Parlare della Palestina in modo serio è diventato sempre più difficile, dal momento che ognuno si sente legittimato a esprimere un’opinione che non è il frutto di uno studio ma di posizioni preconcette e ideologiche, senza un metodo storicamente accettabile.

La pretesa di fare un’analisi oggettiva, soprattutto estrapolando singoli episodi o, ancora peggio, frasi dette qua e là, si rivela impossibile; e questo non tanto per la complessità dell’argomento (che non manca) ma perché dietro ogni giudizio ci sta un pre-giudizio che informa e caratterizza la nostra analisi.

Senza chiarire quale sia questa cornice di riferimento è impossibile anche solo avvicinarci a questo argomento: lo vediamo proprio in queste settimane di guerra dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre.

Per parte mia ho definito i caratteri del metodo con cui affronto ogni tematica storica (Dodici lezioni di Storia. Flussi, 2020): la concezione della storia non deterministica, ma per flussi che si muovono all’interno di una rete; il rifiuto dell’anacronismo e del moralismo; la valutazione a partire dai principi liberaldemocratici.

L’argomento è complesso e per questo, pur tenendo conto di ciò che concerne il politicamente corretto, verrà sviluppato in un’ottica più ampia.

1)Cominciamo con quello che viene chiamato il diritto di un popolo ad avere uno Stato a partire dal più antico insediamento.

L’insediamento ebraico risale al XVII sec. a.C. ma in modo stabile al XIII-XII sec. a.C. Gli arabi arrivarono nella regione nel VII sec. d.C. Ho sempre rifiutato il nativismo-indigenismo (vedi anche in questi capitoli): origini, formazione e insediamento dei popoli non stabiliscono alcun diritto, perché la Storia è un processo evolutivo e continuo, in cui operano molteplici fattori. E questo vale per tutti i popoli.

 

2)Il concetto di popolo ha senso solo se esistono fattori culturali che formano e compattano gruppi sociali, ad esempio la lingua, testimonianze orali e scritte, religione, istituzioni, produzione artistica, tecnologia. Da questo punto di vista esiste da sempre un popolo ebraico, mentre quello che oggi viene chiamato popolo palestinese non è mai esistito come tale perché la regione di riferimento è stata abitata da gruppi arabi la cui unità era rappresentata dall’origine etnica e dalla religione. Non è mai esistita storicamente una identità palestinese, tanto che fino a qualche decennio fa si parlava di comunità arabe; oggi dopo le guerre e le azioni terroristiche si può parlare di popolo palestinese, anche se la sua identificazione riguarda gli aspetti etnico, religioso e soprattutto geografico. Che non esista una identità palestinese, così come invece esiste un’identità persiana, malese, siamese, oltre alle varie identità europee, è dato dal fatto che persino gli organismi politici che si fanno interpreti del popolo palestinese sono profondamente divisi e non hanno prodotto nulla di culturalmente significativo.

 

3)La diaspora. Nessun popolo come quello ebraico ha vissuto così tanti periodi di diaspora, cioè di dispersione fuori dal luogo originario. Tra le numerose diaspore quella più interessante fu nel VI sec. a.C. a Babilonia dove la presenza ebraica fu numerosa, ricca e fertile: non per questo gli Ebrei hanno mai rivendicato quel territorio, l’attuale Irak. La diaspora decisiva e più recente fu a partire dal I sec. d. C. ad opera dei Romani che distrussero per due volte il tempio di Gerusalemme. Nonostante ciò, la presenza ebraica in Palestina, seppur ridotta, non scomparve mai. La regione fu dominata dai Bizantini, dagli Arabi e infine dall’Impero Ottomano (1517-1917) che, sconfitto nella I Guerra Mondiale, dovette lasciare alla Gran Bretagna che nel 1922 ottenne dalla Lega delle Nazioni il Mandato sulla Regione. Nel corso dei secoli la presenza ebraica crebbe regolarmente, ma il primo grande ritorno avvenne alla fine del 1800 a seguito delle persecuzioni in Europa Orientale, soprattutto in Russia. Seconda Aliyà (immigrazione di massa) dalla Polonia nel periodo tra il 1924 e il 1932. Poi la Gran Bretagna limitò fortemente gli accessi.

