Il colonialismo non fu solo negativo, come dimostra l’indipendenza del nostro sistema giudiziario, le infrastrutture del trasporto, l’acqua corrente”. Helen Zille, militante anti-apartheid e poi premier della Provincia del Capo Occidentale in Sud Africa (2017).

Cosa c’entra lo Zimbabwe con il politicamente corretto? Domanda legittima, ma anche ingenua. Dietro questo grande paese africano si celano le maschere di quell’atteggiamento occidentale che ha rinunciato al proprio riconoscimento per una moralistica solidarietà che tradisce soprattutto una enorme debolezza di pensiero. Lo Zimbabwe non è altro che uno dei tanti esempi di questa attitudine, forse quello estremo, e si potrebbe parlare di altri Stati che non hanno raggiunto quelle condizioni ma che si sono mossi sulla stessa strada: tanto per citare Angola, Mozambico, Congo, Ruanda, Tanzania, Sudan, Etiopia, Eritrea e ancora.

PUNTO PRIMO

In tutta l’Africa la vita sociale e politica è regolata dalla presenza di tribù che occupano territori più o meno ampi; come è avvenuto in tutti i continenti anche qui si è proceduto spesso, ma non sempre, e in molte regioni, ma non ovunque, a vere e proprie organizzazioni statali, in genere dei Regni. Nel caso dello Zimbabwe la scoperta di imponenti rovine di una grande città, Grande Zimbabwe, risalente al XII secolo fa pensare all’inizio di una dominazione indigena anteriore all’arrivo degli europei. Notizie più precise le abbiamo a partire dal XV secolo quando nacque il potente Impero di Monomotapa che ebbe come riferimento commerciale gli arabi con i quali scambiavano di tutto, dai metalli agli schiavi.

Guerre tra tribù con il dominio in questo periodo degli Shona a danno degli Ndebele, ma nel XIX sec. le parti si invertirono anche per la pressione degli Zulu che provenivano da Sud. Non è importante qui seguire minuziosamente gli avvenimenti di quel periodo. Nello Zimbabwe, come nel resto dell’Africa, non esistevano pacifiche tribù che vivevano tranquille in aree delimitate, ma popolazioni che, come ovunque, combattevano tra di loro per il predominio, ricorrendo a tutto ciò che la storia dell’uomo ha partorito e costruito: sangue, schiavi, denaro, potere. I portoghesi ebbero poca influenza e infatti furono gli inglesi, grazie agli esploratori, ad avere tutti gli strumenti, culturali economici militari, necessari a imporsi. Numerosi furono i viaggi fatti nel 1700, ma la svolta si ebbe con Livingstone che arrivò nel 1855 alle Cascate che chiamò Vittoria in onore della Regina, mentre Stanley lo raggiunse nel 1871 e da lì continuarono l’esplorazione. Molti altri esploratori, russi italiani tedeschi soprattutto, cercavano di scoprire cosa c’era nell’Africa meno nota, quella dell’interno e a sud, più lontana dall’Europa. Da un lato c’era un’esigenza culturale, conoscere popoli fauna e flora, dall’altro c’era l’esigenza missionaria ed economica.

Anche qui bisogna essere chiari: gli Arabi pensavano al commercio e alla diffusione dell’Islam, le tribù locali al potere, mentre da parte degli europei c’era un’idea molto più ampia, la convinzione di portare la civiltà. Si può discutere quanto si vuole, ma l’idea che i bianchi europei abbiano sottomesso i poveri neri indigeni è semplicistica, moralistica, in una parola falsa.

Tra l’altro va ricordato che la maggior parte delle popolazioni presenti nell’emisfero australe dell’Africa, i Bantu, non era indigena ma si era imposta provenendo dal Golfo di Guinea, diverse migliaia di km a Nord Ovest.

Lo sviluppo dello Zimbabwe si deve a Cecil Rhodes, imprenditore e politico, che nel 1888 stipulò un accordo con il Re dei Matabele Lobenguela, assicurandosi lo sfruttamento delle risorse minerarie del territorio, accordo che alcuni considerano truffaldino. Anche qui bisogna essere chiari: la Storia è fatta dai rapporti di forza e un accordo può essere non eguale o per stupidità di uno dei due contraenti o per sua debolezza. Non furono né Rhodes né Lobenguela che aveva sottomesso gli Shona i responsabili di questa situazione: c’è da dire inoltre che a Sud dove c’era la Colonia afrikaan del Capo di origine olandese, gli Xhosa combattevano contro gli Zulu dopo aver debellato i Khoisan (boscimani e ottentotti), arrivati nella Regione prima di loro, e non mancarono conflitti anche tra i coloni di origine britannica e i boeri di provenienza olandese e tedesca.

