prima volta abbiamo gli strumenti per poter affrontare situazioni complesse senza il bisogno di delegare a strutture di potere sia l’elaborazione sia la realizzazione del mondo. Certamente la ricchezza teorica non è patrimonio di tutti e io, pur essendo una persona di media cultura, non sono in grado di spiegare in che modo si muovono certe medicine o prevedere l’andamento della Borsa di Francoforte né ho la ricetta perché un amore non finisca. Ho però gli strumenti per poter essere protagonista della mia salute, delle mie finanze, delle mie relazioni sentimentali. Questi strumenti ho cercato di proporli nei nove capitoli precedenti. Essi non sono una ricetta per dolci, non sono il manuale d’istruzioni da seguire passo dopo passo, non sono un algoritmo, ma prima di tutto rifuggono un approccio semplice, che riduce ciò che ci sta davanti a un cammino obbligato o a un’alternativa secca. Questo cammino obbligato e questa alternativa secca sono ormai luoghi comuni, che hanno avuto anche una certa validità quando il terreno in cui operavamo era qualcosa di semplice, ma oggi non solo non funzionano, ma distraggono e soprattutto atrofizzano le nostre funzioni e dunque le nostre possibilità.

Il patrimonio che l’universo della complessità ci permette di usare non è una Legge Universale né uno stretto paradigma né una regola con le dovute eccezioni: esso è prima di tutto un patrimonio culturale, un atteggiamento mentale fatto di strumenti completamente nuovi e a cui non siamo abituati.

Ne ricapitolo alcuni.

1)Non abbiamo, di fronte a noi, obbiettivi e punti di arrivo, ma orizzonti e prospettive.

2)Non abbiamo percorsi obbligati, ma strategie, cioè ampi quadri di comportamento che possono dar vita a tattiche diverse e che sono continuamente rivedibili.

3)Esistono certezze che hanno formato e conformato il mondo e la nostra persona: esse sono solo dei vincoli da cui si aprono le possibilità che rappresentano il nostro futuro: il nostro futuro esprimerà di volta in volta nuovi vincoli da cui dipenderanno nuove possibilità.

4)Non esiste un “vero qualcosa”, né un “vero mondo” né un “vero amore” né un “vero Io”, ma si tratta sempre di percorsi di costruzione di cui noi siamo protagonisti, e responsabili. Come ho già mostrato nel secondo capitolo, il carattere approssimativo della geometria euclidea, diventa, nel campo delle relazioni, la consapevolezza che il momento iniziale è un momento approssimativo con cui entriamo in gioco, ma che topologicamente deve preparare la sua continua trasformazione, sulla base di vincoli che dobbiamo saper riconoscere soprattutto per individuare le possibilità che quei vincoli permettono;

5)In un sistema complesso, come le relazioni interpersonali e soprattutto amorose, il “ti-amo” iniziale non è più sufficiente (anche la sua ripetizione nel tempo). In un sistema complesso piccole differenze nelle condizioni iniziali generano differenze grandissime nei fenomeni finali: quel “io-ti-amo” iniziale è solo un modesto punto di partenza la cui traiettoria è nelle nostre mani: una parola, un gesto, un evento possono imprimere spostamenti non previsti. E’ in fondo la storia di ogni relazione;

6)Il fatto ampiamente dimostrato che in un sistema complesso il tutto è maggiore della somma delle parti comporta la comprensione di come, ad esempio, una relazione di coppia, o familiare, non può basarsi né sull’autonomia dei singoli, per cui il tutto è eguale alla somma delle parti, né sul compromesso che comporta che il tutto è minore della somma delle parti. Purtroppo, queste sono le due strade oggi percorse;

7)Il passato, il presente, il futuro sono macro-tempi, ma essi sono costituiti da una rete che li collega in modo aperto; difficilmente tutti i rami sapranno procedere e connettersi, alcuni si esauriranno, altri li ritroveremo nel tempo successivo e tra questi alcuni presenteranno flussi di maggior portata.

8)Non dobbiamo ottimizzare nulla di ciò che ci proponiamo, ma valutare sempre tra rischio e possibilità, costi e benefici: non si tratta di rinunciare ai nostri sogni e adeguarci ai vincoli di cui siamo fatti, ma neppure di vedere solo il sogno dimenticando i vincoli che ci conformano.

9)La libertà ci appartiene come i vincoli; non esiste una libertà assoluta, anzi essa si esprime solo a partire dai vincoli che ci conformano e dalle possibilità che si aprono davanti a noi: la libertà è innanzitutto scelta e dunque responsabilità.

10)La responsabilità non è colpa, ma rispondere, prima di tutto a noi stessi, delle scelte che facciamo, semplicemente per valutare se queste permettono di proseguire nella strategia o impongono di cambiarla.