Infine, la Shoà.

4)L’immigrazione di massa avvenne sempre legalmente, secondo quanto previsto da chi al momento dominava, Turchi o Inglesi, e gli Ebrei si insediarono soprattutto acquistando i terreni che avrebbero coltivato da ricchi latifondisti arabi che vivevano nelle grandi città come Damasco, Beirut e Bagdad: nessun contadino fu espropriato né gli insediamenti avvennero in termini di conquista. Con una maggiore presenza ebraica il territorio migliorò (ricordiamo le parole dello scrittore Mark Twain alla fine del 1800 che lo descriveva come un deserto arido e soffocante), ma furono create anche strutture e istituzioni importanti come quartieri fuori Gerusalemme, la città di Tel Aviv, i primi Kibbutz e Moshav centri e villaggi di tipo cooperativo, la Histadrùt (Federazione Generale dei Lavoratori), la Haganà (Organizzazione di Difesa Ebraica), il Vaad leumì (Consiglio Nazionale) per condurre i propri, l’Agenzia Ebraica per rappresentare la Comunità ebraica di fronte alle autorità del Mandato. Nel 1924 Viene fondato a Haifa il Technion, il primo istituto di tecnologia e nel 1925 l’università Ebraica di Gerusalemme (dove Einstein tenne la sua prima lezione) apre i battenti sul Monte Scopu, poi fu la volta del Palestine Broadcasting Service, diffusione musicale e poi l’Orchestra sinfonica di Gerusalemme. Non solo ma furono fondati anche l’ospedale Hadassa (centro di ricerca a livello mondiale, 1925), il teatro Habima (1931), l’istituto Weitzmann, Centro di ricerca scientifica (1934), la Filarmonica di Tel Aviv (1936) dove Toscanini diresse l’orchestra e anche l’indiano Zubin Mehta negli anni dell’intifada suicida; così molti artisti negli anni Trenta vi si stabiliscono con sale, scuole, ad es. la scuola Bauhaus si sviluppò a Tel Aviv e Gerusalemme.

 

5)Il Mandato britannico. La regione fu divisa in sei aree: due sotto mandato britannico (Mesopotamia e Palestina), due sotto mandato francese (Siria e Libano), Irak (indipendente), Transgiordania (indipendente). Si discute a questo proposito di promesse e dichiarazioni talvolta mantenute altre volte no, ma attualmente esse hanno poco significato dal momento che la Società delle Nazioni, certamente influenzata dalle potenze vincitrici, come succede al termine di ogni conflitto, presero la decisione di cui sopra. Va ricordato che il Mandato Internazionale è cosa diversa dalla colonia, perché attribuisce ad alcuni Paesi la responsabilità su popolazioni con diversi gradi di sviluppo (A, B, C) nella prospettiva di un’autonomia. Per quanto riguarda la Palestina, nonostante la nascita del Regno Giordano, si ebbero rivolte arabe contro gli ebrei nel 1920 e soprattutto nel 1929 (Massacro di Hebron) città nella quale la comunità ebraica era presente da secoli: essa fu massacrata ed espulsa.

Tra il 1936 e il 1939 ci fu la Grande Rivolta Araba contro Ebrei e Inglesi con scioperi e azioni di terrorismo. La risposta ebraica non si fece attendere e la seconda metà degli anni ’30 fu molto violenta, da una parte gli arabi sotto la guida del Supremo Comitato Arabo e dall’altra la Comunità Sionista che aveva da tempo creato un Consiglio per gestire gli affari ebraici in Palestina e aveva creato anche una struttura militare di autodifesa, l’Haganà rafforzata dopo gli attacchi arabi degli anni Venti. Nel 1936 contava 10.000 uomini. Come in tutte le guerre civili ci furono violenze da entrambe le parti.

