APPUNTI COREANI: resoconto e impressioni

 

Ero stato nella Corea del Sud due anni fa in una veloce fuga senza pretese, ma necessaria per una migliore respirazione. Il viaggio, come dice Baudelaire nella sua celebre e omonima poesia, non è un obbligo né una necessità: se vuoi viaggia e molti lo fanno per motivi diversi mentre molti preferiscono non muoversi. Per me è sempre stato qualcosa di vitale e piano piano si è rivelato un momento decisivo nella costruzione della mia persona: sulla spinta di mio padre e come rimedio all’immobilismo dell’ideologia il viaggio ha assunto una chiave di lettura della mia persona e uno strumento essenziale di metabolizzazione. Naturalmente seguendo l’insegnamento di Baudelaire che dice: “Il vero viaggiatore viaggia solo per partire”. Questo verso raramente è rimasto a fregiare il mio percorso, come una massima di vita, perché l’ho divorato ed espulso più volte, cercando di cogliere una delle 360 possibili angolature che suggerisse qualcosa non vista né toccata in precedenza.

Ho, quasi fin da subito, rinunciato a fornire una visione metafisica comune a tutti i viaggiatori, quella che permette di dichiarare di aver identificato il “vero” Paese e il “vero” abitante di quel Paese. Non è tanto la pretesa di aver svelato una “verità assoluta” su uomini e istituzioni che neanche chi ci vive è in grado di cogliere, quanto l’errata prospettiva che ci esclude dallo studio trasformandoci in “osservatori esterni” non condizionanti il fenomeno né condizionati da esso.

Ho applicato al viaggio alcuni dei metodi in uso nella teoria della complessità che considera lo studioso, in questo caso il viaggiatore, come parte essenziale del fenomeno.

Due anni fa sono stato solo sei giorni, due a Seoul due a Gyeongju due a Busan. Troppo poco, forse, anche se è difficile dire cosa sia o non sia “poco”, soprattutto per chi è alla ricerca di suggestioni, cioè di suggerimenti, per meglio e più fare i conti con se stessi. Non esiste un motivo fondato per scegliere la Corea né ricordo cosa mi abbia fatto pensare a quel Paese in un periodo, quello pre-invernale, abbastanza rigido in termini di temperature. La curiosità, il confronto, la diversità, la televisione, il cinema, o forse qualche stimolo che non sono riuscito a trasformare in pensiero. Non importa.

Tutti conoscono la storia della Corea, dall’invasione giapponese all’aggressione comunista alla Guerra di Corea terminata con un semplice armistizio che ha creato una divisione tra uno stato ancora rigidamente comunista e uno stato, quello a sud, che pur in modo non automatico ha scelto la libertà, politica ed economica. I pochi resoconti che escono dal nord mostrano un paese poverissimo nelle mani di un gruppo dirigente esaltato e fortemente repressivo con un atteggiamento militare da grande potenza e continue provocazioni nei confronti soprattutto di Giappone e Corea del sud. Il sud dopo le rivolte del 1980 e il massacro di Gwangju è andato sempre più in direzione di una democrazia liberale e ha saputo approfittare della globalizzazione di fine secolo per garantire sviluppo e benessere. Il recente Premio Nobel alla scrittrice sudcoreana Han Kang dimostra che il paese ha un tessuto culturale di un certo spessore se si pensa anche al successo in campo musicale, televisivo e cinematografico.

In Italia è possibile seguire alcune serie televisive, comiche e drammatiche (K-drama), e molti film, dai più semplici ai più complessi, alcuni di nicchia altri di grande successo: l’Oscar a Parasite nel 2020 e i film del regista Kim Ki-duk o di Bong Joon-ho, direttore oltre che di Parasite anche di due film interessanti come Mother e Memories of murder. Tra le serie televisive un paio con l’attore Lee Sun-kyun mi sono sembrate molto interessanti, accompagnate anche da una musica struggente ma coinvolgente: Payback e My mister.

Il primo viaggio è stato proprio un assaggio tale che non sapevo leggere neanche un carattere e -colpa ancora più grave- ignoravo l’esistenza del soju che avrei scoperto (e apprezzato) curiosamente in Vietnam.

Per evitare doppioni o ripetizioni parlerò unendo i due viaggi.

 

SEOUL

Prima digressione linguistica appartiene alla capitale. Un viaggio più lungo richiedeva una maggiore attenzione così che mi sono preparato anche a leggere i caratteri della lingua che è chiamata “hangug-eo”. Fin dalle elementari mi è stato insegnato che la capitale della Corea del Sud si pronunciava SEUL; studiando l’hangug ho capito che la trascrizione “eo” va pronunciata semplicemente “o” e che la “e” aggiunta serve per distinguere la “o” grave dalla “o” acuta che sono due caratteri diversi. Dunque, se vuoi andare nella capitale della Corea del sud devi dire SOUL non SEUL. La cosa si è verificata durante il mio viaggio tutte le volte che la TV, le persone o gli annunci la pronunciavano. Come Seoul è Soul così Jeonju è Jonju, Yeosu è Yosu e così via.

Seoul è una città bella e interessante, perché poliedrica. Vicino al mare dove è il suo aeroporto, è sostanzialmente pianeggiante, ma ha una collina, Namsan, un fiume e sullo sfondo vere e proprie montagne soprattutto a Nord. È caratterizzata da ampi viali scorrevoli accompagnati da edifici moderni e anche da un quartiere di case basse tradizionali; sono presenti numerosi monumenti storici sparsi e non concentrati in un’unica area. Concentrata all’interno di quella che fu la città potente del passato di cui possiamo ammirare le porte non ha un vero e proprio centro, ma si articola in aree che potremmo chiamare quartieri, anche se vasti. Il fiume Han a sud ha rappresentato un limite importante, ma la città è andata sviluppandosi oltre prima in modo coerente con la modernità della città e poi ancor più in periferia con grattacieli anonimi e simili a quelli che troviamo in tutta l’Asia orientale per accogliere i nuovi abitanti.

