Questa Appendice vuol mostrare come siano maturate le riflessioni espresse nei capitoli precedenti, facendo vedere quali forme si sono manifestate nella costruzione del percorso qui rappresentato.

Per molti si tratta soltanto di opinioni, magari giudicate interessanti, ma di fatto ridotte a qualcosa che tutti abbiamo: esse sono solo il mio modo di valutare un argomento, che si suppone abbia lo stesso valore di tutti i diversi modi di valutare lo stesso argomento. Questo è facilmente comprensibile perché nella società della cultura di massa tutti hanno un’opinione su tutto, direttamente partorita o espressione di influenze varie; solo che l’opinione per poter essere tale deve essere ridotta ad un’unità di grandezza comune, per cui le pagine che compongono la mia riflessione devono trovare una sintesi che possa essere paragonata a tutte le altre. Chi si concentrerà sulla storia dell’amore, chi vorrà contestare il carattere troppo letterario, chi negherà fervidamente la considerazione dell’amore come volontà di potenza e infine chi sorriderà ironicamente sull’idea di volontà di potenza spirituale.

Per altri le mie riflessioni possono risultare anche interessanti, ma vengono fatte rientrare in un ambito, quello teorico, che è il meno adatto alla rappresentazione di qualcosa di molto pratico, come l’amore. Questo ha ancora più valore in un’epoca come quella che stiamo vivendo che, di fronte alla morte dei valori, ha scelto la strada del pragmatismo e del relativismo, cioè dello spezzettamento della vita in tanti singoli e limitati episodi.

Tutti oggi concordano sul fatto che “il tutto è maggiore della somma delle parti”, ma oscillano tra l’interesse per le singole parti e un tutto che è solo il titolo della riflessione. E questo è comprensibile, perché giudichiamo con la lente che abbiamo e per poter vedere in termini complessi occorre dotarci di una lente che non è comune; si tratta di una lente non in commercio e che è il frutto della nostra capacità di scavare dentro noi stessi.

Il libro che ho appena terminato appare come un Saggio sull’amore, ma io non sono un Accademico e anche se in esso sono presenti varie letture non è possibile accoglierlo dal punto di vista del Saggio, dello Studio, della Ricerca. Esso rappresenta la sintesi personale di tanti interessi, di tanti libri letti, di tante esperienze vissute, di un percorso complesso fatto di tante tappe, di provvisori capolinea, di riflessioni e di ripensamenti, di nuovi orizzonti e di tappe diverse dalle precedenti. Il metodo della spirale: tornare indietro per andare avanti. Il metodo della rete: individuare degli hub di diverso livello.

Nel corso della mia vita ho dedicato all’amore la maggior parte di me stesso; sono partito come tutti da un’idea abbastanza comune e l’ho modificata in continuazione, grazie alla distillazione di quanto leggevo e di quanto vivevo. Questa distillazione avveniva attraverso uno scavo interiore continuo che affidava alla parola i risultati. Le poesie dei primi anni erano solo l’espressione di quanto stavo vivendo, poi l’espressione è risultata non sufficiente e così ho dato forma a composizioni che rappresentavano il quadro di me stesso che fino a quel momento avevo disegnato e dipinto.

Questa Appendice ripropone alcuni passaggi tratti da quelle composizioni. Essi non sono esaustivi né rappresentano la parte più interessante di quei libri, ma sono solo un assaggio per far capire il senso di quelle sintesi e di questa nuova sintesi, diversa nella forma e che sento come mio testamento sul tema.

Chi volesse leggere tutto il percorso che è alla base di questa sintesi lo può fare nel mio sito: www.emiliosisi.it alla voce Poiesia-Opere.

 

 

 

 

da L’ARPA BIRMANA – 1991

La temperatura crebbe improvvisamente. In un attimo fui penetrato dai tuoni dell’amore, dai brividi della rabbia, dallo spessore del vuoto dello stomaco, dal fremito della paura, dal tepore dell’impazienza…

Entrò negli anni Settanta finalmente trasformato in un essere sociale a pieno diritto; vi entrò in punta di piedi, ma in maniera roboante, continuando a recitare nel solito campo di gioco. Scoprì il sesso che rischiò di distruggere l’amore: impotente spesso, insaziabile mai, cercò sotto le macerie del mondo uno sguardo, un sorriso, una mano da tenere con dolcezza…

Eppure quel volto emana forse inconsapevoli sussurri, eppure docili palpiti che non puoi avere il coraggio di chiamare rughe compaiono sopra le ciglia, eppure gli occhi lanciano segni di pace sorpreso da un riso che diventa sorriso, eppure cavalcate sinuose lasciano orme di aeree scie nelle praterie celesti. E’ l’amore felice, è la gioia serena. Ristora. Riscalda. Rivivi…

Ho scoperto l’amore, soprattutto privato dell’imbarazzante e ingombrante orpello del sesso, come incontro di anime. IO, l’essere più solo e più volontariamente solitario, ho amato anime che non starebbero neanche nella più completa delle Enciclopedie Universali. Un semplice incontro o un rapporto più lungo. In un ambiente privato o nel pubblico di una piazza e di una istituzionale aula scolastica. Una per volta o tutte insieme. Ho aperto la mia anima. Sempre di più e sempre in profondità. Mi sono ubriacato per lenire la sofferenza, ho mutilato il mio corpo, fino a cercare la morte, per distruggere la sua colpevole appartenenza al mondo. Ho aperto la mia piaga, e l’ho tenuta aperta perché non cessasse di gemere…

Ma sorrise, poi rise, giocò; si cibò di piatti d’amore, ubriaco pensò\non pensò e sognava, dormiva, correva, inciampando nei numeri, piccoli, grandi, assemblati, da soli. Annullato, annullò e raccolse se stesso in ovatta che fascia e lenisce.

Capì. Un piccolo sforzo lo avrebbe portato oltre il fiume profondo, oltre il muro e il filo spinato, più oltre, di là. Cominciò a percorrere un mondo che poi saprà postumano.

 

 

 

 

 

 

da IL FLAUTO DI PAN.  L’ORIZZONTE DEL TEMPO – 1993

Veniva dai silenzi mortali e dagli odi feroci; cercava, voleva cercare la luce e l’amore, ma il suo rovistare era vano spulciare.

Aveva capito, con l’improvvisa chiarezza dell’amore, che il suo ermafroditismo non era né passato né futuro, e quindi neanche presente. Incandescente bagliore dell’amore.

Disteso sotto le sue stesse palme continuava a farsi cullare. Piacere, piacere legittimo e aspirato dei sensi. Dita affettuose e umide labbra che ne titillano i capezzoli. L’ebbrezza di un bianco frizzante o di un rosso maturo. Cibo vario e gustoso. Le malinconiche note di “Sacrifice“. Il ritmo profondo del Tannhauser. I profumi di spezie locali. La vista di opere “belle”. Questo è piacere e con esso i mille intrecci che i sensi son capaci di fare. Una corsa sul campo di calcio, bracciate sull’acqua celeste, uno scherzo gentile…..

E la mente si chiede e ricerca il perché di un piacere che nasce coi sensi e coi sensi rimane. Ed è certo che i gusti rinviano ad altra, spesso umana, incidenza. E pian piano la mente si stacca dalle cose e dai sensi, si allontana da essi e dai loro contorni, e il tutto concreto sembra sfumare in nebbie vitali. E’ così che compare un folletto che ci piace chiamare anima o spirito; era stato sempre presente, a fianco del Caso, e ora porge la mano, offre il suo aiuto, porta più oltre. E’ immateriale? è fatto di atomi, di onde sonore o di impulsi o di pietre preziose o di rena finissima? Proprio non so. E non ci interessa. Il piacere, importante, dei sensi e se vuoi della mente, lascia il posto a parola ignorata ignota derisa. E’…..felicità.