Occorre soffermarsi su un punto e non è il solito “chi cominciò?”, ma il programma delle due organizzazioni. L’Haganà (“difesa” in ebraico) il cui obiettivo originale era quello di difendere le comunità ebraiche da possibili attacchi da parte degli arabi.

Il Supremo Comitato Arabo era «il solo rappresentante di tutti gli Arabi di Palestina»  e fu fondato dal Gran Muftì di Gerusalemme, noto e dichiarato antisemita tanto da schierarsi con Hitler e reclutare soldati mussulmani per il Reich.

La Gran Bretagna a partire dal 1939 per venire incontro agli arabi ridusse notevolmente l’immigrazione ebraica e poi decise di lasciare seguendo le indicazioni dell’ONU che dal 1945 aveva sostituito la Società delle Nazioni.

 

6)IL DOPOGUERRA. “Due popoli, due Stati”, è diventato il motto di molti critici di Israele, mentre i più radicali vogliono l’eliminazione dello Stato ebraico e per loro lo slogan è “Dal fiume al mare”.

Interessante tutto ciò, perché nel 1947 la risoluzione 181 dell’ONU stabilì la nascita di due stati, 76 anni fa settantasei: Israele nacque nel 1948 e i Paesi Arabi lanciarono una campagna militare che segnò la loro prima sconfitta. Libano, Siria, Egitto, Giordania, Irak pensavano di distruggere Israele, ma dovettero ricredersi. “Due popoli, due Stati” non era il loro motto, ma oggi tutti i politici arabi dichiarano “è ora che nascano due stati”: falsità e menzogne, ipocrisia e vergogna. Nella confusione mentale molti ricordano l’espulsione degli arabi da Israele (oggi sono due milioni), ma dimenticano di citare l’aggressione militare e il fatto che una parte degli arabi fuggiti lo ha fatto volontariamente con l’illusione che sarebbero ritornati da vincitori.

Gerusalemme doveva avere uno statuto internazionale, ma con la guerra la parte Est fu occupata dalla Giordania, insieme alla Cisgiordania, mentre la parte Ovest passò sotto il controllo israeliano. L’Egitto occupò Gaza.

Nessuna Pace fu firmata ma solo un armistizio.

E poi venne il 1956 e la crisi di Suez che vide coinvolti anche francesi e inglesi a seguito della nazionalizzazione della Compagnia che gestiva il Canale di Suez. Da anni nonostante la Risoluzione dell’ONU del 1951 veniva vietato a israeliani e a navi battenti bandiera israeliana di attraversare il Canale di Suez, fu irrigidito il blocco agli Stretti di Tiran, sempre più di frequente avvenivano incursioni in Israele da parte di pattuglie di terroristi provenienti dai paesi arabi confinanti che compivano assassinii e sabotaggi, e la penisola del Sinai fu gradualmente trasformata in una enorme base militare egiziana. Artefice di questa politica ostile fu Nasser che con un colpo di Stato si era impadronito del potere in Egitto. Israele occupò Gaza e il Sinai, ma la presenza di forze ONU di interposizione e le assicurazioni da parte egiziana sulla libera navigazione nel Golfo di Eilat portarono Israele a ritirarsi gradualmente (novembre 1956 – marzo 1957) dalle zone conquistate poche settimane prima.

Ancora una volta Israele pensava a costruire il proprio stato, mentre i paesi arabi continuavano in una politica che aveva come strategia lo strangolamento e l’eliminazione di Israele.

 

7)1967 E GUERRA DEI SEI GIORNI. I Paesi arabi continuavano a sognare la vendetta. Tutti stati dittatoriali non avevano né un’opposizione né una pubblica opinione a cui rendere conto.

