Da non molti mesi, sulla scia del woke, negli stadi di calcio è apparsa una specie di meme che dichiarava “respect”, “rispetto”. Questa espressione ha avuto visibilità nelle partite ma viene da lontano, dalla cultura del “politicamente corretto” che vuole occupare sempre maggiori spazi, cercando di sgretolare quelli che sono i principi su cui si basano le nostre società.

Ne ho parlato in molti capitoli; qui riprenderò il tema centrale vedendolo da questa nuova prospettiva.

Per molti il rispetto è un modo di trattare qualcuno o qualcosa in modo da accettare qualcuno per quello che è, anche quando è diverso da te o non sei d’accordo con lui. Gli stessi pensano che quando rispettiamo gli altri, loro rispondono in modo gentile; è una bella convinzione e una lodevole speranza, ma quasi mai funziona in questo modo.

La parola deriva dal latino respectus, da re-spicere, guardare indietro e quindi considerare con attenzione. In italiano (così riporta il Grande Dizionario della Lingua Italiana-UTET) il significato preponderante è quello di “sentimento e atteggiamento che nasce da stima, deferenza, considerazione verso qualcuno che si ritiene superiore” (dal 1300 al 1900) e molto meno usato (dal 1500) esso vale “sentimento di riguardo e attenzione dall’offendere gli altri”.

Come sempre l’etimologia ci aiuta a entrare nel valore della parola e, se è evidente che l’uso che ne viene fatto oggi riporta verso quest’ultima spiegazione, non occorre nascondere che esso venga stravolto perché anche in questo significato si dice di non offendere che è cosa diversa dall’accettare.

Mentre la storia della lingua esprime qualcosa di importante, oggi essa viene forzata, “senza alcun rispetto”, ai fini che chi opera la deformazione vuole realizzare.

Da questo punto di vista la parola risulta inutile stravolgimento delle relazioni tra le persone: a parte il fatto che da molto tempo c’era l’invito al fair-play, l’uso generalizzato di “respect” fa credere che in una partita debba trionfare una visione morale e non il rispetto delle regole del gioco. Come abbiamo visto in molti altri casi si cerca di affermare il predominio della morale sulla politica, che inverte l’ordine delle cose. Se la morale del Bene è il punto di partenza allora non contano le contraddizioni, le difficoltà, l’evoluzione, il progresso; non conta la Legge, o meglio si vuole che la legge si conformi alla morale. È lo Stato Etico, carattere di ogni Stato dittatoriale.

Si dimentica che le partite si fanno per vincere e che le gare sono istituite perché qualcuno, individuo o gruppo, possa affermarsi, lavorando con impegno e avendo la possibilità di migliorarsi: d’altra parte questa campagna per il “rispetto” va di pari passo con la campagna contro il merito, faticosamente sopportato nel lavoro e nello studio.

Come sempre succede, quando si avviano campagne che operano contro il principio di realtà, c’è sempre qualcuno che si propone “più realista del re”. È successo infatti che alcuni allenatori siano stati licenziati perché la squadra ha vinto con molte reti di differenza. “Non bisogna umiliare l’avversario”, questo slogan, senza comprendere che tra me e Borges c’è un abisso (a favore suo, ovviamente). I francesi, padri dell’uguaglianza e della fratellanza, pur nel rispetto del rispetto, non hanno rinunciato a vincere 14 a 0 contro la povera Gibilterra.

 

Su Internet non è difficile trovare questo nuovo Comandamento e le sue articolazioni.

Si invita all’ascolto senza giudicare. Questo proponimento non indica rispetto, ma sottomissione: ogni affermazione, forte o debole che sia, ha in sé una certa quantità di giudizio, di valutazione, di riconoscimento di ciò che esprimiamo e dunque è una parte importante di noi stessi e del rispetto che abbiamo di noi stessi. Se vogliamo che il dialogo sia produttivo e non un gioco a somma zero è bene che ogni parte si assuma la responsabilità delle proprie parole, senza nascondere quella parte di valutazione che esse esprimono. Non mentire a noi stessi è la condizione per non mentire a chi vuole dialogare con noi e per poter crescere, se siamo disposti a farlo.

Fare compromessi e rispettare i confini. Questo precetto non è sbagliato in sé, ma ha valore solo se esistono dei patti che hanno un riconoscimento legittimo e quindi risultano il prodotto di legittime istituzioni. Anche in questo caso si rinvia all’aspetto giuridico delle relazioni.