11)Il crollo delle Leggi Assolute in campo scientifico comporta il crollo di Valori Assoluti per quanto riguarda le scelte di vita personale. Non esiste un Bello, un Bene, un Giusto, un Corretto come bussola. Lo vediamo nel soggettivismo con cui ognuno valuta e sceglie: ciò che è bello, buono, giusto, corretto per me può non esserlo per altri. E la divergenza può assumere anche svariate tonalità. Dalle Leggi e dai Valori Assoluti la reazione istintiva e diffusa porta all’affermazione di un Relativismo generalizzato; la scienza della complessità ha mostrato che ciò che ci sta di fronte non è né il carattere assoluto di norme né la relativizzazione di tutto, bensì che esiste un orizzonte, più ampio del punto di arrivo certo della Legge e più ristretto del confuso e totale soggettivismo relativista. Questo orizzonte è mostrato dalle nostre scelte che operano in rapporto ai vincoli che di volta in volta ci conformano.

12)Questi vincoli non sono solo il frutto della nostra storia individuale che ci ha formati a seguito del contesto familiare e delle nostre scelte, ma riguardano anche il contesto storico e sociale in cui siamo inseriti. Due vincoli storico-sociali che vengono spesso tralasciati riguardano il sistema giuridico e quello economico, suscettibili sempre di trasformazione, ma che dimentichiamo essere il frutto evolutivo della nostra specie.

13)La scienza della complessità parla di imprevedibilità, ma questa non significa che siamo soggetti al Caso e che qualcosa di impensabile può succedere senza che noi possiamo accorgercene. Come ho già detto sia a livello scientifico sia a livello personale non tutto è possibile davanti a noi, ma solo un gradiente che chiamo orizzonte.

14)L’imprevedibilità è l’altra faccia della certezza. Poiché non siamo abituati a conviverci, avendo sempre avuto come riferimento solo leggi e valori assoluti, rimaniamo sconcertati e abbiamo bisogno di ristabilire la fede nelle certezze; solo che di fronte alla crisi dei punti fermi possiamo stabilire certezze solo drammatizzando l’esistente.

 

In passato non mancavano situazioni drammatiche e tutti sapevano che individui e società potevano essere investiti da catastrofi: crisi di approvvigionamenti (es. la benzina), guerre, terremoti, rivoluzioni, crisi sanitarie, incendi e tutto ciò che la storia aveva fatto conoscere. L’aspettativa di quelle situazioni era però accettata non tanto per un inattuale fatalismo, ma perché faceva parte del nostro tessuto genetico e culturale: mio nonno sapeva che poteva scoppiare una seconda guerra, e visse questa aspettativa con la serenità di chi conosce il mondo e la sua storia; sapeva anche che i suoi due figli potevano partire per la guerra e che potevano non tornare. Cosa che successe per uno dei due. Non drammatizzò mai questa realtà.

Oggi invece tutto è cambiato.

L’idea di progresso, articolata in tutti i campi, ha fatto credere che pace, benessere e lunga vita abbiano modificato la storia dell’uomo; gli enormi successi in campo tecnologico, economico, sociale insieme allo sviluppo di società di massa che aprivano le porte alle donne e ad altri gruppi minori hanno cancellato dalla nostra mente i possibili eventi negativi a cui abbiamo assistito nel corso dei millenni.

Il Sol dell’Avvenire è stato spostato dal piano politico-ideologico a quello individuale. In questo modo, di fronte ad eventi catastrofici, ma abituati al Bene Assoluto, anzi all’Ottimo Assoluto, non si è avuta la capacità di affrontare secondo esperienza storica e culturale, quanto ci trovavamo a vivere.

E così si è creato e sviluppato un panico artificioso e strumentale.

  • Riscaldamento globale e fine della vita sulla Terra, negli scenari apocalittici che abbiamo conosciuto nei discorsi di persone esasperate e in alcuni film assurdi;
  • La ricchezza degli studi astronomici ha alimentato il dibattito, permettendo l’elaborazione di teorie completamente astratte, non falsificabili e quindi inutili, degne più della fantascienza che della scienza. Non parlo solo degli alieni, ma soprattutto di quella teoria che ipotizza la scomparsa dell’universo del tutto imprevedibile;
  • La disinformazione sull’evoluzione socioeconomica mondiale, per cui nonostante l’evidente miglioramento delle condizioni di vita nell’ultimo secolo, è bastata una crisi (2008, Grecia ecc.) per ricordare che è tutta colpa del capitalismo e prevedere il suo collasso. Non si capisce che esiste anche in natura una transizione di fase, uno stato di turbolenza che sono fattori normali e che l’ordine non è la norma, ma solo uno stadio temporaneo e provvisorio;
  • Il ruolo che per la prima volta la donna comincia ad avere ha messo in discussione gli equilibri tradizionali (matrimonio, famiglia, eterosessualità…) e da questa turbolenza si è aperto il vaso di Pandora di comportamenti estremi e ipotesi prive di fondamenti culturali: crisi della famiglia uguale fine della famiglia, crisi dell’amore uguale fine dell’amore. Anche qui niente orizzonti ma il soggettivismo assoluto scambiato per ritorno alla verità e alla certezza,
  • Lo stesso vale per popoli ed etnie storicamente perdenti che pretendono un riconoscimento; c’è però chi lo fa nel flusso della storia (Cinesi e Indiani ad esempio) e chi si limita a chiedere risarcimenti (soprattutto afroamericani). Ed ecco il moralismo di woke, cancel culture, con le ridicole esternazioni, non prive di seguito, contro il patriarcato, i maschi, i bianchi.