Nei dieci anni precedenti erano aumentati gli attacchi terroristici arabi lungo i confini egiziano e giordano, i bombardamenti dell’artiglieria siriana sugli insediamenti agricoli del nord della Galilea, mentre i confinanti stati arabi avevano proceduto a un pesante riarmo. Quando l’Egitto mosse nuovamente un ingente numero di truppe nel deserto del Sinai (maggio 1967) e ordinò alle forze di pace delle Nazioni Unite (dispiegate dal 1957) di uscire dalla zona, reimpose il blocco agli Stretti di Tiran ed entrò in un’alleanza militare con la Giordania, Israele si trovò di fronte eserciti arabi ostili su tutti i fronti. Poiché l’Egitto aveva violato gli accordi conclusi dopo la campagna del Sinai del 1956, Israele fece appello al diritto all’autodifesa, lanciando un attacco preventivo (5 Giugno 1967) contro l’Egitto nel sud, seguito da un contrattacco contro la Giordania ad est e sbaragliando le forze siriane trincerate nelle alture del Golan al nord.

Furono sufficienti sei giorni. Nessuna pace, ma un nuovo armistizio che naturalmente non poteva non essere favorevole ad Israele dal punto di vista territoriale: Cisgiordania e Gerusalemme Est furono sottratti alla Giordania, Gaza e il Sinai all’Egitto, mentre le Alture del Golan passarono sotto il controllo israeliano. Il risultato di ciò fu che i villaggi situati a nord furono liberati, dopo 19 anni, dai continui bombardamenti siriani, il passaggio di israeliani e di navi battenti bandiera israeliana attraverso gli Stretti di Tiran fu assicurato e Gerusalemme, che era stata dal 1949 divisa fra il controllo giordano e quello israeliano, venne riunita sotto l’autorità di Israele.

Mentre l’ONU ribadiva il principio del diritto degli stati della regione la posizione araba, così come venne formulata nel Vertice di Kartoum (Agosto 1967) si appellava ai seguenti principi: Nessuna pace con Israele, nessun negoziato con Israele e nessun riconoscimento di Israele.

La Guerra del Kippur, 1973.

Sembrava che la calma fosse tornata, ma essa fu interrotta a Yom Kippur (Giorno dell’Espiazione), il giorno più sacro del calendario ebraico, quando Egitto e Siria lanciarono un attacco a sorpresa contro Israele (6 Ottobre 1973), con l’esercito egiziano che attraversò il Canale di Suez e le truppe Siriane che penetrarono nelle Alture del Golan. Nelle successive tre settimane le Forze di Difesa Israeliane capovolsero le sorti della battaglia e respinsero gli aggressori, attraversando il Canale di Suez in Egitto e avanzando fino ad arrivare a 32 chilometri dalla capitale siriana Damasco. Nonostante la vittoria e il fatto di essere stata aggredita Israele si ritirò da parte dei territori conquistati durante la guerra.

 

8)IL TERRORISMO. Non riuscendo a sconfiggere Israele alcuni Stati decisero di passare dal semplice armistizio a veri e propri Trattati di Pace: con l’Egitto di Sadat nel 1978 a cui fu restituito il Sinai e con la Giordania di Re Hussein nel 1984. Ma ormai la strategia bellica fu sostituita dalla stagione del terrorismo che è andato intensificandosi a partire dagli anni ’70: esso operò in Israele e all’estero, anche in Italia, ma l’episodio più tristemente noto fu l’eccidio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. L’OLP guidato da Arafat era l’organismo che dirigeva quel tipo di azioni; aveva sede in Giordania da dove però fu espulso dai giordani trovando riparo in Libano. L’episodio rimase noto come “Settembre nero”, ma si trattò di una vera e propria guerra civile con il Regno di Giordania che Arafat aveva cercato di cacciare. Si ebbero un anno di scontri e migliaia di morti.