Dare la priorità ai bisogni e ai sentimenti altrui. Anche questo precetto ha un valore astratto e moralistico, perché, se messo in pratica, contraddice uno dei principi fondamentali del rispetto, cioè la stima di se stessi, il senso di amor proprio (come si diceva una volta) senza il quale non esiste un Soggetto o un IO autonomo.

Mostrarsi vulnerabili. La debolezza è un segno di forza e di rispetto solo se è un fattore reciproco, all’interno di una relazione, nei rapporti tra Stati, nella disputa tra grandi o piccoli soggetti. In generale però, la debolezza, che la vulnerabilità manifesta, può essere l’occasione per chi ha brame di potere e sopraffazione. Nella storia gli esempi sono numerosi (es. Patto di Monaco del 1938), ma anche nella vita sociale, ad esempio quella scolastica o quella lavorativa, dove la vulnerabilità si è spesso trasformata in vittimismo, creando vantaggi che hanno dato vita a disuguaglianze a danno dei meritevoli.

 

RIFLESSIONE INTERMEDIA

Avendo conoscenza degli studi che la psicologia e la sociologia hanno sviluppato negli ultimi decenni, ci rendiamo conto che l’attenzione al rispetto è cresciuta notevolmente, come tutto ciò che ha a che fare con l’interesse per la persona. Non c’è dubbio che negli ultimi duecento anni circa il ruolo dell’individuo sia cresciuto in maniera esponenziale: come scrive la studiosa Tara Isabella Burton Al posto di pochi uomini di genio rinascimentali, ora siamo tutti autocostruttori, che ci piaccia o no” (Self-made: creating our identities, 2023 ).

Questo fenomeno ha lentamente spostato l’attenzione dal generale al particolare, dai centri di potere all’individuo, dal gruppo al singolo, laddove anche la Scienza ha messo in discussione leggi universali in grado di spiegare la realtà.

Il rispetto è diventato dunque un tema importante per la crescita dell’individuo che ha bisogno di autostima per essere stimato e allo stesso tempo ha bisogno di essere considerato per riconoscere la propria autostima.

In questo campo e a questo livello il rispetto, dovuto a noi da noi stessi e dagli altri, è un aspetto nuovo e decisivo e giustamente ha interessato gli studiosi compresi i decisori politici. Cosa diversa è trasformare questa nuova dimensione in un precetto da imporre socialmente, per cui, ancora una volta, si trasforma una riflessione etica o morale in una pretesa uniformatrice.

I cambiamenti negli atteggiamenti e nei costumi si riflettono sempre in nuove applicazioni normative, in principi legislativi che ne sottolineano l’importanza. Ancora una volta il rispetto è qualcosa che impegna le singole persone all’interno di un quadro legislativo che è sempre, in uno stato liberaldemocratico, il vero punto di riferimento. Questo, ad esempio, è quanto prevedono le regole che caratterizzano il gioco del calcio: è il rispetto di queste regole che è un obbligo per tutti i giocatori. Lo stesso avviene anche in campo lavorativo dove si procede a sanzionare determinati comportamenti che si possono riferire come “mobbing”, naturalmente attraverso i diversi gradi di giudizio e non per mezzo di campagne sui social. Anche nei rapporti con gli ambienti della natura o i luoghi abitati la legislazione è andata evolvendosi, punendo comportamenti che solo qualche decennio fa non venivano puniti: gettare rifiuti in luoghi come fiumi o foreste, gettare per terra mozziconi di sigarette, fumare in luoghi pubblici e aperti al pubblico, come scuole, cinema, bar e ristoranti o negozi.

Il punto di riferimento non è dunque di tipo moralistico, ma normativo, perché è qui che la società, attraverso le sue istituzioni, deve procedere in maniera sempre più stringente.

A questo livello assistiamo a una forbice sempre più ampia tra le campagne pubbliche per il rispetto e un certo laissez-faire delle autorità che, nonostante esistano norme chiare, spesso scelgono la strada del perdono anticipato.

Il politicamente corretto, ergendosi a giudice supremo, mette l’accento sulle campagne uniformatrici e denigratorie, che pongono in secondo piano o addirittura negano il principio di autorità istituzionale: è di questi tempi la discussione sul “patriarcato” che è diventato il responsabile anonimo e fantasmatico di molti comportamenti. La responsabilità in una società libera e democratica è sempre personale ed è la legge che ne stabilisce i contorni.

Ecco siamo giunti alla parola decisiva che deve essere la chiave di volta anche del “rispetto”: responsabilità. Soffermiamoci un attimo su questo termine, partendo dalla sua origine che ci permette di coglierne sfumature, significato e direzione.