Una rassegna veloce dei monumenti, più o meno antichi, risulta necessaria, anche se non ho intenzione di sviluppare il dettaglio: ogni guida lo fa meglio di me.

Il bello di Seoul è che si può unire la visita di monumenti storici a piacevoli passeggiate per shopping o un caffè con la presenza di strutture moderne interessanti. Un percorso che mi è piaciuto molto è stato partire dalla Stazione di Seul (edificio moderno ed edificio storico) e procedere verso NW: ben presto si incontra una bellissima Porta Sud (Nam) e poi davanti al modernissimo City Hall con la sua Piazza c’è un Palazzo storico, il Deoksugung; va notato che qui quando si parla di Palazzi si intende un ampio spazio con diversi prati ed edifici. Dal successivo incrocio con Jong-ro si diparte un’ampia strada tutta pedonale che porta al Palazzo reale, enorme spazio con porte ed edifici storici al cui ingresso si può assistere a manifestazioni in costume. Questo tratto di strada è veramente piacevole con statue che ricordano l’Ammiraglio Yi Sun-sin e il Re Sejong il Grande, mentre alle pareti si sviluppa la storia della Corea classica con giochi di colori e immagini. Nonostante le strade laterali percorse dal traffico automobilistico il percorso è tranquillo e rilassante grazie anche al cielo nitido e terso dell’autunno coreano. Non lontano, in direzione est, troviamo un bastione e un vivace tempio buddista, il Jogyesa, e da qui visitare il villaggio di una volta con le sue case caratteristiche, Bukchon Hanok, con più di 400 anni di storia: sebbene non sia il migliore che c’è in Corea vale la pena per un primo assaggio.

A questo punto siamo a Insa-dong via e quartiere dei negozi di artigianato e souvenir, pregiato per tessuti, pennelli e maschere. Scendendo verso sud si incontrano diversi reperti storici lungo la Jong-ro, una delle arterie principali della città che presenta un ampio spazio caratterizzato da un santuario confuciano (Jongmyo) dedicato ai reali della dinastia Joseon dove si svolgono ancora oggi cerimonie rituali. Una leggera deviazione a nord per immergersi nell’enorme Parco del Changgyeonggung Palace, dove si trova un complesso di quattro grandi palazzi Coreani tradizionali, oltre a santuari e giardini.

Ancora qualche centinaio di metri a sud e poi est e si arriva a Dongdaemun Area dove di storico c’è la porta est (Dong) e un tratto ricostruito delle mura imperiali.

Il percorso storico qui presentato è puramente teorico e difficile da farsi di seguito in una giornata; soprattutto non conviene.

Altre porte e altri templi meritano eguale interesse, anche se dislocati in punti distanti tra di loro: difficile raggiungere la porta a nord, la Buksomun, che risale al XIV sec., mentre più facile il tempio buddista Bongwon-sa, con il solito spazio verde, un ruscello, varie statue, l’iconografia classica pittorica e statuaria. Un altro tempio buddista si trova a sud del fiume nel noto quartiere di Gangnam e vale la pena farci un salto: Bongeungsa più moderno e con una statua del Buddha alta più di 20 metri.

Gli ultimi aspetti storici ben tenuti e interessanti anche se non particolarmente stravolgenti sono due spazi separati che raccolgono le tombe reali, una a forma piramidale, l’altra a semisfera: si trovano nella parte sud non lontano dal celebre grattacielo. La Torre Lotte.

Prendendo una buona guida è bene farsi ispirare anche se talvolta può essere faticoso e risultare inferiore alle aspettative, ma questo è il viaggio. Io, ad esempio, appena arrivato alle 7 di mattina, lasciato il trolley in albergo, mi sono incamminato in una direzione un po’ casualmente e così metro dopo metro mi sono goduto il tratto che dalla stazione porta al Palazzo reale: è stata una gioia immensa, perché non solo non giravo a vuoto, ma si aprivano in continuazione sempre nuovi e interessanti spazi.

Naturalmente il turista non si accontenta dei monumenti, ma è interessato anche alla cultura in senso lato e da questo punto di vista Seoul offre molto, con musei ricchi di materiale e un grande, suggestivo memoriale della Guerra di Corea, che vale la pena avvicinare.

Passiamo ad aspetti naturalistici e ai quartieri.

Innanzitutto la collina di Namsan che si erge non lontano dall’aerea centrale e che è facilmente raggiungibile grazie a una cabinovia: è un luogo amato dagli abitanti che vi lasciano tracce del loro amore (biglietti, lucchetti, catenelle); c’è una bella vista e ci sono anche i resti di una torre d’avvistamento. La collina è anche meta escursionistica e a metà ci sono i resti di antiche mura. La migliore prospettiva è davanti al Parco di Yonsan, soprattutto al tramonto. La presenza di parchi e aree verdi è un’altra caratteristica della città; non sono delle dimensioni del Bois de Boulogne ma sono diffusi e ben tenuti.

Un luogo dove è piacevole girovagare anche in bicicletta si trova vicino al fiume ed  è l’isola di Yeouido, formata da due anse, facilmente raggiungibile dalla metropolitana.

Una bella passeggiata è anche quella lungo il canale Cheonggyecheon, completamente risanato negli ultimi anni e trasformato in una lunga passeggiata molto frequentata in cui si possono vedere aironi ed altri uccelli, percorsa da alberi soprattutto salici e con diversi murali. Essa va dalla City Hall fino a Dongdaemun e oltre passando vicino a due dei mercati più famosi e appetitosi della città, il Gwangjang e il Majang.

Passando ai quartieri, oltre a quelli che incorporano parchi e monumenti, vanno ricordati alcuni.

1)Myeong-dong, considerato il centro della città e caratterizzato dal mercato, anche notturno, di Namdaemun; si trova tra la stazione, il canale e il Namsan.