A Camp David nel 1978 si incontrarono Sadat, Begin e Carter e fu elaborato un piano per la pace in Medio Oriente e tra cui anche un quadro di negoziati per istituire una autonoma autorità in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Si arrivò al Trattato di Pace tra Egitto e Israele, ma il terrorismo continuò e si intensificò.

Nel 1979 la rivoluzione khomeinista in Iran portò nuovi protagonisti nel già ampio campo terroristico, con il finanziamento di un gruppo di riferimento sciita, sempre più attivo fino ai nostri giorni dalle sue basi in Libano contro Israele, il gruppo Hezbollah.

Si arrivò così al 1993 con gli accordi di Oslo, firmati da Arafat e Rabin, alla presenza di Clinton, con l’obbiettivo di avviare a soluzione il conflitto arabo-israeliano.

E qui si conferma il disinteresse palestinese a una soluzione pacifica: gli accordi delineavano i preparativi per l’auto-governo dei palestinesi nel West Bank e nella Striscia di Gaza. L’OLP dichiarava di rinunciare all’uso del terrorismo, si impegnava ad annullare quegli articoli della sua Carta dove si negava ad Israele il diritto all’esistenza, e si impegnava nella ricerca di una soluzione pacifica del decennale conflitto fra palestinesi ed ebrei sulla Terra. A sua volta, Israele riconosceva l’OLP come rappresentante del popolo palestinese.

Il 23 settembre 1993 la Knesset, il Parlamento israeliano, approvò gli accordi mentre in campo palestinese non ci fu accordo perché mentre Fatah, almeno a parole, li appoggiava gli altri gruppi si opposero perché per loro Israele non doveva esistere. Il problema consisteva nel fatto che Israele è uno Stato Democratico e le sue decisioni diventano operative, mentre i Palestinesi erano privi di organi rappresentativi e così il terrorismo con attentati numerosi e mortali riprese generando una situazione di stallo che riportava il confronto sul terreno della forza.

Nonostante questa situazione nell’agosto 2005 il disimpegno d’Israele dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti nel nord della Samaria costituì uno sforzo per cercare di porre fine alla situazione di stallo del processo di pace, dopo cinque anni di terrorismo palestinese. Tuttavia, il terrorismo palestinese è continuato, in seguito all’elezione di Hamas al governo di Gaza affermatosi anche con una guerra civile contro i palestinesi di Fatah, con attacchi di missili Qassam e con il rapimento di militari israeliani. Gli attacchi missilistici sono stati quotidiani e non hanno ottenuto il risultato sperato solo grazie al sistema di difesa israeliano, ma hanno provocato morti e distruzioni.

E così arriviamo al massacro del 7 ottobre 2023 e la conseguente risposta di Israele.

CONSIDERAZIONI FINALI

Nella valutazione d’insieme del problema Mediorientale ci sono alcuni punti fermi che aiutano a comprendere il fenomeno e a individuare le possibili soluzioni, evitando posizioni puramente ideologiche.

1)Israele è uno Stato liberaldemocratico, uno Stato di Diritto, una società aperta dove le diverse opinioni sono legittimate, dove le diverse religioni possono essere professate, dove tutti possono formare un partito, candidarsi ed essere eletti; esiste in Parlamento un Partito arabo, mentre nella società ci sono mussulmani nell’Esercito, nei mass media, negli Ospedali.

2)Il movimento palestinese sia nella sua storia sia nelle attuali formazioni e nella leadership non rispetta regole democratiche, ma conta solo sull’uso della forza. Questo succede in Cisgiordania con l’ANP e a Gaza con Hamas. Non è secondario che a Gaza, dopo la “vittoria” di Hamas alle elezioni ci sia stata una guerra civile tra Hamas e ANP. Gran parte del Movimento Palestinese rifiuta l’idea di “Due popoli, due Stati” e combatte per la distruzione di Israele.

