Brevissime: Complessità
Con il termine complessità si intendono oggi molte cose: si parla di teoria della complessità, di pensiero complesso, di sistemi complessi.
Anche i contesti di riferimento risultano i più svariati: per alcuni si tratta di qualcosa di esclusivamente matematico-fisico, per altri essa attiene alle scienze sociali e per altri ancora è qualcosa che si colloca al di fuori, oltre, una dimensione metascientifica.
Il punto di partenza che appare decisivo può essere collocato a cavallo di due secoli, il XIX e il XX, quando il sistema creato da Cartesio, Galileo, Newton e portato alle estreme conseguenze dal positivismo, comincia a entrare in crisi. Immediate propaggini le troviamo nel pensiero di Schopenauer e Nietzsche, nella poesia di Baudelaire e nel grande fiume della poesia moderna: la realtà oggettiva non esiste. Non è qui in discussione l’enorme sviluppo che la rivoluzione galileiana, cioè la scienza moderna, ha permesso di realizzare. Esso è difficilmente confutabile. Ciò di cui si sta parlando è la pretesa che quella rivoluzione ha avuto di innalzarsi a sistema, un sistema onnicomprensivo capace di ergersi a artefice demiurgico della interpretazione, della conoscenza, del cambiamento della realtà.
Da quando l’universo della scienza e della tecnica si sono imposti come destino dell’occidente, la separazione tra res cogitans e res extensa non ha solo aperto la strada alle cosiddette specializzazioni, ma ha anche scavato un fossato tra discipline: il sapere scientifico si è contrapposto alle scienze umane, laddove il primo identifica la Scienza con la esse maiuscola, mentre per le seconde il termine scienza è solo retaggio antico con il significato di sapere (scientia, da scire) generico. La contrapposizione tra scienze della natura e scienze umane è diventata sempre più forte dopo la rivoluzione del XVII secolo ed è rimasta non solo nella coscienza e nell’immaginario popolari, ma anche nelle strutture civili e nelle istituzioni.
In realtà mancava un terreno comune da cui partire e un orizzonte comune verso cui guardare.
Questo nuovo orizzonte è stato reso possibile dalla scienza della complessità che ha saputo rompere i muri di protezione con i quali era stata edificata la scienza classica. I meriti della nuova scienza non significano demeriti delle scienze umane: al contrario, i riferimenti alle varie forme del pensiero non scientifico sono divenuti non un onore alle armi del nemico sconfitto, bensì il riconoscimento di radici importanti.
La crisi della fisica ottocentesca e con essa di una scienza deterministica apre le porte alla complessità, ma la complessità si intreccia con la scoperta del caos e i successivi approfondimenti della teoria del caos. Il punto di partenza si ha con i lavori del grande matematico francese, Henri Poincaré, in particolare grazie allo studio dei tre corpi, e alla creazione della topologia, cioè dello studio generale della continuità.
Con lui emergono per la prima volta a livello scientifico problemi che nei decenni successivi andranno prendendo corpo e saranno alla base della complessità.
Mentre la fisica ottocentesca si poneva come obbiettivo quello di scoprire leggi universali e si caratterizzava per l’idea di certezza e di verità, la fisica quantistica che si sviluppa nei primi decenni del XX secolo porta alla luce la dimensione statistica e probabilistica, incrinando la fede nella verità e entrando in sintonia per il concetto di relativismo con gli studi di Einstein.
La crisi di certezza e verità non è nuova in altri campi di studio, ma appare nuova, almeno nel suo proporsi globalmente, nelle scienze fisiche.
Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenauer è del 1818, Corrispondenze di Baudelaire è del 1857, gli scritti di Nietzsche risalgono agli anni Ottanta del XIX secolo, il Fanciullino di Pascoli è del 1897, Uno nessuno centomila di Pirandello è del 1926.
Per quanto riguarda la crisi della fisica classica oltre Poincaré dobbiamo ricordare gli studi di Plank del 1900, a quelli di Einstein del 1905, ma soprattutto agli studi di Bohr e della scuola di Copenhagen: è del 1927 il principio di indeterminazione di Heisenberg. Sarà poi la volta di Gödel e del suo principio di indecidibilità (1930).
Le relazioni di indeterminazione e il ruolo dell’osservatore, rappresentano un punto di partenza centrale nell’evoluzione della fisica della complessità e del pensiero complesso: le leggi scientifiche, così come le si erano concepite nel secolo XIX, cessano di rappresentare l’obbiettivo della scienza. La verità cessa di essere assoluta e diventa statistica e probabilistica, mentre il ruolo dell’osservatore svela il carattere di mito che sta dietro l’osservatore ottocentesco onnisciente.
Se la fisica classica, quella ottocentesca, ipotizzava un mondo di certezze e verità assolute e la fisica quantistica ne incrinava le prospettive aprendosi alla dimensione probabilistica, la scienza della complessità dichiara la fine delle certezze. La fine delle certezze è per l’appunto il titolo di un’opera importante pubblicata per le Edizioni Jacob nel 1996: autore ne è Ilya Prigogine, Premio Nobel per la chimica nel 1977, direttore degli Istituti Solvay di Bruxelles e del centro di meccanica statistica e di termodinamica dell’Università del Texas.
Prigogine non nega importanza e valore alle leggi della fisica classica, ma i fenomeni che incontriamo non sono ad esse riconducibili, perché la maggior parte dei fenomeni si realizza lontano dall’equilibrio, attraverso interazioni e collisioni persistenti. E’ in quella regione che si realizzano processi di auto-organizzazione, di emergenza della vita secondo un percorso evolutivo che già la termodinamica aveva supposto: è dunque in questo senso che la scienza introduce il termine narrativo riprendendolo dalle scienze umane.
“Le leggi non governano il mondo, ma questo non è retto dal Caso. Le leggi fisiche corrispondono a una nuova forma di intelligibilità espressa dalle rappresentazioni probabilistiche irriducibili. Sono associate all’instabilità e, sia al livello macroscopico sia al livello microscopico, descrivono gli eventi in quanto possibili, senza ridurli a conseguenze deducibili e previsibili delle leggi deterministe”
Di particolare interesse è l’attività di un centro particolarmente prestigioso: il Santa Fe Institute. Il suo prestigio nasce dalla presenza di ricercatori importanti, dalla quantità e qualità di iniziative e dall’approccio scientifico dichiaratamente multidisciplinare.
Lo studio dei fenomeni viene sviluppato in quanto parte di una rete complessa, i cui attributi sono comuni al di là delle discipline conformate in modo tradizionale. Ci sono fenomeni che diremmo appartenere alla fisica che hanno tratti decisivi caratteristici di altri fenomeni che diremmo appartenere a discipline considerate meno o non scientifiche, come l’economia, la sociologia e la storia.
Il carattere interdisciplinare diventa così una necessità, assumendo le caratteristiche piuttosto della transdisciplinarità, e questo appare chiaro già nel costituirsi del S.F.I.
Non può esserci un paradigma della complessità: si tratta dunque di procedere per approcci successivi entrando sempre più nelle profondità di questa nozione. Per capire meglio tale questione la studiosa I. Stengers cita un noto biofisico francese di origini algerine, Henri Atlan, a proposito della differenza tra complicazione e complessità:
Un sistema complicato è un sistema di cui comprendiamo la struttura e i principi di funzionamento : di principio nulla impedisce che con tempo e denaro si possa giungere ad avere una conoscenza integrale.
Al contrario il sistema complesso sarebbe quello di cui abbiamo una percezione globale, nei termini della quale possiamo identificarlo e qualificarlo, pur sapendo di non comprenderlo nei suoi dettagli.