2)Il quartiere universitario di Ehwa e Sinchon, molto vivace per la presenza degli studenti con un ampio viale alberato completamente pedonale costruito su un vecchio tracciato ferroviario: animatissimo e pieno di locali soprattutto la sera.

3)Dongdaemun, dove accanto alla vecchia porta orientale è stata creata un’enorme piazza, la Dogdaemun Design Plaza. Si tratta di un vero e proprio hub culturale che accoglie manifestazioni artistiche e vede al centro una serie di costruzioni futuristiche progettate dal celebre architetto Zaha Hadid. La costruzione centrale si presenta sinuosa e quasi labirintica con contrappunti di vuoto e pieno, di tunnel e piazze, molto interessante anche perché rappresenta il Centro della Moda coreana ed è stato uno dei motivi principali per cui Seoul è stata designata come Capitale Mondiale del Design nel 2010. Può essere il punto di approdo di una passeggiata lungo il canale.

4)Gangnam a sud del fiume è un quartiere benestante, reso famoso a livello mondiale dalla celebre canzone “Gangnam style”; vale la pena sia per il Tempio citato sopra sia per le statue moderne ma significative che si snodano lungo Yeongdong-daero

5)Sempre a sud del fiume e a est di Gangnam c’è un altro bel quartiere moderno dove si erge la Lotte tower con due laghetti e l’ampio Parco Olimpico: non molto distanti le tombe reali di cui ho parlato sopra.

Che dire ancora? Girare per Seul, camminare senza necessariamente avere una meta, godersi l’aria e il cielo autunnali, fotografare il colorato foliage stagionale, scoprire questa e quella statua inaspettata in cui l’artista gioca con la materia. È vero che questa caratteristica è ormai comune a tutte le grandi città in tutti i continenti, ma qui è parte di un percorso che non risulta mai faticoso. Puoi andare a piedi e fare chilometri o prendere una delle metropolitane più lunghe del mondo e quando sei stanco fermarti in un “Cafè e desserts” per godersi un espresso o un americano con dolci meravigliosi (adoro il Kastella con panna di origine giapponese). Il numero di questi locali è impressionante; non solo Starbucks, ma tante altre, comprese Paris baguette e Paris Croissant, oppure Pascucci, Megacafè. Se poi urge il bisogno corporale nessun problema perché in tutta la Corea, non solo a Seoul, la densità di toilette gratuite e pulite è pari a quella dei café.

Provare per credere. Sapere per imparare.

I dintorni offrono molte possibilità, tra cui mare e montagna, ma i luoghi maggiormente interessanti sono DMZ e Suwon.

DMZ è la zona demilitarizzata coreana, cioè una striscia di terra che attraversa la penisola coreana. È stabilita dalle disposizioni dell’accordo di armistizio coreano per fungere da zona cuscinetto tra la Corea del Nord e la Corea del Sud. Molti sono i tour che vi ci portano, in due aree prestabilite, e permettono di vedere qualche resto del conflitto (tunnel, ponti) ma soprattutto fornisce l’occasione per poter dire di aver gettato uno sguardo sulla Corea del Nord. Non dico che non sia interessante, ma non la ritengo necessaria.

Diverso è il discorso relativo a Suwon, che si trova a mezz’ora di treno dalla capitale in direzione SW. Come città reale aveva bisogno di una protezione e per questo nel XVIII secolo fu cinta di mura che sono rimaste quasi intatte. L’interesse sta proprio in questo suo riprodurre la struttura originaria tanto che è possibile percorrere integralmente i suoi 5,6 km e questo richiede un paio d’ore o poco più. E’ un percorso straordinario, un misto tra Grande Muraglia e Porte storiche orientali che troviamo sia in Corea sia in Cina (es. a Xi’an). Le mura sono intervallate da porte grandiose e ben decorate e da numerose torri o bastioni di avvistamento: il tutto si snoda in parte anche in mezzo a una foresta e dunque risulta molto piacevole. Naturalmente il perimetro murario racchiude parti della città moderna che non risultano però invadenti: nella parte centrale troviamo anche una piazza d’armi con il Palazzo reale dove si svolgono manifestazioni folcloristiche in armatura con giochi di spade e lance, mentre vicino alla porta meridionale è possibile visitare un tempio buddista molto frequentato. Un canale attraversa da nord a sud la città rendendola anche più gradevole. La città nel corso degli ultimi decenni si è trasformata in centro industriale anche per la vicinanza all’aeroporto internazionale e alla capitale, ma la crescita è avvenuta abbastanza fuori dalle mura e dunque una visita alla fortezza è anche un immergersi tranquillo nel passato nobiliare.

 

JEONJU

A poco più di due ore da Seoul si trova questa città moderna con un cuore antico e dintorni interessanti.

Il cuore antico è dato dal Ma-eul-Hanok, termine che abbiamo trovato a Seoul e che sta a indicare un villaggio con le case di un tempo: Mae-ul vuol dire villaggio, mentre Hanok (Han è Corea e Ok è casa) è la tipica casa coreana tradizionale, qui caratterizzata da un solo piano e tetti di tegole a formare un movimento che ricorda quello dei templi. Rispetto ad altri villaggi che ho trovato nell’isola di Jeju o vicino ad Andong le case qui sono più strutturate e più eleganti, sicuramente perché fu la capitale del Regno Hubaekje e la capitale spirituale essendo la culla della dinastia più famosa, quella dei Joseon. Al centro del villaggio è l’area reale con un grande parco, un bellissimo santuario e diversi palazzi per gli ospiti, in uno dei quali c’è il museo con i ritratti reali vestiti nell’abbigliamento di corte tradizionale. Ad ovest del Parco reale si trovano da Nord a Sud due templi, una porta di stile classico e la Cattedrale di Jeondong tra le prime costruite in Corea, all’inizio del 1900. Due collinette in periferia con due piccoli templi permettono un certo sguardo sull’insieme della città e ai loro piedi verso il fiume troviamo un insieme di edifici che appartengono a una scuola confuciana con un albero enorme che si erge su una roccia.