3)La nascita di Israele fu decisa dall’ONU. Il successivo allargamento dello Stato è avvenuto a seguito delle guerre che gli Stati arabi hanno scatenato contro Israele. Nonostante le guerre e i numerosi attentati a civili in Israele da parte delle varie organizzazioni palestinesi, Israele ha restituito alcuni territori come il Sinai e Gaza, nella prospettiva di una normalizzazione: l’Egitto ha riconosciuto Israele e fatto un trattato di pace, così pure la Giordania (definizione confini, sfruttamento congiunto delle acque ecc.). L’Autorità palestinese a Gaza ha avviato una politica aggressiva fatta di omicidi e missili mortali contro Israele, nonostante nella restituzione di Gaza Israele avesse cancellato gli insediamenti ebraici nel Nord di Gaza.

4)La propaganda palestinese insiste sull’occupazione israeliana di territori palestinesi. Le restrizioni a Gaza sono il frutto delle violenze di Hamas, mentre non c’è occupazione di territori; in Cisgiordania ci sono insediamenti che, vista la politica terroristica che parte anche da lì, si rendono necessari per allontanare il fronte. In ogni caso non c’è nessuna occupazione di territori, perché quei territori, nel Diritto Internazionale, sono “Contesi”, dal momento che nessun trattato di pace è stato stipulato e l’ipotesi della nascita di uno Stato arabo in Palestina è stata rifiutata dagli stessi contendenti arabi, mentre gli Accordi di Oslo che avrebbero preparato la nascita di uno Stato palestinese sono stati rifiutati dalla maggior parte del movimento palestinese. Nel Diritto Internazionale solo i Trattati di Pace permettono di definire una situazione geo-politica e sembra che né il Libano né la Siria siano interessati a procedere in questa direzione.

5)La propaganda filopalestinese parla come se la storia cominciasse nel 1967, dimenticando quanto abbiamo visto prima della Guerra dei Sei giorni. È solo negli anni Settanta che si parla di Palestinesi, perché prima la problematica conflittuale era nelle mani degli Stati Arabi. La Giordania controllava sia la Cisgiordania sia Gerusalemme Est, e il più grave colpo al Movimento Palestinese è stato inferto proprio dall’araba Giordania con Settembre Nero, quando i palestinesi erano vicini a rovesciare la monarchia hashemita di Re Hussein.

A proposito di Stati arabi non occorre dimenticare che la numerosa popolazione ebraica che vi si trovava è oggi praticamente scomparsa, per la politica antiebraica di tutti gli stati arabi. In Giordania la Legge Civile N. 6 afferma esplicitamente: “Qualunque uomo sarà un suddito giordano a condizione che non sia ebreo” – Jordanian Nationality Law, Official Gazette, No. 1171, Articolo 3(3),February 16, 1954. P. 105.).

Gaza che doveva far parte secondo l’ONU dello Stato arabo fu occupata dall’Egitto non da Israele.

L’amministrazione di Gaza, con l’attuale guerra, ha mostrato al mondo ciò che si propone, ciò che le interessa e qual è la sua politica.

Gli scudi umani. Come dichiarato negli anni, ma sempre sottovalutato per ideologia, Hamas ha costruito le sue postazioni di lancio di missili, dentro o nelle vicinanze di luoghi pubblici, come scuole, moschee e ospedali.

I tunnel. Hamas ha costruito in profondità (anche 45 metri) 500 km di tunnel dove nascondersi e organizzare la propria attività terroristica; si tratta di tunnel dotati di ogni bene e della più avanzata tecnologia. Dovrebbe far riflettere il fatto che non abbiano costruito neanche un rifugio per proteggere la popolazione e diventa comico l’attribuire a Israele la mancanza di petrolio per i civili quando Hamas ne è pieno.

Il denaro. La popolazione di Gaza vive in gran parte di sussidi internazionali, mentre una parte ha lavorato in Israele usufruendo anche di servizi importanti come le cure mediche (nel 2006 sono stati 1000 i bambini palestinesi che sono stati curati in Israele). La maggior parte del denaro ricevuto è stato usato per gli interessi anche militari di Hamas, mentre i sussidi ricevuti per le scuole sono serviti a stampare libri che negano l’esistenza di Israele e contribuiscono a diffondere l’odio antiebraico.