Non trova dimora in cose ed eventi, non si nutre di questi, ha perso molari e incisivi, non ricorda più i nomi e parla lingue straniere, anzi balbetta. E’ folle e ingenua e gioca col vento, costruisce piccole dighe per farle crollare e non muore nessuno. Non salta e sembra fluire, anzi respira. Proietta nel sole stagioni senza contorno, s’infrange sciogliendosi ad esso. Inspira lo sguardo di lei, e di lui. Si umilia e sembra che giochi ed è serio il silenzio e quelle che sembran parole. Perché? Perché?…

 

Una carovana di formiche scende impietosa dalla zolla e si dirige verso l’albero quasi secco; un evento fortuito le disperde, ma non demordono e testarde riescono a ricomporsi. Pazienti e incolpevoli vivono con determinazione il loro destino. Ma l’uomo non è una formica sebbene la sua anima talvolta oscillò tra l’insetto e il cobra reale. Perché calpestarle? o evitarle con cura da perfetto jainista? Perché mai bruciarle? o farne specie protetta? Il filosofo diventa biologo, ma sente nostalgia del poeta. E’ così che cessa il pensiero rendendo più intenso lo scavo. E con esso stupore e magia, fantasmi del sogno. Nasce da lì la sacra e celeste indifferenza. E’ l’amore, solo l’amore.

Senza domande, senza risposte, sprofondato nell’ignoranza degli abissi, aveva isolato qualcosa dalla struttura tutta da definire che chiamava “amore”.

Capì che sarebbe rimasto solo in sua compagnia.

Non voleva ricostruire frammenti di un discorso amoroso della buona o cattiva letteratura, perché il suo tarlo insaziabile era andato ben oltre quei libri. Non si trattava di mettere sulla bilancia penetrazioni agite o subite, incesti, peni, vagine, capezzoli, orina, sperma, ani, labbra, feci, testicoli, saliva, clitoridi, capelli, sudore, lingue, strumenti vari, dita, mani, oli, profumi, saponi….. e neanche sospiri, tenerezza, generosità, disponibilità, comprensione, palpitazioni, rimpianti, desideri, sensi di colpa, angosce, illusioni, finzioni, paure, appagamenti, assenze, attese, dichiarazioni, gelosie, ricordi, solitudini, dominio….. No, non si trattava di questo. Però…..Però…..

Non sapeva bene i colori di questo sforzo: e non erano le parole scritte e poi cancellate e neppure i silenzi. Le gocce di amore portavano nell’ultimo salto il profumo di speranze che il tempo non aveva potuto diluire e che avevano invece diluito il tempo. O forse lo avevano fatto svanire. Ed ora in questa vecchiaia precoce che aveva il sapore del nulla, o dell’eterno, quella parola poteva suonare un tenero canto alla luna che spuntava assai dietro l’orizzonte del tempo.

Non era una lotta, e neppure scommessa. Era amore che amava l’amore. Felicità.

Coriandoli di storia erano andati addensandosi e si erano impastati dei fumi e della polvere di una morale che non poteva non essere cattolica. Lo stupore, il dolore, il rispetto, essendo particelle di amore, non possono fare a meno di piaghe coltivate con cura, non possono fregiare bandiere. Non serve inseguire la Storia.

Il cielo fu il nuovo campo di gioco e là il vento regnava sovrano, confondendo e fondendo elementi. Anima e mente si persero, il salto lasciò il posto alla corsa, il dolore fu gioia e la ragione generò ancora ragione. Scienza e poesia furono perseguite e perseguitate, si credette nella famiglia e nella famiglia da distruggere, si fecero origami d’amore, si chiusero e aprirono gli occhi, di scatto e con calma, si amputarono braccia, frantumarono denti, si scavarono tane dentro il cervello, si rise e si pianse.

Si fece ben poco, lassù, nel nuovo campo di gioco.

Si fece ben poco lassù nel nuovo campo di gioco, ma anima e mente seppero stringersi forte e tenersi per mano, creando sollievo, riposo, piacere ed anche illusioni apparenti…..nella cantoniera sperduta tra il tufo, nella pieve isolata sul fiume, nelle pagine di libri antichissimi, nell’ascesa al monte assolato, tra le guglie brinose di un duomo, in stazioni di lingua straniera, nelle sale pacate di pinacoteche piene di luce, sopra teche di storici ambienti, lungo i chiostri di eremi eterni, in alberghi cesellati a strapiombo sul lago, in prati fioriti di cibo, nelle acque di fiumi accoglienti, sopra tentennanti treni di legno…..anima e mente crearono sollievo, riposo, piacere ed anche illusioni apparenti sapendo tenersi per mano e stringersi forte.

Fu molto importante aspettare impazienti il giorno di festa, aspettare in disparte che smettesse di piovere. Ci furon tremori, sussulti, paure e ci furono incubi. Più volte il filo fu vicino a spezzarsi, più volte esplose la rabbia…

E il treno corre fluido e sereno sui fasti di binari sicuri tra le acque del fiume riottoso e gli affilati pendii del monte che fu vergine. Su quel treno finalmente comodo i pensieri ondeggiano sazi, corrotti e nuovamente incontaminati. Non è un assunto geografico, paesaggistico e tanto meno sentimentale. Rispetto dignità decoro: queste parole vorrebbero uscir fuori, ma furono mutilate e avevano dovuto tacere. E l’amore di cui lui è rimasto solitario compagno non è né un affetto né uno stato d’animo né un’idea della mente.

E’ così (e fu così) che non sarebbe mai stato maestro: i potenziali seguaci -così intrinsecamente numerosi- erano costretti a scegliere altre strade. Ma non sarebbe stato neppure discepolo : non c’era infatti nulla da imparare.

E l’amore è cosa diversa. Non cerca maestri non vuole discepoli, non si nutre di padri né nutre dei figli. E’ leggero, impalpabile, oltre i sussurri oltre i sospiri. E’ sogno e silenzio, è sguardo perduto, oltre i ricordi dentro giochi e invenzioni. E’ l’anima che vive di sé, amando se stessa senza radici e senza confini, invisibili nel pudore di linee geometriche di mappe geografiche. Le recide li valica. Si sofferma lassù e ondeggiando volteggia. E’ fatto di cose qualsiasi e di tutti i pensieri a cui dire di no o di sì o anche non so. E forse qualcosa di più.

Ciò che lui chiama amore non si sa bene cos’è. Amore è l’Arpa Birmana e il Flauto di Pan: amore è lì dentro. Forzatamente compresso quel coacervo linguistico, forzatamente compresso l’amore. Ma basta aprire la valvola per volare con esso, trascinati nel più inutile e puro soffio di gioia. Chi è oggi disposto a cercare in quei fogli, tagliando radici e valicando confini? Lui sa di avere perso per strada attori valenti. Ma sta bene così. Minore è il suo peso, più leggiadro il suo volto…..Dell’amore e di lui…

L’arpa birmana espande il suo suono struggente e non vuole che si ripeta il dolore; il flauto di Pan riprende le note che sembravan disperse e parla d’amore nei giardini incantati. Né memoria né oblio, seppur la memoria lasciò segni d’artiglio e l’oblio introdusse raggi di luce nell’acqua. Il viaggio fu memoria ed oblio e andò ben oltre, il viaggio fu presenza ed assenza e si diresse ben oltre, senza scansioni o tappe obbligate o tempi ordinati.

Perché felicità non si misura e neppure soppesa; non ha dimensioni, non è fatta di attimi (tanto meno fuggenti), non è fatta di cose o sostanze. Felicità non sa dove andare, non sa se correre o camminare, semplicemente non sa…..Saperla è invece felicità, e volerla e amarla e cercarla e sognarne gli incerti profumi, (chiudendo gli occhi per gioco o travasando gerani). Pensarla radicata nel cuore, tra povere rime, in assenza di ritmi, lontano da spiagge gloriose.