A Jeonju nella parte più vicina al centro storico c’è una via chiamata Film Street dedicata al cinema e agli attori coreani con una modesta imitazione della Walk of Fame di Hollywood.

Non si può andare a Jeonju senza andare al Parco provinciale Maisan caratterizzato da due montagne a pan di zucchero una di fronte all’altra ma che permette un percorso che passa tra le due, un percorso fatto di ricca vegetazione, un corso d’acqua, dei templi, di cui uno classico e un altro fatto di pietre. La passeggiata non richiede più di due ore e, con il tempo bello e l’aria frizzante, è veramente piacevole. Si può arrivare ai due lati, sud e nord, in bus e comunque c’è una città di riferimento a pochi km, la città di Jinan.

Per concludere, va ricordato che la città è considerata la “patria del bibimbap” uno dei piatti coreani più tipici, fatto di riso croccante con verdure e un uovo, con possibilità di aggiungere della carne: a questo proposito nel villaggio storico, sulla via principale, c’è un ristorante che propone solo questo piatto e si pubblicizza come vincitore di premi. Vale la pena.

 

GWANGJU

Più a sud, ma ancora lontano dal mare c’è questa città che ha fatto la storia della Corea a seguito di una rivolta popolare nel 1980 repressa nel sangue e che aprì la strada alla piena democrazia. La parte più interessante di questa metropoli è l’Asia Culture Centre, insieme teatro e museo, con l’obbiettivo di valorizzare la produzione artistica asiatica, indipendentemente dalle caratteristiche religiosi, sociali e linguistiche. Si tratta di un enorme spazio, composto anche da un grande prato, che gioca su diversi piani e con diverse prospettive, tra il bianco e il nero, il chiuso e l’aperto, il verde e il cemento. La parte più coinvolgente è una statua a forma di mano con le dita a V in segno di vittoria, ma espressa con le sole ossa a ricordare la repressione subita: l’autore è un cinese che ha partecipato alla rivolta di Tien An-men volendo così avvicinare i due drammatici eventi, quello coreano del 1980 e quello cinese del 1989.

Questo è ciò che ho visto io, ma la regione è ricca di parchi naturali e di ricordi storico-religiosi.

 

ISOLA DI JEJU

Oltre l’estremità sud della penisola si trovano isole e arcipelaghi, di cui l’isola di Jeju è non solo la più grande ma anche la più famosa. Destinazione ambita da tutti i coreani di tutte le tendenze e località. Trovandosi molto a sud gode di un clima più moderato rispetto al resto della Corea e inoltre ha molti interessanti punti di riferimento sia storici sia naturali. E’ un’isola di origine vulcanica tanto da essere chiamata “l’isola nera” e in effetti molte sue parti sia interne sia costiere presentano pietre e rocce scure tipicamente vulcaniche; ma si trovano anche spiagge di sabbia chiara, con palme e acque trasparenti (vicino ad Hallim e ad Hamdeok per es.). L’isola è dominata da un gruppo montuoso vulcanico con tanto di crateri per raggiungere i quali ci vogliono circa 4 ore di escursione, ma c’è anche un altro cratere sul mare di dimensioni e altezza ridotti nella parte orientale, Ilchubong: un tempio alla base e un’ascesa ripida di circa 20’. Questa parte è molto caratteristica anche per la presenza di alcune spiagge e perché è la regione in cui operano ancora le haenyeo, donne che si immergono senza respiratori per la cattura di conchiglie: il numero che nel 1940 contava 30.000 donne si è ridotto a 2.800 che è comunque una bella cifra, se pensiamo al contrasto con la tecnologia del XXi secolo. Gli abitanti le tengono in grande considerazione tanto che numerose sono le statue che le riproducono.

Il paesaggio è molto verde soprattutto nelle regioni centrali, mentre nella pianura che circonda il gruppo montuoso l’agricoltura è intensa e intensiva, attraverso serre e all’aperto per la produzione di agrumi, soprattutto mandarini. Palme lungo la costa danno un senso di ambiente tropicale mentre fiumi e cascate non mancano così da dare un’immagine quasi primaverile; è chiaro che, come in tutto il resto della Corea, l’estate è molto piovosa anche qui. Nonostante il predominio della natura non mancano importanti resti storici, come templi (molto bello per i colori e le statue quello di Sanbanggul ai piedi di una montagna isolata) e soprattutto la presenza di un paio di villaggi popolari lasciati o ricostruiti come erano una volta. Il più interessante è sicuramente il Seongeup nella parte centro orientale, autentico con le mura e la porta originari costituito a differenza di quello di Jeonju di case basse con tetti di paglia, uno spazio antistante e la caratteristica piccola costruzione isolata per i bisogni corporali. Nulla di artificiale, un piccolo tempio, un caffè e un negozietto di beni di prima necessità: in fondo la città di Pyeoseon sul mare non è molto distante. La struttura delle numerose case è simile, ma varia per consistenza e ampiezza della proprietà, delimitata come altrove da muretti di separazione, in questo caso neri per l’origine vulcanica: immancabile come nel resto della Corea la presenza di un albero di cachi.

Le due città maggiori, Jeju-si a nord e Seogwipo a sud non sono di particolare interesse, la prima con un piacevole lungomare decorato con animali marini e un museo, la seconda con una strada dedicata al pittore locale molto stimato Lee Jung-seop che l’ha decorata.

Circolare nell’isola è facile visto che si tratta di strade a quattro corsie in lungo e in largo, se non fosse per i limiti e i controlli a piè sospinto relativi alla velocità con passaggi bruschi dal massimo di 80 a 30: spero di non aver preso multe. Nonostante, dunque, l’isola misuri solo 73 km di larghezza e 31 da nord a sud, percorrerla richiede tempo proprio ed esclusivamente per la circolazione stradale sotto continua osservazione.