Essa ha origine nel latino re-spondere, dove il prefisso re- indica un ritorno, un guardare indietro soffermandosi; spondere invece è promettere, impegnare (vedi sposo). Dunque, la responsabilità è l’impegno a mantenere la promessa, un guardarsi indietro perché ci sia un collegamento tra il prima e il poi: è qui che re-spectus e re-spondere si incontrano e si coniugano. La responsabilità è rispetto e il rispetto è responsabilità.

La prima responsabilità è naturalmente verso se stessi e dunque richiede il rispetto di se stessi: rispondere a ciò per cui ci siamo impegnati, questo è rispetto.

A livello sociale, come membri di una società, ci siamo impegnati al rispetto delle norme che questa, attraverso le sue istituzioni, si è data per garantire la coesione tra le persone.

A livello individuale e dei gruppi di cui siamo parte esistono impegni che ci siamo assunti come coniugi, come genitori, come dipendenti, come credenti e qui il punto di partenza rimane quello del rispetto delle norme, ma esiste anche un secondo livello che ha a che fare solo con noi stessi, col senso che diamo alla nostra vita e col senso che vogliamo dare alla nostra esistenza.

Sul primo livello le cose sono chiare e non ci dovrebbero essere dubbi: siamo responsabili delle scelte che facciamo.

Sul secondo livello la realtà è molto più fluida, ma riguarda la comunità di cui facciamo parte, e qui le cose risultano più complesse perché coinvolgono persone che ci sono vicine, con le quali esiste una relazione che è sia incontro sia scontro, perché con il nuovo ruolo assunto dall’individuo l’esigenza di riconoscimento (recognition in inglese) diventa l’elemento principale.

Le differenze sono positive perché creano la nostra identità (vedi capitolo su Diversità). Ciò significa che esistono differenze individuali, ma anche comprendere che, come membri della società, siamo uguali. Rimane però fondamentale il rispetto per se stessi perché apprezzeremo gli altri nella misura in cui siamo in grado di apprezzare noi stessi.

La maggior parte degli studi sul rispetto tende a valorizzare l’uguaglianza e trascurare la differenza e l’impegno, anzi la lotta, soprattutto interiore, per la considerazione e il rispetto nei confronti della nostra persona. Questo viene fatto con indicazioni pratiche del tipo “non alzare la voce, stringi la mano, accetta le opinioni e le credenze altrui, mantieniti calmo, non gettare rifiuti nei fiumi. Questo viene fatto anche a livello teorico, che però è più un atto di fede che un’analisi dei comportamenti reali, lasciando poi di stucco quando certi fenomeni, esorcizzati teoricamente, avvengono, e spesso con una certa regolarità

Raramente si trovano espressioni più realistiche ed utili, anche se mescolate con le solite fantasie e i soliti buoni propositi.

Ho comunque trovato in un Centro di ricerca psicologica di tipo cognitivo la seguente indicazione: 5. Don’t let them disrespect you-Non lasciare che ti manchino di rispetto.

Non permettere a nessuno di approfittarsi di te.

Il rispetto va di pari passo con l’autostima. Maggiore è l’autostima, minori sono le possibilità che subisca la mancanza di rispetto. Ricorda che gli esseri umani si sforzano di ottenere rispetto, ma dobbiamo concentrarci sul fornire a noi stessi il rispetto che meritiamo.

RIFLESSIONE FINALE

Perché è difficile che, parlando di rispetto, gli studiosi evitino di affrontare questo ultimo punto, muovendosi in termini molto generici e non mettendo in evidenza che condizione fondamentale per sane relazioni è quella di “NON LASCIARE CHE GLI ALTRI TI MANCHINO DI RISPETTO”? Dietro questa espressione è presente una realtà storica e culturale che non può sparire solo per i buoni propositi di psicologi e sociologi, il fatto cioè che spesso le relazioni ai vari livelli sono conflittuali, anzi molto conflittuali, per cui presentarsi privi di questa coscienza e della disponibilità al confronto-scontro ci lascia in balia degli altri.

Per fortuna il senso comune in genere prevale e quanto metabolizzato nel corso di millenni non scompare per un semplice atto di volontà.

A livello teorico significa fare i conti, sempre, comunque e ovunque, con quella forza vitale senza la quale non ci sarebbero né società né vita: la volontà di potenza. Naturalmente la volontà di potenza nietzscheana (che è anche “lo slancio vitale” di Bergson) non è quella paccottiglia che ideologie con diversi fini hanno manipolato, ma la volontà di rendere possibili situazioni (poter creare non il potere di opprimere).

E’ quella volontà che sa di poter creare il nuovo, un noi superiore a quello che siamo oggi. Di questo ho parlato ampiamente in molti saggi.