Quel viandante continua il viaggio che sente nel cuore; conosce la strada ma non sa dove andrà. Pronuncia parole non sempre fedeli, ma scrive parole che l’anima scopre. E quei fogli, taciturni e complessi, li lega ad un filo per farne aquiloni, che porta con sé, che lascia poi andare al gioco del vento.

Non sa, ma respira l’amore, respira nell’aria felicità.

 

da I GEMELLI – 1995

Lui aveva concepito l’amore, togliendolo dai rovi, dai viluppi, dal dolore che aveva provato, un amore complesso, più pieno e sapiente, che deborda dal cuore, scopre la mente, si tuffa nell’anima e riesce a parlare parole di felicità, parole che sono di libertà.

E tu che guardi i fiori e fremi e tieni per mano ciò che altri chiamano sogno; e tu che il rossore come il silenzio fanno parlare con accenti d’amore; e tu che nascondi la tua forza tra le pieghe che altri non sanno decifrare; e tu che vuoi nutrirti del dolore incredula della felicità che pure sai vedere; e tu che gridi al cielo ma vuoi gridare a te stessa, e lo sai; e tu che hai costruito parole anche dentro l’insofferenza dei miei passi; e tu che non hai nulla da dirmi né ti chiedi dove guardino i miei occhi.

Tu, chi siete?

Chi mai più parla e poi esce da se stesso per osservare le sue parole da punti di osservazione diversi? Chi ha il coraggio oggi di parlare tacere ascoltare parole che non sono la danza tribale o il rito di religioni potenti, ma l’esile presenza di ognuno di noi? Esile presenza la nostra parola di esili esseri, appesi ad un filo, non solo della vita e della morte, ma al filo di certezze evanescenti. Come è possibile amare gli animali senza essere un pò come loro? Come è possibile amare uomini e donne senza amare l’amore?

Ma questi interrogativi, come tutti gli altri, sono solo miei. Sono cose noiose, monotone, sempre le stesse ed è giusto che io viva solo nella più piena solitudine della mia monotonia, della mia ossessiva inquietudine. Ho scoperto che cambiare è gioco di luci e che ognuno rimane ancorato al suo ruolo, comico o tragico. E allora perché insisto a pormi domande che sono insaziabili? E allora perché non do pace a quesiti cui tutti hanno da tempo risposto? E’ vero che questo secolo ha tolto ogni puntello, ma solo a neofiti scadenti ed adepti illusi: i maestri hanno continuato a fare i maestri e valori sono diventati i loro valori. Ma tutti sono stati investiti dall’onda che è scesa, volenti o nolenti, dentro ignare masse o soggetti coscienti. L’individuo non può, oggi, rinunciare a se stesso…Non per imperativo morale, ma per semplice fisiologia l’individuo non rinuncia a se stesso.

 

da SORRISO – 2001

 

Dopo che la felicità dell’amore aveva lasciato il posto e i segni sulla sua anima al dolore dell’incredulità, dopo che le ferite avevano trasformato la sua piaga in un lago di sofferenza, stava ora cercando di ritrovare i passi della felicità. Stava cercando quella mano.

Sarebbe stato facile rinunciare ai suoi sogni, a ciò che aveva costruito dentro se stesso, a ciò di cui percepiva l’intima verità. Rinunciare all’amore e alla felicità era in fondo la conclusione necessaria di un normale percorso umano; il fatto che a lui ci fosse stato bisogno di così tanti anni non era un’anomalia, ma una conferma matematica di quella legge della vita dell’uomo.

 

Avrebbe dunque dovuto rinunciare a cercare quella mano, ma non avrebbe potuto farlo; avrebbe dovuto circoscrivere i suoi orizzonti, ma non ne sarebbe stato capace; avrebbe dovuto fermarsi e scrivere un romanzo che segnasse l’avvenuta acquisizione del senso di realtà oppure la sublimazione di fantasie; ma gli mancava il sentimento. Avrebbe invece continuato a scrivere la poesia dell’amore, cercando di trasformare in vita quotidiana le sue parole e di creare parole che germogliassero dalla sua vita quotidiana. Come aveva sempre fatto.

Non era indifferente a volti, anche lontani anche antichi anche morti, non era indifferente a corpi, svariati e multiformi, non era indifferente al peso della concretezza. Aveva, lentamente, ridotto il sacro fuoco della vita e i furori del tempo; aveva ammorbidito la scorza della sua esistenza; aveva smussato gli angoli della rigidità e del dolore.

E tutto questo lo aveva dato in regalo, a se stesso all’amore all’amico all’amica al giovane incontro del Caso: molte incertezze, molte sicurezze, prima della fuga.

Stava cercando di ritrovare il senso di questo procedere: esso non poteva essere compiuto, ma aveva bisogno che fosse significativo. Non sentiva la mancanza di corpi o di volti, sentiva il distillarsi -profondo e ampio, intenso e spesso, avvolgente e travolgente- di quei corpi e di quei volti, cioè di se stesso. Vapori, pensieri, parole, cioè l’anima.

 

E così quel sorriso continuava a dipanarsi, inesplicabile filo rosso della sua esistenza, ma ancora di salvezza nei momenti di cedimento: Mizushima ne teneva un capo.

Quel sorriso era il segno inestinguibile dell’amore: lo aveva creduto guardando le stelle cadenti, lo aveva vissuto per vite apparse esclusive, lo stava di nuovo scoprendo accanto al sorriso di lei.

Strategia, progetto, sogno, amore. Doveva lavorare su queste parole e non poteva essere solo. Per fortuna non era solo. Doveva disintossicarsi perché trovava tracce di contaminanti ovunque. Lo doveva fare non da solo; lo poteva fare perché non era solo. Amore. Ma dove avrebbe portato la strategia che avrebbero costruito insieme? In quali punti si sarebbe articolato il progetto che avrebbero elaborato insieme? Di quali colori e movenze sarebbe stato il sogno che avrebbero contribuito a sognare insieme? A quale amore volevano dare vita, sviluppando tutto quello che avevano giá saputo fare da quando si erano conosciuti?

Ognuna di queste parole parlava dell`altra e ne invadeva il terreno: doveva giocare laggiú. Dovevano giocare laggiú. Insieme.

 

Erano passati i giorni della primavera, ma ancora la primavera doveva venire; non era più il tempo dell’attesa perchè l’attesa era già evento, costruito dentro di lui. La primavera, come l’amore. L’aveva incontrata lontano, laggiù, quando il vento umido e caldo e denso aveva sfiorato i loro capelli. Solitario l’aveva incontrata solitaria nel sorriso alla luce del tempo, fermato. Non ricorda le palme o le onde o il suono del mare, non ricorda le foglie o le bacche o i tronchi recisi. L’attesa fu evento e l’evento fu attesa. Parole incessanti, domande mai inquiete cominciarono a aprire quel guscio e gli sguardi brillanti e la voce insistente cominciarono a tessere apparenze e sostanze.

Sirene, fantasmi, giochi di specchi, certezze comuni, parole scolpite nei libri nei cuori nei gesti, illusioni incomprese. C’era bisogno di tempo, di fresca saggezza, di rispondere sempre, coscienza e volontà.

C’era bisogno di amore, ignoto, per costruire l’amore.

L’amore si delineava, e si imponeva, come carattere emergente, composto di parole e frammenti che tutti conoscevano ma che si ricomponevano in proprietà differenti. Quell’amore era l’amore di cui tutti parlavano, ma si costruiva su altre coordinate e altri parametri. Esso scavava e contorceva il terreno che continuamente ridisegnava; faceva affiorare reperti consueti che provvedeva a distruggere e produceva scoperte che sapeva confermare. La volontà distruggeva sostanze e insieme fenomeni, dando vita a fenomeni e ricomponendo sostanze.

Aveva scelto la vita, nel frammentar dei secondi che l’esistenza scandisce, nel frammentar di visioni che il cervello propone. L’esistenza: la sua. Il cervello: il suo. L’amore parlava di questo. Doveva riscrivere questa parola: era stata intrisa troppo di morte.