Essendo un’isola molto gettonata dagli stessi coreani è piena di hotel, pensioni, b&b che in alta stagione, cioè primavera e estate, sono spesso al completo. Gli autobus ci sono ma non vale la pena: le compagnie di noleggio sono numerose. Il pesce naturalmente va alla grande nei ristoranti e non è molto economico, ma non mancano il pollo, fritto alla coreana con miele, e il maiale in genere a bbq.

Una caratteristica immancabile che contraddistingue l’isola in modo decisivo è la presenza ovunque di statue di esseri umani chiamate “nonni di pietra” regolarmente fatte con pietra vulcanica con un cappellino e molto evidenziati i lineamenti facciali e le mani, praticamente senza gambe: la loro altezza è variabile e rappresentano protezione e monito contro le avversità e per questo si trovano in genere a coppia davanti ai cancelli e agli ingressi sia delle case sia dei templi. Essi accompagneranno il viaggiatore in lungo e in largo perché esprimono una fede ancestrale che si è tramandata nel corso degli ultimi secoli, almeno cinque secondo gli studiosi.

 

YEOSU

Yeosu-si è una importante ma non grande città nella frastagliata costa meridionale, divenuta famosa soprattutto per l’Esposizione Universale che vi si è tenuta nel 2012 incentrata sulle risorse marine e che ha lasciato alcune costruzioni e un museo ancor oggi meritevoli di visita. La città è però famosa da un punto di vista storico perché non lontano si svolse la battaglia finale contro l’occupante giapponese nel 1598 che fu definitivamente cacciato dalla penisola: il merito fu di un eroe coreano, l’Ammiraglio Yi Sun-sin che aveva già sconfitto più volte l’esercito nipponico grazie anche all’invenzione della cosiddetta “nave tartaruga” una vera e propria corazzata d’altri tempi. Yeosu lo ricorda con una statua, un viale e molte riproduzioni della nave ammiraglia: la battaglia finale di Noryang vide la morte del generale giapponese, ma anche dell’Ammiraglio coreano le cui gesta ancora oggi vengono ricordate dalla maggioranza dei coreani. La città è famosa per l’edificio in legno più grande di tutta la penisola e che accoglieva il Quartier Generale della Marina Coreana ai tempi di Yi Sun-si: non originale, ma caratteristico per il tetto e i colonnati.

C’è poi un luogo molto amato dai turisti coreani ed è l’isola di Ondong-do, collegata alla terraferma da un lungo ponte e suggestiva soprattutto in primavera perché coperta letteralmente da piante di camelie, profumate e colorate, non a caso riprodotte in varie forme lungo le pareti del ponte. Infine un bel tempio a 30 km dalla città, Hyangiram, tra i luoghi sacri di una corrente del Buddismo Mahayana.

 

BUSAN (PUSAN)

Per noi due grafie perché <p> e <b> sono intercambiabili nell’alfabeto coreano.

Busan è la seconda città del Paese e si trova all’estremità sudorientale della penisola; essa è un porto importante e si è estesa nel corso degli ultimi decenni in lungo e in largo andando ad attestarsi tra le numerose colline che caratterizzano l’area. Diversamente da Seoul Busan è soprattutto una città moderna con numerosi grattacieli di valore da un punto di vista architettonico e che offrono prospettive interessanti. La città è costituita da diversi quartieri, da ampie spiagge, da colline, promontori, isole e il tutto è collegato da treni, autobus, metropolitana in modo egregio ma, proprio per le caratteristiche del territorioo, molto dispendioso per quanto riguarda il tempo. Il visitatore qui deve inventarsi il viaggio perché non c’è nessun palazzo reale, nessun museo straordinario, nessun reperto storico, ma c’è tutto quello che può piacerci senza particolare ansia né frenesia. Un tempio merita la visita, anche se la distanza e i diversi mezzi di trasporto necessari per arrivarci possono scoraggiare soprattutto se non si ha molto tempo a disposizione.

Busan è la Hollywood coreana e oltre alle manifestazioni cinematografiche c’è una via lungomare che ricorda con immagini e statue la storia del cinema coreano ed è uno dei luoghi che seppur non indimenticabili vale la pena avvicinare.

I mercati sono un grande aspetto della città sia per il numero sia per la qualità, come ad esempio il Jagalchi il più grande mercato di frutti di mare di tutta la Corea e, come è naturale, in ogni mercato c’è la possibilità di gustare lo street food che presenta la summa delle varietà alimentari coreane.

Il quartiere di Haeundae oltre a una ampia e bella spiaggia, oltre a un mercato alimentare prelibato offre la possibilità di un’escursione verso est con trenini colorati o Sky capsule molto amate dagli innamorati. Si può dire che questa sia l’estremità orientale della città, mentre quella occidentale è rappresentata dalla foce del fiume più lungo del paese, il Nakdong, a circa 30 km di distanza; la città si estende a nord per una ventina di km ma ormai molte aree un tempo periferiche costituiscono parte della Grande Busan. Il porto è importante non solo per il traffico delle merci, ma anche per quello passeggeri, perché rappresenta un rapido collegamento di poche ore (4-6) con la città giapponese di Fukuoka. Tra le visite curiose ci sono la Stazione ferroviaria e un villaggio particolare che si trova sulle colline, il Gamcheon Culture village, con case colorate disposte ad anfiteatro, negozi e locali caratteristici, frutto di una trasformazione artistica di quella che era un tempo una baraccopoli. Si trova all’estremità occidentale poco prima del grande fiume e richiede almeno un’ora di autobus, e anche più, dipendendo dal luogo di partenza.