 

6)L’ONU e la sua perdita di credibilità. Fino dagli anni ’70 del secolo scorso, pur con le difficoltà inerenti al compito che è quello di armonizzare le relazioni tra stati, l’ONU ha ricevuto sempre più critiche per un atteggiamento smaccatamente ideologico, un’ideologia che aderisce al “politicamente corretto”.

Alcuni esempi aiutano a capire questa deriva.

a) Un report ha denunciato per “apartheid” Israele, un Paese dove vivono liberamente due milioni di arabi, mentre in tutti i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa gli ebrei, fino a qualche decennio fa più di un milione, oggi sono del tutto scomparsi. Nessuna censura nei confronti di quei paesi.

b) Nessuna censura su paesi integralisti come l’Iran dove le condanne a morte di donne e omosessuali riguarda regolarmente centinaia di persone, ma ciò che è più grave è il fatto che più volte Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, un organismo delle Nazioni Unite(UNHRC, in ingleseUnited Nations Human Rights Council), ha visto la presenza tra i suoi membri di numerosi stati non democratici, soprattutto islamici, al cui interno i diritti umani sono regolarmente violati.

c) L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente(UNRWAUnited Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) non si limita a fornire aiuti umanitari ma si è chiaramente schierata con Hamas soprattutto per quanto riguarda l’istruzione in quanto veicola il messaggio palestinese contro Israele. Si tratta di 30.000 dipendenti tutti palestinesi che trattano anche i pronipoti dei veri rifugiati come rifugiati, favorendo la narrativa del diritto al ritorno per eliminare lo stato di Israele”. È l’unica agenzia ONU dedita a un solo popolo, andrebbe sciolta e assorbita dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’Unhcr.

d)Il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW) dovrebbe monitorare l’attuazione della Convenzione sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne, ma, nonostante le sollecitazioni, ha taciuto su quanto fatto da Hamas il 7 ottobre che vale la pena ricordare: donne violentate circondate dagli amici morti o dal fidanzato; a una  è stato tagliato il seno e i terroristi ci hanno giocato. Una sopravvissuta all’Olocausto ha visto sua nipote violentata e uccisa. Una ragazza di quattordici anni è stata trovata con le gambe aperte e lo sperma sulla schiena. Le avevano sparato in testa. Alla maggior parte delle donne è stato sparato più volte alla testa. Alcuni corpi erano così gravemente danneggiati che dopo tre giorni il sangue continuava a gocciolare. Hanno mutilato i genitali di diverse donne.

Di quanto numerosi siano gli episodi di questo genere si sapeva già il giorno successivo al massacro, ma dall’ONU niente.

e) La relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese si è schierata pubblicamente contro Israele usando parole generiche su Hamas che ha difeso, manifestando una spiccata parzialità; non tanto il marito che ha lavorato per l’Autorità nazionale palestinese e le sue numerose dichiarazioni, ma soprattutto il suo intervento a una conferenza di Hamas nel novembre 2022: “Avete il diritto di resistere”. Informazioni rese pubbliche dal direttore di UN Watch, Hillel Neuer, al Congresso USA e riprese anche dalla stampa italiana; non solo, ma nel febbraio 2023, un gruppo bipartisan di 18 membri del Congresso degli Stati Unitisi è espresso a favore della sostituzione di Albanese perché ha mostrato persistenti pregiudizi contro Israele.

f) Il Segretario stesso dell’ONU Guterres si è espresso sostenendo le tesi di Hamas e sminuendo i suoi crimini: inoltre ha dichiarato di credere più alle stime di Hamas, per quanto riguarda il numero delle vittime, nonostante molti esprimano dubbi sulla realtà delle cifre, con evidente pregiudizio ideologico. Lo stesso era successo con l’Ucraina.