Liberare quella parola da ogni alone di morte gli pareva decisivo in quegli anni liberati, dove la libertà trionfava persino sulla responsabilità. Avrebbe dovuto riscrivere anche queste parole, perdute nella nebbia che tutto giustifica, e aveva cominciato a riscrivere anche queste due parole, ma amore gli sembrava più importante.

Aveva cominciato a tentoni ma come ispirato. Si era mosso trasgredendo e poi trasgredendo la trasgressione. Confuso non si confondeva, incerto mostrava certezze: da subito amore era diventato la vita. Ma doveva essere qualcosa di diverso e di decisivo. Aveva ricercato là dove la vita sembrava l’amore o, meglio, l’amore sembrava la vita.

 

Non era l’amore che cresceva nel senso di un desiderio e di una passione che esplodevano: letteratura e cinema avevano già rappresentato tutto cio’. Era questo, per loro, uno dei tanti luoghi comuni che l’amore aveva voluto sedimentare per darsi importanza.
Non era l’amore che cresceva nel senso di una raggiunta matura stabilità di rapporto che sapeva, razionalmente, progettare il futuro così come la vita, limitata e mortale, richiede. Era, per loro, anche questo uno dei tanti luoghi comuni che l’amore aveva voluto inventare per spiegarsi nel tempo.

Amore fu parola importante che seppe proporre e proporsi al di là di luoghi comuni.

Il sorriso di lei, scoperto al di là degli oceani e delle stagioni, aveva saputo trovare sentieri in quel baratro immenso che l’anima irriducibile continuava a comporre. Ne volle sfogliare i respiri e leggervi i segni curiosi. Sedotto da Fate Morgane che ognuno si porta con sè, seppe –e non fu senza fatica- resistere ai giochi illusivi con cui il tempo si diverte di noi. Comincio’ a scolpire la pietra più dura appannando il sorriso. La pietra era un velo, e non lo sapeva. Accetto’ di cambiare strumenti.

Scoprì l’amore, non un nuovo amore, che di storie consuete arricchisse il catalogo. L’amore, non quello vero, reso vero dalla consuetudine che si nutre di statistiche essenze. L’amore che andava riscritto era il sogno infantile coltivato per le strade del mondo e il respiro che riprende il ritmo del cuore. Andava riscritto oltre le cartesiane certezze che ormai rivelavano lacci nascosti al limite di allucinati pensieri. L’amore fissato in oggettive sequenze stava esaurendo finzioni e si aggirava perduto tra le luci del mondo moderno. Non volle accettare il silenzio della inetta pazienza nè lo scandire, a gocce, del tempo. Impose il dolce e inquieto orizzonte di nuove domande che parvero ai più inutili e sciocche, offesa e peccato. Non provo’ sensi di colpa. Attese, il sorriso di lei, che attendeva, il sorriso di lui. Ma riscrivere una parola non è esercizio di calligrafia: richiede certezze, fiducia, orizzonti, tensione e audace sentire. Parole, pensieri, rotture. La piaga che geme.

Scomporre la propria anima scomposta riconoscendone i colori non è un passatempo; cercare i pigmenti e la mano che li ha stesi è qualcosa di audace. Ma si impara. S’impara dall’odio ad odiare, si impara dall’amore ad amare, ma come un riflesso, un istinto, qualcosa che ci pare e ci appare naturale.

 

Hai scoperto che l’odio (e la rabbia) affianca l’amore e hai preteso la sua inesistenza; hai scoperto il potere antecedente al sapere e hai preteso la sua eliminazione. Hai scoperto i molti colori dell’anima ma il mondo ne faceva la sintesi e vedeva un solo colore.

Non bastano tardivi ripensamenti, non basta fare tua la volontà di potenza e credere che le acquisizioni del pensiero siano già realtà. Troppa acqua ha scavato la pietra. E’ ora che tu esca dal gioco perverso che tu stesso hai creato: l’illusione (in-ludum) divenga delusione (de-ludo).

Cala il sipario e il mondo-la storia azzerano, rimescolano, lanciano la pallina, danno le carte. Nuove. Di nuovo. Altro giro, altra corsa. Tutto è come prima, tutto è diverso da prima. E tu scommetti. Speriamo tu vinca.

La vita è il destino e il destino è l’amore. Almeno per lui. E dunque creare parole era la strada maestra. Ogni parola aveva dentro di sè il destino o, meglio, un destino. Pronunciata era come la palla da biliardo con la sua traiettoria. Certo avresti potuto fare un gran salto, anticipare la palla e deviarne il cammino. Oh, sovrana illusione! Tu sei dentro la palla.

Eppure quella parola così sicura e stentorea non ha quei confini precisi che le abbiamo creduto. Deformatasi decompone. Solo allora la traiettoria subirà spôstamenti non prodotti da urti. Talvolta sarà sufficiente un attimo o un breve scherzo etimologico, come fu per lui la parola illusione. Talvolta sarà necessario il protrarsi del tempo e dovremmo scrivere un libro, come fu per lui la parola amore. E comunque è questo l’orizzonte che si apriva laggiù oltre le case recenti, oltre il colle giulivo, oltre il monte sovrano, al di là del tramonto sognante, al di là del tucano sontuoso, al di là della tempesta imminente.

 

da PAROLE ALL’ORIZZONTE – 2002

L’incontro di anime cessava di essere un insieme di parole e diventava la parola, cominciava a diventare la parola che, artefice della rivelazione e della realtà creata, aveva bisogno di collocarsi sempre più lontano dai luoghi comuni. Essa individuava le relazioni di cui aveva bisogno per fortificarsi, comporsi e ricomporsi. Era il punto di arrivo di un caotico e confuso processo e allo stesso tempo l’inizio di un percorso bagnato dalla luce dell’orizzonte, una volta squarciato il velo che l’aveva fatta emergere. La parola era la parola e basta, non aveva bisogno di contenuti; orizzonte e percorso, volontà di potenza non volontaristica, dimensione etica non moralistica di costruzione dell’IO e dell’amore. Ora la parola avrebbe anche prodotto piacevoli attitudini sentimentali e interessanti elementi estetici, ma non erano questi che la nutrivano, che al contrario da essa erano nutriti.

L’incontro di anime che il Caso volle fargli pronunciare proprio quella sera e proprio davanti a lei non era soltanto l’amore, era qualcosa di più. Uber-liebe, che solo più tardi avrebbe saputo fondare, grazie anche a lei. Già allora però, vago e leggero, riusciva a librarsi nell’aria: era nato distillando le essenze, filtrando gli eventi. Era nato dentro di lui e con lui era cresciuto.

Fu necessario il tempo breve degli uomini per capire che valeva la pena tentare.

Fu necessario il tempo lungo degli dei per ricucire fratture che la storia degli uomini crea tra le anime e dentro ogni anima.

Un amore doveva diventare l’amore. Un amore era l’amore che non rinuncia a crearsi e l’amore permetteva che un amore decidesse di crearsi.
Fu così che poté scrivere un saggio che pro-ietta nell’ Überliebe. Amore che si distrugge e si ricrea non è più amore, noto nei suoi misteri. E’ già Überliebe. L’incontro di anime di quell’allegra serata di festa seppe produrre più tardi Überliebe o, come all’inizio diceva, amore-2.

Capì che fare un figlio va al di là dell’abitudine, si colloca oltre il luogo comune e richiede un’attenzione soprattutto verso se stessi. Piano piano quel desiderio cessò di essere un’abitudine e si trovò ad essere fuori dei luoghi comuni. Non era un problema tecnico o pratico, di relazioni lavoro matrimonio, né qualcosa di spiritualmente volontaristico, di fede nell’amore. Si trattava di dare a quel desiderio istintivo lo spessore della scelta e farne destino; si trattava di distruggere e costruire, di trasformare il percorso deterministico e lineare del suo pensiero in stato al margine del caos. Avrebbe dovuto spostare i riflettori dal figlio verso se stessa, straziando con la violenza della parola le solide consuetudini di una realtà apparente ma sicura. Avrebbe dovuto trasformare la verità come misura del conoscibile in verità come rivelazione-svelamento dell’ignoto.