E poi a Busan c’è tutto quello che c’è anche a Seoul in termini di vita quotidiana, tanti caffè, tanto colore, tanti giovani, soprattutto nel quartiere universitario, tante possibilità di divertirsi e stare insieme: insomma tutto ciò che può offrire una metropoli moderna: io sono stato solo due giorni in un periodo prenatalizio, ma penso che una settimana possa permettere di godere al meglio delle opportunità offerte dalla città.

Risalendo verso Nord ci sono due città che meritano di essere visitate per l’importanza storica: Gyeongju e Andong.

 

GYEONGJU

La città è abbastanza modesta nel suo corpo centrale, ma si caratterizza per una storia niente male dal momento che fu capitale per quasi mille anni del Regno di Silla fino al 935 d. C. e questa sua centralità passata ci permette al presente di recuperarne l’eredità.

Pochi passi a sud del centro abitato e troviamo un grande parco con tombe reali a forma di collinette circondate da alberi in un quadro idilliaco; nessuno penserebbe a un cimitero, ma per fortuna è stata aperta al pubblico la tomba più grande che permette di vedere cosa c’è al di sotto di quelle imprevedibili collinette. Lo spazio è tale da presentare la camera funeraria, dei corridoi, mentre gli oggetti che accompagnavano il viaggio dei defunti sono ricordati da fotografie e possono essere ammirati nel Museo Nazionale di Gyeongju. Il parco è interrotto da una strada importante e si presenta molto esteso, diciamo circa due km da nord a sud e un km da est ad ovest.

Il parco è frequentato come luogo di passeggiate per famiglie e innamorati, grazie alla presenza dei prati e dei salici e dei pini, ma presenta anche altre strutture storiche, tra le quali spicca un curioso osservatorio che sembra piuttosto una piccola ciminiera oppure il muro e la porta d’accesso alla tomba di Re Michu. All’estremità sud ovest del parco si apre il villaggio tradizionale, molto più modesto rispetto a quello di Jeonju con caffè e locali di vario genere.

Uscendo dalla città verso sud est incontriamo le fondamenta di una fortezza e soprattutto il Donggung Palace con il laghetto  Wolji: si tratta di un luogo molto suggestivo e iconico tanto da essere una delle immagini più rappresentative di tutta la Corea. E’ bello il palazzo che si rispecchia sul laghetto, sono belle le rocce e le piante che circondano il palazzo ed è piacevole l’aria che si respira, soprattutto in una fresca giornata di sole autunnale.

La città offre tante altre piccole cose, ma anche realtà importanti a una certa distanza. La più importante di tutte, facilmente raggiungibile in bus è il Bulguk-sa un tempio buddista risalente al VI-VIII secolo d. C. tra i più visitati e venerati di tutto il paese. Come tutti i templi importanti esso si articola in più spazi che si aprono uno dopo l’altro con caratteristiche costruzioni, gallerie, vere e proprie pagode. Il luogo è interessante artisticamente, ma anche per gli spazi anche laterali che si aprono protetti da muri caratteristici: è, come in posti simili, un luogo in cui i fidanzati amano vestirsi in abiti tradizionali e fare servizi fotografici professionali, come auspicio al loro futuro insieme.

Da qui si può salire a un altro luogo sacro, distante sei km, servendosi di un bus poco frequente o di un taxi un po’ caro: la grotta di Seokguram. Arrivati al parcheggio c’è ancora da fare un km a piedi in mezzo alla foresta per arrivare a uno spazio molto colorato con lanterne e dove è presente, dentro una grotta, una statua del Buddha, considerata come il più grande capolavoro dell’arte coreana riferita al Buddha. La statua non si può fotografare, per cui i fotoaddicts faranno meglio ad astenersi.

Io mi sono fermato qui, ma la regione offre una quantità di reminiscenze storiche veramente incredibili che solo con un’auto a noleggio è possibile raggiungere in tempi ragionevoli: ne vale la pena.

 

ANDONG

La città è molto più raccolta della precedente, ma non meno interessante. La visita storico-artistica è di minor peso, ma la città offre qualche spunto di interesse riguardo alla vita quotidiana.

Cominciamo con la prima parte. In città non c’è nulla che ricordi il passato, non ci sono palazzi o tombe reali, ma il paesaggio idilliaco caratterizzato da un fiume sinuoso e da asperità di vario genere hanno fatto sì che la città rimanesse nei secoli raccolta in se stessa, diventando rifugio di pensatori, pittori, letterati, sempre in posizione meditativa. Un paio di km a NE facilmente raggiungibile a piedi c’è la Pagoda di mattoni a sette piani (sinse-dong) alta 18 metri con piccole statue a decorazione e si trova abbastanza isolata nonostante un piccolo edificio e una nuova moderna pagoda in cemento. E’ una delle pagode di questo genere rimaste in Corea ma che è più facile vedere nella vicina Cina, per quello che la Rivoluzione Culturale ha lasciato in piedi.

I luoghi di maggiore interesse si trovano però a qualche decina di km e sono il Villaggio Popolare di Hahoe a circa 30 km e la grande Accademia confuciana di Dosan Seowon a 35 km ma in direzione opposta: entrambi sono facilmente raggiungibili in autobus.

Il villaggio di Hahoe è insieme a quello visitato a Jeju forse il villaggio popolare più caratteristico di tutta la Corea. E’ rimasto come era in origine, delimitato da un corso d’acqua, e ancora con qualche residente. E’ molto grande e presenta diverse strutture, perché le abitazioni della gente comune erano in mattoni con tetto in paglia, mentre i politici e amministratori abitavano nelle classiche case in muratura, decorate, con il tetto in tegole ricurve a imitazione dei templi e con porte adornate. Il villaggio presenta anche una chiesa cristiana lasciata come era e diverse costruzioni usate per cerimonie. Il paesaggio autunnale è molto particolare, un po’ grigio con il cielo nuvoloso, ma molto piacevole col sole, per la presenza degli immancabili cachi e del foliage giallo che indora l’ambiente.

Pochi km dal villaggio c’è una piccola ma interessante Accademia confuciana.