Pensiamo infine che le principali etnie nere sono tre alle quali si devono aggiungere bianchi, asiatici e meticci. C’è infine da ricordare che ogni etnia era organizzata secondo una divisione in caste che riproduceva privilegi e sottomissioni come da sempre si sono strutturate le società nei vari continenti, con una differenza per quanto riguarda l’Europa che nel XIX secolo si trovava in un processo di superamento di quel modello organizzativo.

 

PUNTO SECONDO

I conflitti etnici sono la norma ben prima dell’arrivo degli Europei. Lo sviluppo economico generato da questi, soprattutto grazie alla British South Africa Company,  Compagnia commerciale fondata da Rhodes, cambiò in modo rapido quella che era la vita socioeconomica del Paese, basata su forme di autoconsumo e poche attività commerciali. Lo sviluppo di un’economia di mercato sconvolge i tradizionali modi di vivere, in Africa come in Europa. Marx chiama questo processo “accumulazione originaria”: può non piacere e possiamo trovare l’affermazione di nuovi privilegi e nuove forme di potere, ma criticarlo è come criticare la Storia.

E anche qui bisogna essere chiari: le nuove forme socioeconomiche non peggiorano le condizioni di vita della popolazione locale; il mito del “buon selvaggio” che viveva felice, a contatto con la Natura, è per l’appunto un mito, cioè una fantasia. Se i britannici non si fossero imposti le popolazioni locali avrebbero continuato sottomesse e discriminate, senza possibilità di crescita, obbligate a ripetere la propria sottomissione all’etnia e alla casta di volta in volta vincente.

Come si sa la Rhodesia, nome che prese la regione (attuali Zimbabwe e Zambia), inaugurò un regime simile all’apartheid sudafricano. La critica a questo modello divenne generale in Occidente tanto da spingere a una sua abolizione nel 1979, ma una riflessione seria ci porta a dire che questa critica aveva un senso da un punto di vista occidentale, perché il sistema non era peggiore delle stratificazioni tribali, etniche e di casta del dominio Shona o Matabele. Lo stupore e le reprimende moralistiche dei regimi comunisti (guarda da che pulpito!) e dei moderni liberali erano fuori luogo e impedirono un processo di crescita e di trasformazione non traumatico. Non a caso fu un labourista inglese a non voler concedere l’indipendenza alla Rhodesia perché non democratica costringendo nel 1965 il Primo Ministro Ian Smith, bianco africano, alla dichiarazione unilaterale di indipendenza. L’ONU su spinta britannica stabilì sanzioni contro la Rhodesia dal 1965 al 1979.

I risultati si videro da subito.

Evidenti furono i danni economici, limitati dal fatto che non tutti i paesi aderirono alle sanzioni, ma la catastrofe avvenne perché URSS e Gran Bretagna sostennero i guerriglieri di ZANU e ZAPU, marxisti, addestrati e finanziati dai regimi comunisti. Dopo la vittoria favorita dall’Inghilterra i due Gruppi cominciarono a lottare anche tra di loro provocando quello che alcuni considerano un vero e proprio genocidio nel Matabeleland (1980-1988). La stessa cosa succedeva in Angola e in Mozambico tra filosovietici e filocinesi.

Lo Zanu era guidato da Mugabe che dal 1980 ha detenuto il potere creando uno Stato sempre più dittatoriale e una società sempre più povera.

E questa è la storia di tutta l’Africa.

 

PUNTO TERZO

Nel 1980 Mugabe sale al potere e la sua politica spinge contro i bianchi sempre più estromessi dalla vita politica e sociale e contro l’etnia Matabele: guerra civile e genocidio di cui abbiamo parlato. Forte di una retorica anticolonialista e improntata al socialismo, provvide all’esproprio dei beni appartenenti alla popolazione bianca gettando l’economia in una situazione sempre più disastrosa. Il Paese aveva garantito, sotto il governo coloniale, un benessere generalizzato, perché era la comunità bianca che rappresentava la base dell’economia del Paese: le nazionalizzazioni e un potere sempre più totalitario portarono al disastro. Mugabe dopo aver colpito i bianchi che lasciarono il Paese si rivolse contro la comunità nera che aspirava a una democratizzazione.