Scoprì che si trattava di una sfida ai luoghi comuni, al comune generare automatico di cui quotidiani individui sono voluti, anche quando credono di volere; perché volere è solo volontà di potenza che, nella vita, cioè nell’amore, può essere solo volontà di potenza spirituale. Ma la sfida ti tiene legata al mondo che sfidi. Ella scoprì che in quella bambina era l’incontro di anime così singolari e così speciali che un giorno assolato in un luogo lontano, fonte dei loro desideri, si erano parlate, sorrise, scoperte e innamorate e che da quel momento avevano continuato a parlare, scoprirsi, innamorarsi. Volle vederlo come un prosieguo del loro percorso, e l’inizio di uno nuovo, come ogni giorno che inizia e non è mai uguale a se stesso. Volle vederlo come una nuova vita, parte di vite, proiezione di sogni e desideri, nuovo modo per esprimersi a lei e a loro stessi.

La scelta di fare un figlio va dunque nella direzione di un rapporto che non rinuncia a nulla: solo allargando lo spazio spirituale in cui si opera ci si allena a pensare in grande, e creare l’amore, amore-2 come ormai lo chiamava, è quanto di più grande si possa concepire.

In questo ritrovò le parole di lei: si trattava infatti di una sfida contro ogni pessimismo e contro ogni luogo comune.

Svelando, il pensiero si era svelato: togliendo veli a ciò che incontrava toglieva i veli che lo avvolgevano. La figlia che stava per nascere aveva aperto nuovi orizzonti, aveva svelato il pensiero, li aveva presi per mano. Quella bambina bellissima era figlia di lui e di lei, ma non c’era dubbio che sia lui sia lei fossero figli di quella bambina bellissima. Li aveva presi per mano, obbligati a pensare, invitati a guardare più in là; aveva allargato i loro orizzonti, coltivato con cura le loro radici, sorriso alla luce che ne avrebbe accolto le membra.

Difficile coniugare il trionfo del corpo col trionfo dell’anima; possibile se è l’anima a indicare la strada, perché essa impedisce che il nuovo sia semplice (o complesso) travestir delle forme. E’ ciò che insieme seppero fare. Non tutto fu così chiaro e ci volle tempo perché lo fosse, ma pian piano andò disegnandosi un modo nuovo di fondere il sesso con l’anima. L’amore parlava le voci del sentimento e della ragione, dell’anima e del corpo, del pensare e del fare, proiettandosi oltre i luoghi comuni del già conosciuto, costruendo e rispettando la rete che siamo.

Non fu importante quanti orgasmi in più o in meno ebbero rispetto alla media, né quante pratiche per-verse operarono, né quanto desiderio e per quanto tempo li possedeva: non era un problema del quanto, ma del come. Seppero abbandonare pretese e pretendere abbandoni, stabilire continuità e rotture, costruire realtà e con essa parole. Individuarono questo nuovo orizzonte, verso il quale si incamminarono, rispettando la voce del corpo, accettando la guida dell’anima.

E’ così difficile credere a un’erezione che si compie nel semplice tepore con cui l’amore sa teneramente accoglierti nell’atmosfera rarefatta, di uno sguardo di un tenersi per mano di parole qualsiasi, fatta di nulla?

E non è l’erotismo che ci parla d’amore, mentre l’amore non può non essere erotico: si tendono i muscoli per un sorriso, fluisce il sangue nei vasi del pene.

Quante strutture culturali hanno composto il nostro modo di amare? quante strutture culturali hanno determinato il nostro modo di vivere il sesso? Molte e sono luoghi comuni. Comuni ma non assoluti, luoghi che non escludono altri orizzonti.

 

da I CIPRESSI DI SAN CORNELIO – 2010

L’amore non può essere che il mio amare, un amare che si è costruito nel corso degli anni dentro la concretezza dello sperma, del sorriso, dell’anima. Ed è proprio l’amore che, grazie a tutto ciò, ha saputo rivelare la centralità della parola. Molte cose ho imparato e dunque molte cose non le rifarei, ma è anche vero che rifarei tutto perché la costruzione dell’anima è indifferente agli episodi: è così che l’indifferenza può chiamarsi, ancora oggi a distanza di un secolo, divina.

Nella ‘Passio Sancti Sebastiani’, scritta probabilmente nel V secolo dal monaco Arnobio il Giovane si scoprono informazioni interessanti. Quelle frecce non uccisero il povero Sebastiano, e la sua storia è un po’ più complessa. Ad esempio egli appare circonfuso di luce mentre convince due condannati a perseverare nella fede cristiana e subito dopo ridà la parola a Zoe, muta da sei anni. Infine ferito dalle frecce viene curato da Irene, la pace, che riesce a guarirlo del tutto. Stupidamente, vero (Se)bastian contrario, invece di starsene quieto andò dall’Imperatore accusandolo e questi, ovviamente, lo fece flagellare ad mortem e ordinò che il suo corpo fosse gettato nella Cloaca Maxima.

Eppure Diocleziano gli aveva voluto bene e lo aveva accolto a Palazzo con favori e riconoscimenti, ma proprio questo lo aveva deciso alla condanna: la fede nel cristianesimo era ingiuria agli dei e offesa personale a Diocleziano. Pochi decenni dopo Costantino avrebbe restituito il valore e la dignità ai martiri erigendo basiliche: era certo troppo tardi, ma allo stesso tempo non era per nulla tardi.

Chi sarà il mio Diocleziano? Quale sarà la mia Cloaca Maxima? Anche qui difficile a dirsi. Per ora aspetto qualcuno che, come Irene, si accorga che non sono morto e voglia iniziare a curare le mie ferite.

Molte cose mi avvicinano a San Sebastiano e non sono tanto le ferite. Nelle pochissime storie d’amore che ho vissuto ho quasi sempre incontrato Zoe e le ho dato o ridato la parola. E ora sto aspettando Irene che mi dia la pace. E qui le storie cominciano a divergere, perché Irene è già venuta a trovarmi e si è accorta che non sono morto, per cui ha cominciato a lavare e pulire le piaghe, riuscendo a curare le mie ferite. Ma il suo lavoro, frutto delle sue competenze e della sua storia, consiste solo nell’intervenire sulle ferite materiali. La mia Irene non si accorge, non le vede proprio, le mie piccole e grandi ferite spirituali; per cui non gliene faccio una colpa, ma -ancora una volta- devo curarmi da solo e questo rende il mio compito ancora più difficile. Esso è reso ancor più complicato dal fatto che la ricerca in questo campo è ai primi passi, per cui devo procedere a esperimenti su esperimenti di cui io sono soggetto e oggetto, oppure prendo delle cavie che attraggo con qualche scusa e che, pur facendo presente gli effetti indesiderati, soccombono. Non ci si improvvisa scienziati, ma non ci si improvvisa nemmeno cavie.

La mia Irene insiste e più cerca di venirmi in soccorso e più si allontana da me. E’ evidentemente il suo carattere e non le riesce fare diversamente: aveva dunque ragione lei quando mi faceva notare le differenze di carattere, mentre io insistevo sulla costruzione e dunque sulla scelta di come costruirsi. Con la brutalità che mi riconosco le ho detto in passato che era una crocerossina, ma in realtà sono io ad aver sbagliato tutto. Come ho scritto altrove le ho impedito di costruire la propria persona obbligandola a confrontarsi con la volontà di potenza diffusa nel mondo. Ho sbagliato perché ne ho assecondato i percorsi che aveva costruito nel corso della sua storia, convinto che il sorriso generasse sorriso e che la felicità non potesse che generare felicità. … Certo lei ha condiviso un percorso, ma è anche vero –a posteriori- che non ne aveva compreso le implicazioni. … Più le riconoscevo ricchezze e contributi e più lei fortificava i suoi percorsi precedenti e i suoi flussi costitutivi. Se qualcosa è cambiato, nel senso di favorire l’incontro, è avvenuto perché ho fatto ricorso alla volontà di potenza, che purtroppo ho scoperto, nella sua elementare costituzione, solo da poco.