Si è preferito il panico catastrofista alla riflessione razionale e complessa.

Non si fa riferimento alla società libera e aperta per creare nuovi spazi di libertà; non ci si basa sulla ricchezza, tecnologica ed economica, creata per contrastare effetti atmosferici; non si parte dai progressi scientifici per combattere malattie vecchie e nuove. Si tagliano i ponti con la storia e si ripete il Terrore giacobino della Rivoluzione francese.

Nella creazione di queste mie riflessioni, meglio sistematizzate rispetto a precedenti interventi, ho sempre avuto in mente una bussola: oggi è possibile operare delle scelte a partire dalle conoscenze acquisite. In questa sede ho proposto alcuni esempi, ma ciò che deve interessare è il modo con cui ci avviciniamo alle situazioni che viviamo e questo vale soprattutto per quelle realtà che ci impegnano maggiormente e in cui siamo maggiormente coinvolti: l’amore in primis, ma anche l’amicizia e il benessere psicofisico. Il metodo non le soluzioni, che possono essere molteplici e variegate. Il come non il cosa.

Il metodo scientifico ci ha abituati a gestire la nostra vita come se esistesse sempre una soluzione; ci ha abituati a ragionare per verità ed errore, come due aspetti contrapposti e non come due elementi parziali e non assoluti di un’unica situazione. I risultati ottenuti in campo scientifico e l’evoluzione positiva delle relazioni sociali hanno mostrato la validità di quel metodo, ma anche il suo carattere limitato. Limitato agli aspetti sostanzialmente semplici dei problemi che venivano affrontati. Oggi che è esplosa la complessità in tutto ciò che viviamo, quel metodo risulta riduttivo ed estremamente parziale.

Da un lato ci accorgiamo che qualcosa non torna più e, invece di andare alla radice, ci ingegniamo a creare orpelli su orpelli, dall’altro siamo tentati di tornare alla nostra “confort zone” visto che ha funzionato per tanti secoli. E così continuiamo a dicotomizzare: res cogitans e res extensa, natura e cultura, fede e ragione, sentimento e mente, Occidente e Oriente.

Ci sono situazioni in cui solo una strada è percorribile per uscirne positivamente, ma ormai sono poche, perché la maggior parte che ci vede coinvolti ha bisogno di spazio e tempo, ha bisogno di avvicinarsi al problema, di studiarne le relazioni, di valutare in base all’esperienza e alla teoria acquisita, per procedere attraverso il metodo “trial and error”. Si tratta di qualcosa di diverso dal motto “sbagliando s’impara” perché questo partiva dal presupposto che fosse nota la risposta giusta. Non è un caso che a livello scientifico sia mutata la nozione di problema: prima era qualcosa che aveva una soluzione, mentre oggi ha recuperato il valore etimologico, pro-ballein, gettare avanti, affrontare.

Un tempo si trattava di risolvere un problema ed esisteva una ed una sola via per farlo, in modo tale che la soluzione era perfetta, nel senso etimologico del termine, per-facere, fatta completamente, in tutto e per tutto. Oggi si sente sempre più spesso dire “non sono perfetto, ma ci provo” ed è un involontario riconoscimento della mutata condizione del conoscere, ma non se ne coglie né il senso né il valore.

La condizione dello studioso e dell’uomo comune contemporanei non sono poi così distanti, perché entrambi hanno bisogno di realizzare un salto epistemologico, che permetta di cambiare quel metodo che continua a essere il nostro metodo conoscitivo: semplicismo, riduzionismo, valori assoluti.

Basterebbe cominciare da piccole cose, un’amicizia, un amore, una relazione, un piccolo sguardo dentro di noi per allenarsi e abituarsi al nuovo metodo. Il salto epistemologico è tutto qui; non occorre conoscere le formule dei “numeri quantici e delle codifiche convenzionali”; per cominciare è sufficiente provare con uno dei tanti percorsi proposti in questa sede.

Purtroppo, incapaci di fare questo passo i più o continuano a credere in verità che ben presto si rivelano eteree oppure oppongono alle leggi universali e alla conoscenza oggettiva il Caso che nega la nostra responsabilità.

Noi però sappiamo: né Caso né Leggi universali, ma Orizzonti.