Il fallimento della politica di Mugabe è dato da:

1)un’inflazione crescente che ha raggiunto cifre mai viste: dal 1980 al 2023 la moneta ha perso ben il 206.584.70%;

2)spese militari enormi con la partecipazione diretta in Congo;

3)la distruzione dell’economia reale costruita dai bianchi e la sua sostituzione con un’economia statalista che favoriva ristretti gruppi sociali;

4)la fuga dal Paese di molti abitanti alla ricerca di un lavoro che hanno trovato soprattutto in Sud Africa.

Come nel resto dell’Africa subsahariana la politica di aiuti da parte dei Paesi più avanzati ha mostrato il suo fallimento: la crescita degli aiuti ha comportato l’aumento della povertà, per la deresponsabilizzazione e per la diversione delle ricchezze da parte dello Stato. In Zimbabwe si è andati oltre e alcune statistiche risultano drammatiche: la mortalità infantile colpisce 81 nati su 1 000, mentre la speranza di vita è di solo 43 anni, una tra le più basse di tutto il mondo (era di 60 anni all’inizio del XXI secolo, con il tempo è scesa a 45 e adesso è a 43 anni). Secondo dati UNICEF lo Zimbabwe ha avuto la più alta crescita della mortalità infantile nel mondo, avendo fatto registrare un aumento del 50% rispetto ai primi anni Novanta. Intorno al 2003 si attestava al 61‰, adesso è all’81‰.

 

CONCLUSIONI

Certamente la realtà dello Zimbabwe è estrema, ma la situazione degli altri Paesi dell’Africa Centrale e Meridionale non è molto diversa e soprattutto ha messo in luce gli errori catastrofici di un atteggiamento culturale che fatica ad essere superato. Anzi i luoghi comuni del politicamente corretto si sono diffusi con la diffusione della cultura di massa e mostrano quello che alcuni hanno chiamato “il suicidio dell’Occidente”.

Vediamoli.

1)Attribuire alla presenza europea la situazione di arretratezza del continente;

2)Non comprendere il peso delle rivalità etniche (e anche religiose di matrice islamica) nella difficoltà di procedere a uno sviluppo;

3)Insistere su una politica di aiuti invece di favorire l’imprenditoria locale;

4)Continuare con la demonizzazione del capitalismo nonostante il fallimento del “socialismo africano” che ha dimostrato di essere incapace di produrre ricchezza;

5)Nascondere il ruolo positivo della colonizzazione nel creare le basi per una crescita continua, quella che Marx aveva chiamato “Accumulazione originaria” (Capitale, Libro I, cap. XXIV);

6)Attribuire esclusivamente all’Occidente la Tratta degli schiavi che coinvolse primi fra tutti gli Arabi mussulmani e le tribù indigene;

7)Tacere dei continui conflitti tra etnie per la presa del potere e del contributo dato dai regimi comunisti a questi conflitti;

8)Continuare ad additare l’Occidente come responsabile dell’arretratezza africana, evitando di parlare delle guerre che continuano in moltissimi paesi, dal Sudan al Congo, sia per rivalità etniche sia per affermare il potere di potenti gruppi, che in genere rinviano a componenti etniche e religiose;

9)Il razzismo storico e contemporaneo manifestato nella maggior parte dei paesi anche all’interno di gruppi dalle comuni origini, come i bantu. Un esempio fra i tanti lo si è visto quattro anni fa in Sud Africa tra gruppi locali e lavoratori nigeriani e zimbabwani.

Questi nodi sono storici e strutturali e non esiste una bacchetta magica per scioglierli, ma certo è che la politica di aiuti attuata fino ad ora ha aggravato la situazione e di questo si sono resi conto numerosi gruppi che l’avevano sostenuta. Purtroppo, l’ideologia e il moralismo continuano approfittando delle lotte di potere in comunità frammentate e dei sensi di colpa occidentali. Tutto questo mentre l’estremismo islamico cerca di allargare i propri spazi come in Libia, Mali, Nigeria, Sudan, Somalia e Mozambico.

Come in Occidente il politicamente corretto crea disastri, perché evita di guardare in faccia la realtà, la Storia e le sue contraddizioni, preferendo il moralismo che nasconde la violenza e la lotta per il potere di alcuni gruppi etnici e religiosi ben identificati. Come in Zimbabwe l’involuzione economica e politica del Sud Africa ne è un testimone inesorabile.