Molte cose sono andato scoprendo, proprio grazie al metodo di questo percorso: aspetti generali e situazioni particolari.

Ho scoperto la volontà di potenza e, oltre, che la volontà di potenza si erge sulla volontà di potenza, nutrendosi di se stessa in un vortice che si consolida quantitativamente, ma che lascia intatta la qualità. Abbiamo tempo fino a 25-30 anni per costruire la nostra persona: dopo l’iterazione vincerà.

Non si tratta tanto di un mefistofelico piano di battaglia quanto invece dell’uso, consueto e automatico, della parola come espressione di una realtà esterna (cose, sentimenti, pensieri…). E’ qui il velo: si usano parole a cui si crede di restare fedeli ma che sono solo codici che usiamo per realtà profonde. Così quando io uso le parole amore, senso, vita, felicità queste parole creano un qualcosa che non è fisso, stabile, ma che si ricompone in continuazione; quando gli altri usano la stessa parola questa era, è, sarà sempre l’espressione di una realtà immutabile. Quando uso la parola amore per me essa e l’amore sono in continua costruzione, mentre per gli altri essa e l’amore sono sempre ciò che gli eventi (Caso e famiglia) hanno codificato dentro di loro.

Non è un problema di comunicazione, ma di costruzione: da un lato io scavo dentro la parola facendola espandere, dall’altro la comunità si limita a trovare le vie per riproporre e giustificare ciò che abbiamo a suo tempo de-finito. E inevitabilmente i conti tornano e tornano perché il risultato era già bell’e pronto nelle premesse.

“In fondo siamo dei bravi ragazzi”.

 

da PAROLE – 2016

Dopo i miei cari Cipressi avevo iniziato una specie di Dizionario amoroso e avevo riempito diverse voci, quando mi sono accorto che non c’era niente di nuovo e che tutto era già ne I cipressi. Uno dei primi libri letti seriamente e sottolineati è stato Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. Mi interessava il suo scomporre la dinamica amorosa e il suo riferirsi alla letteratura, due aspetti che in qualche modo mi accompagneranno nei decenni successivi e nella composizione del mio quadro. Ma non concordavo in nulla e per nulla con quanto vi leggevo. Era la fotografia della storia dell’amore, ma come tutte le fotografie era immutabile e si riproduceva all’infinito. Non avevo ancora, nella solitudine dei miei quasi 30 anni, elementi significativi per poter contestare in modo argomentato quanto trovavo scritto, ma avevo altri elementi che mi inducevano a dubitare.

E tutto questo rinvia alle ere geologiche necessarie al cambiamento per prendere forma, organizzarsi e consolidarsi. Perché, se è vero che il carattere assoluto della verità ormai è patrimonio di pochi fanatici, è pur vero che le verità diventate parziali e provvisorie si sono frammentate a tal punto che da un lato giustificano il repentino cambiamento che rende l’essere umano ancora più imprevedibile e dall’altro vengono difese allo stesso modo delle verità assolute. Come succede (oggi sempre di più) a chi, in una relazione reciproca di amore, improvvisamente e in modo inspiegabile, conosciuta un’altra persona, si ritira con la semplice verità “ succede;  quando scoppia l’amore non ci si può far nulla”. Come la forza di gravità o la velocità della luce. Una legge scientifica.

 

Prendiamo un attimo in considerazione l’amore, ma solo perché in esso si legge l’opposto di quanto la volontà di potenza materiale predilige. Non starò a ripetere quanto scritto da altri o da me ne I cipressi. Voglio qui segnalare come l’amore sia capace, meglio di ogni altra cosa, di illustrare il senso del discorso fin qui articolato: parole e gesti, volontàdipotenza materiale e volontàdipotenza spirituale, il valore centrale della parola nell’universo che ha appena cominciato a dischiudersi. E la responsabilità. Come le montagne non sono piramidi, così l’amore non è il “ti amo”. E come per le montagne e tante altre cose occorrono strumenti nuovi e più sofisticati, lo stesso vale per l’amore. Continuiamo in questa analogia. Certo esistono montagne studiate con lo strumento della piramide (o addirittura del triangolo) e certo esistono relazioni sedicenti d’amore che possono essere lette con i filtri consueti. Ma sono sistemi il cui livello di complessità è estremamente basso. Per gli studi che il territorio (montagne e non) richiede al livello attuale di complessità occorre ben altro: lo stesso vale per l’amore e in genere per le relazioni di qualsiasi tipo, sia umane sia tra esseri umani e situazioni più o meno naturali.

L’amore che conosciamo è volontà di potenza materiale, lotta per l’affermazione, che comincia con la seduzione e si nutre di passione, finché ormoni dirigono l’orchestra. Certo si trattava di cavie di cui mi nutrivo e che hanno contribuito a farmi diventare ciò che sono oggi: il passo successivo è stato scendere, dal cielo dell’amore così costruito, nella terra di un amore. La qualità spirituale dell’amore era sempre un passo avanti e prefigurava i colori e la dimensione dell’amore: era già qualcosa di diverso da quanto da tutti conosciuto e praticato e proprio per questo si poneva come margine del Caos. Il carattere dominante, ed emergente, dello spirito si sarebbe scontrato con l’ordinario determinismo della materia, ormonale e sociale; il carattere dominante, ed emergente, dello spirito avrebbe aperto la strada verso gli unici orizzonti capaci di costruire sulle rovine sempre più diffuse dell’amore.

Ancora una volta è l’amore che ci permette di guardare in profondità oltre occhi volontariamente in-dis-creti. Parlo dell’amore in senso lato, come qualcosa in fieri, non determinato né da parole né da sesso né da intese né da passione. Prendiamo l’inizio di un avvicinamento: due persone si conoscono e dopo un po’ di tempo, complici rapporti statici e riconoscimenti evidenti, rivelano un reciproco interesse. Purtroppo non si tratta di adolescenti e le due persone sono soggette alla pressione dell’universo che li circonda, come se si trovassero a miglia di distanza dalla superficie dell’oceano. In breve tempo, senza essersi scambiati neppure una carezza, uno dei due, a malincuore, decide di abbandonare per un motivo che qui esula dal discorso (paura, famiglie, età o altro). A malincuore. Passeranno mesi perché lo strappo venga ricucito. Alla fine viene ricucito: nessun rimpianto, nessun rammarico, la vita torna ad essere accettabile.

Dove sta l’anacronismo? Ebbene dopo alcuni anni, riflettendo su quei giorni, la persona che aveva deciso di abbandonare i pochi centimetri percorsi stila il suo bollettino, fa il bilancio, incorpora l’evento. Operazione necessaria per tirare avanti, una specie di elaborazione del lutto che non sapremo quanto sia durata. Ebbene la risposta sarebbe semplicemente nei fatti: una forzatura, ma necessaria per evitare un possibile futuro peggiore. Invece no: la risposta sta nel fatto che quell’avvicinamento viene declassato ad infatuazione, a qualcosa cioè che esula dai canoni dell’innamoramento. La persona dunque riesce, evitando di fare i conti con se stessa, a tirare avanti. Eppure la risposta che corrispondeva agli eventi non implicava né il suicidio né la distruzione di se stessi. Non è tanto la rimozione che viene messa in atto, anzi il ricordo rimane. E’ qui invece che entra di scena l’anacronismo: il dopo modifica il prima, facendo ricorso a una categoria così anomala e bizzarra come l’infatuazione. Si tratta di una scappatoia, di una via d’uscita rapida e facile per non fare i conti con se stessi. Ogni relazione affettiva, nel senso occidentale del termine (del tipo del leopardiano Pensiero dominante), ogni relazione affettiva all’inizio è qualcosa di incerto e indefinito: come ricorda Ricoeur “anche il passato aveva un futuro”. Il nodo che viene evitato è proprio il non riconoscere quel futuro possibile né i reali motivi per cui quel futuro non è stato reso possibile. Tutto qui. Anacronismo.