L’Accademia confuciana che non può mancare è invece quella di Dosan Seowon, immersa in un paesaggio forestale denso e davanti a un lago dove si erge un’isoletta con un piccolo tempio. Questa Accademia è costruita quasi come un tempio, con molti spazi a salire ed edifici che ricordano la vita dei saggi confuciani: abbiamo le stanze dove vivevano gli studenti, semplici ma adeguate, le sale di lettura, la stamperia e la scuola vera e propria dove insegnava il fondatore, Yi Hwang, detto Toegye, considerato uno dei principali intellettuali nella storia della Corea. Ha fondato l’Accademia nel 1574 per diffondere quello che viene chiamato il neo-confucianesimo: una sala è dedicata a lui con delle riproduzioni pittoriche simili a quelle con cui si rappresentavano i Nobili e i Re.

Per quanto riguarda la vita quotidiana c’è da dire che Andong è considerato un centro culinario di prim’ordine le cui specialità possono essere gustate nel vecchio mercato, coperto e molto animato soprattutto la sera. Se Jeonju è la patria del bibimbap, Andong è la patria dell’Andong Jjimdak, un pollo marinato e cotto stufato. Altri due prodotti hanno reso celebre la città: lo sgombro importato nei secoli dalla costa distante 70 km, salato e poi grigliato è considerato il migliore di tutta la Corea e il Soju che però ha una gradazione superiore a quello consueto di 16° raggiungendo i 21° per cui è anche più saporito. A proposito del Soju non poteva mancare il Museo del Soju, dove però non è previsto l’assaggio.

Uno dei souvenir più apprezzato dai turisti è dato dalle maschere, usate un tempo nelle feste di villaggio e che si trovano un po’ ovunque; il centro artistico di queste maschere generalmente in legno (soprattutto ontano) è considerato proprio Andong che ogni inizio di autunno celebra questa tradizione con un vero e proprio festival e ha costruito un Museo delle maschere che presenta anche oggetti di molti secoli addietro e si dice che una delle maschere presenti risalga a ben 5000 anni fa.

 

BRIC A’ BRAC

La Corea ama la carne e l’alcol, ma non disdegna il pesce, le verdure e il caffè. Il maiale, soprattutto nero (tipo il Pata negra spagnolo o la Cinta senese), è la base del metodo tradizionale, il barbeque, compresi rigatino e pancetta, in genere accompagnato dal soju questa specie di sakè (senza offesa) da 350 cl, e 16° il cui costo nei supermercati è di 1 euro e nei ristoranti di 3 euro. Per evitare che il fumo della griglia crei problemi ogni tavolo è provvisto di un aspiratore cilindrico che funziona benissimo. Il pesce in genere è salato e fatto seccare prima di essere cotto a fuoco vivo. Non mancano le zuppe, con molti vegetali, uova e anche carne o pesce, in più funghi, alghe, zenzero e vari tipi di peperoncino. Del bibimbap ho già parlato. Un’altra cosa va detta, che ogni piatto viene accompagnato da una serie di piccoli contorni, più o meno piccanti, più o meno numerosi, tra i quali non manca mai il kimchi. Il kimchi è una verdura (in genere cavolo bianco) fatta fermentare a lungo e insaporita col peperoncino: può non piacere sia per il piccante sia per l’acido che proviene dalla fermentazione. A me piace.

I dolci sono gustati soprattutto insieme al caffè, caldo o freddo, in genere Americano, e varie sono le contaminazioni con la pasticceria giapponese (Kastella) o europea (brioche, maritozzi) e varie tipologie di cheese cake. In genere una cena o un pranzo non vengono conclusi con un dessert, eventualmente della frutta.

I ristoranti sono molto frequentati, soprattutto da famiglie e gruppi di amici che quando si ritrovano non badano al consumo di alcol ed è possibile anche vedere molte bottiglie di soju su o vicino a un tavolo da quattro. Il BBQ è concepito come qualcosa di conviviale, per cui mi sono state rifiutate le possibilità di mangiare alla griglia perché ero da solo, ma questo è legato anche al fatto che avrei occupato un tavolo da quattro persone.

Il piacere del cibo è comunque visibile anche dalla presenza di numerosi baracchini che si trovano lungo le strade, alcuni semplici vendono prodotti già pronti o appena fatti, mentre ne esistono anche molti che hanno uno o due tavolini e preparano piatti caldi più elaborati e hanno una copertura di plastica in modo da garantire il pranzo anche in caso di maltempo.

Una nota particolare riguarda il gelato. A differenza del resto del mondo (in parte anche l’Italia) in Corea il gelato non è Ice-cream, ma proprio GELATO a riconoscere l’origine del prodotto e, si spera, la qualità.

Come ho scritto in precedenza la quantità di caffè-desserts è proporzionale al numero di toilettes pubbliche e viceversa, rendendo anche sotto questo aspetto molto piacevole il vagabondare per le strade.

Il traffico è abbastanza scorrevole anche in città, soprattutto perché i semafori sono sincronizzati in tempi molto lunghi e pedoni e autisti non hanno problemi ad aspettare: i semafori pedonali sono in tal senso veramente “eterni” ed io ero l’unico che non aspettava il verde, così il mio amico Taeyong si è messo a ridere e non è stato possibile convincerlo ad attraversare col rosso anche se non c’erano macchine in vista.

La polizia, stradale e non, è abbastanza presente, ma sempre in modo discreto e in ogni caso le città sono ben provviste di telecamere e in genere le persone si sentono al sicuro e protette, mentre i servizi di trasporto e comunicazione sono diffusi e ben organizzati. I collegamenti ferroviari tra le città più importanti sono realizzati con Treni proiettile permettendo un rapido spostamento, mentre la maggior parte dei collegamenti stradali è ormai su autostrade a due e più corsie. La cosa è abbastanza interessante, perché si passa sempre attraverso una natura dominante, ma, una volta lasciata l’autostrada, si entra in un mondo rurale estremamente lento e rilassato, in cui il tempo appare quasi fermo e i luoghi riportano alla mia infanzia. Nonostante ciò, anche nei villaggi non mancano i Convenience store, piccoli supermercati, in cui si trova di tutto; non c’è solo 7/11, ma anche qui, come per i Cafè, la concorrenza non manca.