 

 

da LETTERA A MIA FIGLIA BEATRICE – 2017

Non c’è nulla di più bello che vedere la propria bambina crescere sorridendo e sorridendoti. Ti è vicina e tu le sei vicino.

Le parli, l’accarezzi, giochi con lei e lei gioca con te. Sai che piano piano lei si allontanerà. Lo sai fin dall’inizio. Il pensiero non può tormentarti, perchè anche il tuo futuro dipende dalla gioia vissuta in quei lunghi momenti. Fin dall’inizio ti rendi conto che lei si aspetta da te ben più di qualche caramella e di qualche gioco: la sua crescita dipende dalla tua costruzione. E intorno a te, intorno a lei, gira il mondo che è sempre più caotico e interconnesso e lei e tu ci siete già dentro, non potete farne a meno e le regole che andavano bene una volta sono cambiate e tu non puoi ritirarti in un’isola deserta a godere gli ultimi anni di vita. Devi esserci e soprattutto devi saperle parlare in modo autentico. La sfida maggiore è nel proporre idee, cioè percorsi, non con semplici inviti e dichiarazioni, ma facendo vivere quelle idee nel dialogo quotidiano. Un dialogo che comincia il giorno in cui lei nacque e terminerà solo quando cesserà il tuo respiro.

La rete è sempre rete di rete di rete e si muove su tutti i piani e in tutte le direzioni. C’è bisogno di tenere insieme tutto questo sempre in rapporto a ciò che siamo, perché anche noi (e le relazioni che abbiamo creato) operiamo in quella dimensione multiplanare. Alcuni parametri possono essere utili: il tempo-storia, i sentimenti, la riflessione. E per ognuno individuare altri parametri: per il tempo-storia, i riferimenti e le strutture culturali (morali), la volontà di potenza; per i sentimenti, la religione, l’amore; per la riflessione, la ragione semplice e quella complessa, la memoria. Come si vede, si tratta di parametri che non possono essere isolati, perché se parlo di me devo avere la capacità di collegare le mie strutture culturali con la mia volontà di potenza con la religione l’amore la memoria, le ragioni.

Come pure questa separazione (tra vita quotidiana e cultura) vale anche in altri campi e soprattutto in quello essenziale della costruzione della propria persona e delle relazioni con gli altri. L’amore, così declamato e così presente nella vita delle persone, è di fatto negletto, oggetto delle maggiori ipocrisie e di un rapporto con la cultura talmente lontano da apparire spesso del tutto inesistente. Ciò che viene acquisito e riportato all’interno della propria esperienza d’amore proviene soprattutto dalle canzoni, dalla televisione e dal cinema. Con le conseguenze che conosciamo: l’esperienza amorosa è relegata spesso all’istinto e alla non coscienza tanto da giustificare i contributi culturali come qualcosa di inutile. Laddove invece se ne riconosce l’utilità quelli rispecchiano tutto e il contrario di tutto secondo la moda dilagante del più ampio e pervasivo relativismo culturale.

Forse un’adolescente pensa che si tratti di cose troppo grandi per lei e che probabilmente le interesserebbero alcune parole sull’amore. In realtà mi sento di dire che ha ragione e che non ha ragione. Allo stesso tempo.

Ha ragione. L’amore è un elemento determinante a quell’età per un giovane che sta costruendo la propria persona. E qui sono d’accordo, da molti anni, perché considero, non solo per un adolescente, l’amore come il nodo centrale dello sviluppo dell’individuo giunto al livello di complessità attuale: esso infatti mette tre complessi, filosofico scientifico poetico, a giocare dentro la persona storicamente determinata.

Non ha ragione. L’amore non è qualcosa di separato dal resto della vita umana; per questo le dinamiche complesse che emergono dall’elenco di sopra agiscono direttamente nelle relazioni d’amore. Quelle dinamiche possono dunque aiutare a gestire l’amore in un modo più soddisfacente. Va tenuto conto poi che, a differenza della filosofia della poesia e soprattutto della scienza, l’amore non ha ancora fatto quei passi evolutivi resi necessari dal profondo mutamento del mondo cui assistiamo.

Non c’è nulla di più importante dell’amor proprio, l’unico sentire che deve guidarci ad ogni momento e ad ogni passo. Amore di sè non è egoismo e tanto meno sopraffazione; è prima di tutto rispetto per se stessi, dove rispetto vuol dire guardarsi dentro e riconoscere ciò che vediamo. Amor proprio è condizione fondamentale per rapportarsi agli altri con onestà e unica condizione per non inquinare le relazioni. Solo se provo amore per me posso allora amare anche gli altri. Ma l’amor proprio non è la semplice e comune autostima, perché si può amare noi stessi anche non stimandosi pienamente, ma guardandosi con sincerità dentro per assumersi la responsabilità, dentro e fuori. Viceversa l’autostima può anche diventare egoismo e sopraffazione.

Amor proprio. Dignità.

da ALLUCINAZIONE – 2019

Il fatto che oggi dichiarasse che per venti anni aveva vissuto l’allucinazione di una realtà, in questo caso d’amore, significava che fosse veramente allucinato oppure la scoperta fatta ora di essere stato allucinato per venti anni lo salva dall’allucinazione?

Gli venne in soccorso il suo amore ricordandogli che aveva detto lo stesso nei confronti della sua precedente storia, quella durata tredici anni.

Dunque l’allucinazione durava da trentatre anni.

Aveva sempre misurato la distanza tra il suo percorso e quello degli altri, ma credeva che si trattasse solo di differenza di potenziale, qualcosa che non avrebbe impedito a nessuno di perseguire la propria felicità. Così, avendo coltivato l’amore dentro se stesso, non ebbe difficoltà dopo un doloroso abbandono a cercare e trovare l’amore. Bastarono pochi mesi. Ma non voleva che il passato si ripetesse e credette che l’entusiasmo suo e il silenzio di lei non fossero stati sufficienti nel passato e non avrebbero potuto esserlo nel futuro. Decise così di scavare non più solo dentro se stesso, ma proprio dentro la relazione d’amore, coinvolgendo fin da subito il suo nuovo amore. Il suo romanzo sarebbe stato diverso dalla trilogia, perché spostava l’attenzione da sé e il mondo, in cui l’amore era scontato, a sé, lei e il mondo, in cui l’amore diventava qualcosa che doveva essere costruito insieme.

Era stato violentato dalla donna che gli aveva tolto la verginità, era stato violentato dalla politica che aveva vissuto in modo moralistico, era stato violentato dall’indecisione, strumentale o genetica, di chi aveva fatto provare piacere per la prima volta al suo corpo. Si era violentato da solo nelle pretese di imporre una specie di amore a chi era analfabeta, si era offerto come preda sacrificale alla politica facendosi violentare ripetutamente, si era fatto violentare dall’insieme delle relazioni amicali che come in politica funzionavano perfettamente secondo il principio della volontà di potenza.

Fu in questa fase che riconobbe la superbia nell’umiltà e fu cosa di non poco conto. La filosofia ha bisogno sempre di incarnarsi per vivere, trasformare, sviluppare, se stessa e la cavia oggetto dell’esperimento: sapeva bene di essere cavia dei suoi stessi esperimenti. Da allora, avendola riconosciuta dentro se stesso, imparò a riconoscere la superbia nell’umiltà e nell’amore per il prossimo che sempre più dilagava, dai solidaristi duri e puri, ai medici senza barriere, agli interpreti dei bisogni dei diseredati, agli amanti della decrescita (nominata) “felice”.

Fu così che l’amore aprì le porte della volontà di potenza sia materiale sia spirituale e questa, ricorsivamente, aprì nuove porte all’amore. Potei così registrare e com-prendere meglio le dinamiche amorose che in genere risultano fuorvianti o senza parole: si preferisce credere che l’amore vada e venga e che esso non possa che essere “bello, buono e felice”, per cui quando non risponde a questi aggettivi ci si limita a dire che “non è vero amore”. Purtroppo non esiste un “vero” amore come non esiste un “vero” IO: retaggio platonico-parmenideo per evitare di fare i conti con la realtà e dunque anche con se stessi. Si tratta di un metodo utile alla sopravvivenza e acquisito quasi sicuramente a livello genetico ed evolutivo, ma ciò non toglie che sia sempre più inadeguato. Anche la geometria euclidea si è trovata in questa situazione: è sempre stata considerata “vera” ed è stata utile, ma quando si è cominciato a scoprire la complessità del reale (e dunque anche dell’IO) persino la geometria euclidea è risultata inadeguata.

Proprio oggi sul giornale leggo un articolo che vorrebbe essere divertente, in cui il fallimento dell’amore viene risolto con la scopatina, il valore assoluto con l’immanenza. A parte le disquisizioni possibili sulla trascendenza dell’immanenza è altro che mi interessa e mi colpisce: il fallimento dei valori assoluti nella vita quotidiana viene risolto nel suo opposto, il trionfo del particolare e dell’episodico. Certo scoprire “la morte di Dio” solo in seguito a un amore finito male pur avendo letto Nietzsche vent’anni prima dimostra la difficoltà del pensiero contemporaneo.

La persona per costruirsi ha bisogno di due cose: parole e amore. E’ su questo terreno che può procedere privando di parti il proprio blocco di marmo e smussando gli angoli. Le parole possono essere strumento di ipocrisia ed è per questo che la persona deve saperle accompagnare a una storia d’amore. Amavo l’amore fin da bambino, ma non sapevo cosa fosse l’amore e per questo ero facile preda di chiunque si sentisse più forte di me. Mi avvicinai alle parole e cercai di essere devoto alle loro manifestazioni, così che riuscii a far sposare le parole all’amore. Nacque una persona, la mia, e allo stesso tempo nacque l’amore, che però avrei scoperto essere solo il mio. Sempre e solo il mio. Avevo fatto i conti con la volontà di potenza materiale senza sapere cosa fosse e così persi due volte. Era troppo tardi quando com-presi cosa essa fosse e cosa volesse dire amore ai tempi del nuovo millennio. La persona che avevo creato era nitida; le parole che avevo creato erano quasi perfette; l’amore che avevo dis-coverto rasentava la verità e dunque la bellezza, cioè la felicità. Tutto andava a vele spiegate, ma quando mi accorsi che il vento che soffiava era quello dell’allucinazione era troppo tardi: era solo ieri.

La similitudine-metafora tra guerra e amore è un topos della letteratura mondiale, ma non è ad essa che faccio riferimento: qui intendo dire che l’amore ha sostituito la guerra per quanto riguarda l’entusiasmo e la voracità, la passione ardente e il desiderio smisurato, il sentirsi parte del bene e di una famiglia più ampia che, grazie ad esso, trascendiamo. La guerra rendeva giustizia alle parti più intime della nostra anima, mentre “il sentimento” rispondeva a bisogni più elementari e ad esigenze sociali.  L’amore oggi mantiene le stesse pulsioni di prima (un po’ meno le esigenze sociali) e trascende la condizione individuale avvicinando le persone all’infinito, nel quale possono naufragare. Basta leggere le poesie che circolano o le scritte sui muri: tu sei il mio infinito. E’ qualcosa che abbiamo provato tutti anche se per molti ciò ha comportato un ritorno al principio di una realtà finita e per tutti l’infinito era nell’oggetto amato. E’ stato questo l’errore o il limite: l’impulso di trascendenza e di assoluto si materializzava nella persona amata, facendo in modo che l’assoluto diventasse relativo e l’afflato spirituale si raffreddasse nella consueta materialità. Morire per la patria e rimanere eterni, anche se siamo solo il milite ignoto: gli eroi di ogni guerra lo dimostrano. Oggi è l’amore il comportamento che domina l’immaginario degli individui e li proietta in un al di là terreno.

Eppure avevo tutto chiaro quando compresi che nuovi orizzonti e nuove parole chiedeva l’amore del nuovo millennio. Le mie lettere d’amore, le mie parole e le mie sollecitazioni, le prime opere, in particolare “Sorriso”, andavano in quella direzione. Non nascondevo la diversità e ne facevo un punto d’incontro, ma di diversità in diversità scavavo abissi sempre più profondi e non smettevo mai allungando la voragine. Non avevo né rimorsi né rimpianti, ma questo non si rivelò sufficiente, perché le strutture culturali erano in realtà strutture genetiche: in compenso compresi gli orizzonti e non seppi dotarmi di strumenti adeguati. Eterogenesi dei fini: non sarei mai arrivato dove mi trovo se avessi proceduto in modo più comune. Ciò non toglie che si sia trattato di allucinazione.

Allucinazione controllata.

E il mio orizzonte era ed è l’amore. Ho imparato a riconoscerlo nella sua insistita assenza, nelle favole dei miei compagni di scuola, nei litigi dei miei genitori, nelle prime riviste pornografiche, nel senso di inadeguatezza che mi scoprivo, nelle parole che lo sopprimevano a vantaggio di tutto ciò che era sociale, nelle parole che di fronte al sussulto del cuore non riuscivano a formarsi, ma anche nelle parole che mi venivano offerte sotto le sue mentite spoglie.

E l’amore continua ad essere un grande mistero e allo stesso tempo la più grande rimozione. Si preferisce sottolineare la violenza e i tradimenti, senza capire che solo lo studio della vita, priva di questi sussulti, permetterebbe di fare un passo avanti. Il sesso, o meglio la dimensione erotica, è uscito allo scoperto e spintO dalle tempeste ormonali rimane a illuminare il cammino, come se l’amore rimanesse a quelle pulsioni. Fa bene O. Paz a distinguere l’amore, l’erotismo e il sesso, ma nessuno ci pensa e quando anche qualcuno riesce a distinguere tra il sesso e l’erotismo, rimane il mistero dell’amore. Se l’orgasmo in qualche modo rappresenta l’evidenza dell’attività erotica umana, l’amore rimane senza evidenze, così che ognuno può dire, anzi certificare, cosa sia l’amore. Non starò qui a fare un’analisi dettagliata di tutte le definizioni dell’amore che siamo obbligati ad ascoltare, definizioni che lasciano il tempo che trovano, per lo più estrapolate dalla letteratura o dalla cinematografia. Non smetterò di ripetere che se si vuole entrare dentro l’universo dell’amore c’è una porta che deve essere aperta, senza la quale continueremo a girare a vuoto: l’amore è prima di tutto volontà di potenza. A partire da questa affermazione potremo decifrare l’enigma e cominciare a costruire; fuori da ciò solo sabbie mobili.

Ho fatto gemere, spurgare e ripulire la mia piaga. Ho liberato il tarlo nei cunicoli della mia esistenza. Ho fatto la guerra a me stesso e poi mi ci sono alleato. Ho dialogato con Mizushima, Ganesh e il poeta di Ulus. Ho amato, ma il mio non era lo stesso amore di chi mi amava. Non ho mai smesso di amare, perché scoprivo le debolezze di chi rinunciava ad amarmi e in questo senso credo di essere stato un essere molto compassionevole. Sono stato giustamente rimproverato di essere ossessionato dall’amore. Eppure tutto questo caos, tutte queste turbolenze mi hanno permesso di non ripetere i luoghi comuni, sull’amore e su tutto il resto, che di volta in volta circolavano sempre aggiornati.