Una cosa che può meravigliare è la presenza di chiese cristiane, delle diverse confessioni e di diversi periodi. Alla vista esse appaiono più numerose dei templi buddisti e in realtà le statistiche parlano di un 30% contro un 22%, mentre chi non ha espresso preferenze solo in piccola parte è non credente, perché sono diffusi molti altri credo, anche con riferimento civile (ad esempio la derivazione confuciana). La mia amica di Busan era in questo gruppo.

 

AU DELA’

È necessario per capire meglio il senso del viaggio ritornare a una breve disquisizione etimologica: lo stretto legame che esiste tra “diverso” e “divertimento”. Diverte ciò che è diverso. Dis e vertere, volgere da un’altra parte.

Ciò mi porta a una riflessione più ampia che circola nei luoghi comuni dei social moderni: prima di conoscere i paesi stranieri bisogna conoscere l’Italia. Detta così è una frase che non vuol dire nulla, perché io non dovrei andare in Giappone se prima non ho visitato Castiglion Fiorentino, Uderzo, Orgosolo, Menfi e tutto ciò che rende l’Italia il primo Paese al mondo per luoghi storici. Allora converrebbe prendere la cittadinanza del Liechtenstein così possiamo fin da bambini visitare tutto il mondo. Però quella frase ha pur sempre un senso, che ci riporta alle nostre radici. Spirale, tornare indietro per andare avanti. Grazie a mio padre ho potuto visitare molti luoghi storici del nostro Paese, ma non tutti hanno (avuto) questa fortuna: è la scuola che dovrebbe formare bambini e adolescenti a partire dalle nostre radici. Purtroppo, la scuola ha rinunciato a questo processo favorendo la penetrazione, anche se in forme più morbide rispetto ai paesi anglosassoni, della “cancel culture”. Glocal: relazione intima tra locale e globale.

Detto questo, per dovere, ripeto il piacere provato nel tornare in Corea del Sud dedicandole un tempo più adeguato: due settimane invece di sei giorni. Avendo visitato mezzo mondo sono contento che il mio amico Caso mi abbia concesso questa possibilità trasformata in volontà. Non esiste la conoscenza completa, ma solo suggestioni che tocca a noi volere allargare e approfondire; come, insomma, ci ha insegnato Pascoli. La suggestione non è sinonimo di verità assoluta, ma la sua verità non può essere rifiutata: ed è così che, volendo partire (per partire) tra le varie possibilità ho preferito tornare in Corea del Sud. Tornare a spirale, rivivere in modo nuovo, rinascere e ricreare. Ed è questo il senso del mio viaggio, non del tuo o del suo, ma del mio viaggio.

A Busan avevo conosciuto una ragazza che mi aveva aiutato nel metro e mi aveva comunicato il piacere di vivere in quella metropoli; a Andong ho conosciuto un ragazzo di Seoul che visitava i monumenti come me e mi raccontava i suoi sogni di studente. Due anni fa e questa volta tutte le persone a cui ho chiesto un’informazione si sono fermate, hanno aperto lo smartphone e hanno fatto di tutto per orientarmi. Non tutti, ma quasi.

I templi e le case li avevo conosciuti, ma questa volta ne ho visti di nuovi, dalle diverse forme e dalle diverse storie che nascondevano. Mi sono reso conto di come si cerchi di mantenere le distanze dal Giappone per secoli invasore e oppressore, anche se poi il giapponese, insieme al cinese e all’inglese, è la lingua di comunicazione nei mezzi di trasporto, a dimostrazione che i giapponesi di oggi sono comunque benvenuti. Anche per loro la storia torna indietro per andare avanti. E poi, in loco, pensando alla dominazione giapponese nei secoli, abbastanza brutale nel 1900, confermo quanto ho sempre pensato e scritto: l’Occidente non solo non ha fatto peggio degli altri popoli, ma al contrario è stato il primo che ha deciso, nelle istituzioni e nei fatti, di superare la storica attitudine umana.

La Corea del Sud non è il paradiso in terra e, confermava Tayeb, ci sono prepotenze, corruzione (ad es. la moglie del Presidente) soprusi e tutto quanto appartiene alla condizione di esseri umani, ma non mancano le critiche, le proposte e la ricerca della felicità. La reazione civile al recente tentativo di golpe da parte del Presidente dimostra proprio questo. Nonostante le minacce del Nord, il Paese si presenta vivace, una scrittrice (una donna) è premiata col Nobel per la letteratura, il cinema, la musica e la televisione vanno alla grande. Il paesaggio urbano di Seoul è stato rivalutato e la storia va di pari passo con la modernità. Le strade, i caffè, i bar e i ristoranti sono pieni di giovani, coppie e amici, ed è piacevole mescolarsi, anche se il pudore orientale manterrà le distanze.

La mia non è un’analisi sociologica, ma solo la reazione a un incontro. E certo posso mettere in evidenza le differenze di impatto con l’America Latina, l’Africa, il mondo arabo e islamico in generale: per certi versi l’incontro con la Corea del Sud appare molto simile a quanto vissuto in Cina, Giappone e anche Thailandia. Come viaggiatore, non sono uno storico, ma la mia cultura e i miei riferimenti culturali mi permettono di andare oltre agli stereotipi che, nel bene e nel male, accomunano neofiti e ideologizzati. Andrò in Islanda, in Colombia e a Tahiti, ma ciò non toglie il piacere provato anche questa seconda volta nella Corea del Sud. Per ora so leggere i caratteri, forse la prossima volta saprò dire qualche frase.